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Roberto Ciotti ci ha lasciato.   di Michele Lotta

1/1/2014 - Il 2013 si è chiuso drammaticamente per il blues italiano. Il 31 dicembre se n'è andato il chitarrista romano Roberto Ciotti, tra i pochi musicisti conosciuti anche all'estero grazie all'impegno profuso sin dagli ormai lontani anni settanta.
Il suo amore per la musica ed in particolare per la chitarra era naturalmente cominciato diversi anni prima, tanto che verrà ricordato come uno dei pionieri della cultura delle "dodici battute" in Italia.
Una carriera iniziata presto e che non si è fermata al Blues. Il suo curriculum è anche ricco di due colonne sonore per le altrettanto splendide pellicole di Gabriele Salvatores: "Marrakesh Express" e "Turné". Questa sua ampiezza di vedute, come spesso avviene, lo aveva allontanato, negli anni, dai bluesofili più ortodossi. Evidentemente tutto ciò nulla ha tolto alle qualità di Ciotti che è stato un musicista di caratura internazionale ma che non ha vestito i panni della star, anzi... Da circa due decenni viveva quasi del tutto lontano da quei palcoscenici che aveva conosciuto, eppure non aveva rinunciato a suonare i suoi blues, come agli esordi, nei pubs di piccoli e grandi centri.
Se mi consentite una breve annotazione personale, credo che sia stato proprio grazie al  suo slide che m'è spuntato il bernoccolo del Blues, al tempo in cui era l'anima nera di un Bennato agli esordi che sbeffeggiava politici e potenti ne "I Buoni e I Cattivi"...
Roberto Ciotti è deceduto a causa di una malattia tanto breve quanto devastante che non gli ha lasciato scampo. Aveva sessant'anni.
Spaghetti & Blues si unisce al dolore della famiglia ed al lutto di tutti i bluesmen italiani che hanno varcato la soglia del nuovo anno con un vuoto nel cuore.

foto di Renzo Chiesa, 1978 - Calcata (Roma). Per gentile concessione di Fabio Treves.

 

No more blue. Un ricordo di Roberto Ciotti.   a cura di Gianni Franchi

Il mondo del blues italiano è in lutto per la scomparsa di uno dei suoi maggiori esponenti.  A Roma, dove Roberto Ciotti era una istituzione, la sua mancanza è ancora più sentita. Non c'è musicista cresciuto in questa città che in qualche modo non abbia un debito con lui. E tanto più chi ha deciso di fare del blues il suo linguaggio. Bastava vedere al suo funerale quanti musicisti erano presenti, soprattutto sui 40-50 anni, per capire quanto fosse importante per tutti noi. Per ricordarlo qui su Spaghetti & Blues abbiamo allora deciso, piuttosto che ripercorrere la sua carriera (di cui potete trovare notizie da molte partì), di lasciare la parola a chi lo ha conosciuto, amici e musicisti, ringraziando tutti per la sentita partecipazione.

 

Lello Panico (chitarrista):

“... è davvero doloroso scrivere qualcosa per Roberto. Io non ho conosciuto a fondo Roberto. Ci siamo incrociati spesso sui vari palchi e, ancora più spesso, nel camerino del Big Mama. Ricordo un festival vicino Roma in cui mi chiamò sul palco a suonare con lui ma io ero intento a mangiare salsicce e non sentii il suo invito... Ho ascoltato recentemente un suo album di real blues, credo fosse della metà anni 70 o giù di lì... sono rimasto come un deficiente nel sentire un linguaggio assolutamente vero, con tocco giusto, fraseggio ritmico mutuato dai grandi del blues, come Elvin Bishop, Mike Bloomfield e similari, mentre tutti i chitarristi italiani, in quel periodo (ma ancora adesso tanti) si rifacevano ai guitar hero del rock blues. Beh, Roberto, tu stai con i grandi e, in verità, non so quanti musicisti europei possano vantare la tua verità.... un bacio grande.”

Ranieri  De Luca (batterista):

“ E' stata una delle prime cose a cui ho pensato e su cui ho riflettuto quando oramai la sua vita era appesa ad un filo. Ho fatto questa considerazione: ho iniziato ad amare il Blues ancora di più ascoltando Roberto e non un americano. Festival dell'Unità a Cinecittà. Credo 1985. “

Mario Donatone (pianista):

"Ho conosciuto Roberto negli anni '80, quando suonava con Ginger Baker, e ho avuto modo di collaborare con lui ed apprezzare l'umanità che covava sotto la sua nota scontrosità e la curiosità e l'attenzione musicale vivissima che aveva verso chiunque e qualsiasi cosa riteneva potesse dargli uno stimolo musicale, a dispetto della sua apparente chiusura caratteriale. Viveva la musica in modo totale e spesso anche sofferto, e questa direi impossibilità ad essere superficiale lo ha reso tutta la vita un uomo di blues a 360 gradi. Il mondo del pop lo stimava e lo chiamava, ma lui da un certo punto in poi ha sempre declinato l'offerta. Credeva nella dignità artistica di quello che faceva e l'ha difesa anche con fatica in un'epoca come quella attuale in cui si scivola con facilità da una posizione all'altra, senza un senso nè del passato nè del futuro, ma solo per approssimare un presente mediocre. Se ne va un sopravvissuto di un'epoca in cui la musica era una cosa seria, strettamente legata all'anima, alla storia, all'intelligenza e all'emancipazione di tante persone. Ha aperto la strada a tutti noi che suoniamo il blues, e lo ha fatto con coraggio e credibilità. Era credibile perchè la professionalità non era mai staccata dalla sincerità umana e artistica. A livello personale ho il piacere di ricordare alcuni momenti particolarmente allegri vissuti insieme quando tanti anni fa l'ho coinvolto in alcune partitelle di calcio tra amici, sport che lui amava e in cui eccelleva. Si divertiva come un ragazzino e si distoglieva per poche ore dal pensiero fisso di una vita data completamente alla musica e ai suoi meccanismi. Erano momenti rari per lui. Ora sta a noi che restiamo far crescere il valore di quello che ha fatto Roberto per la nostra musica. Sta a noi soprattutto comunicarlo alle nuove generazioni, non è un compito facile, ma la sua musica e il suo ricordo continueranno ad aiutarci. Ciao" Roberto e grazie.

Fabio Treves:

"... ci vorrebbero pagine e non poche righe per poter raccontare cosa è stata la nostra amicizia, durata più di 40 anni... fatta di incontri, partecipazioni a festival e rassegne, concerti, lunghe telefonate per scambiarci impressioni e riflessioni su cosa avesse significato per noi "iniziare per primi il lungo cammino sulla strada del blues... in Italia!"
Ci vorrebbero ore per raccontare  i suoi pensieri,i suoi sogni, i suoi malumori e le sue fantasie...
A volte le parole servono a poco perchè le immagini sono più evocative...
Ti posso solo lasciare qualche foto tratta dal mio archivio personale...
Ciao Robbè... grazie della tua musica e della tua profonda amicizia!".

Alessandro Brogli (amico, proprietario club):

"Con Roberto se ne va un pezzo importante della storia musicale italiana, un pezzo della mia vita… se ne va’ il mio idolo musicale adolescenziale, l’Essenza del Blues. Se ne va’ un grande uomo, un amico sincero, il fratello maggiore che non ho mai avuto. Quando lo conobbi personalmente nel lontano ’89, io e tutti i presenti non credevamo ai nostri occhi: Roberto Ciotti nella nostra baracca sul fiume !! A fine serata mi disse “A Sà, rimedia du’ casse bone, e 3-4 monitor così vengo a sonà”. Comprammo un impianto audio il giorno dopo e di comune accordo fissammo la data del primo nostro concerto ufficiale: la “Roberto Ciotti Band”. E’ grazie a Roberto, alla sua spontaneità, alla sua semplicità, alla sua umiltà e grandezza e soprattutto al suo amore per la musica e per le persone vere che partì definitivamente la storia umana e musicale del Jake & Elwood di cui Roberto fu la prima Scintilla. Credo che Roberto abbia lasciato un testamento musicale e umano che non dimenticheremo mai. Sono sicuro che ora è in tournèe lassù, e sta suonando seduto con il suo cappello in testa vicino a Muddy Waters, Freddie King e J.J.Cale. A proposito, per tutti coloro che non lo conoscevano se ne và il piu’ grande Bluesman italiano di tutti i tempi…. … Miss you King Robert…. Ti ho rigirato il mio commiato a Roberto perchè mi è venuto di getto dal cuore senza neanche pensare, lampante immediato e mi sembra giusto lasciarlo intatto. Grazie"

Guido Bellachioma (amico, organizzatore), pubblicato su Affaritaliani.it:

"La prima volta che lo sentii suonare fu nel 1970, durante un festival pop nella nostra scuola, quando militava nella Harp Blues Band, gruppo il cui repertorio pescava anche brani nel blues revival britannico… Rimasi fulminato dallo stile aggressivo e dalla presenza di questo ragazzetto dai lunghi capelli e silenzioso, allora magrissimo, ma che faceva parlare la sua chitarra come pochi altri. La sua versione di “Me And My Baby” dei Ten Years After, cover praticamente in diretta dallo splendido “Cricklewood Green” inciso pochi mesi prima, mi si stampò a fuoco nella testa e nel cuore. Pensai “questo non può che diventare un grande”.
Negli anni 70 e 80 si divertì con la sua musica e in giro con altri artisti: Alan Sorrenti, Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Blue Morning, Ginger Baker dei Cream, i due dischi per la Cramps, i concerti prima di Bob Marley, i viaggi fino a Marrakesh grazie alle colonne sonore dei film di Salvatores, la sbornia del successo nel 1989 con “No More Blue”, il suo brano più conosciuto, che riusciva a far sembrare normale che il blues potesse essere così maledettamente mediterraneo e melodico. Una ballata che ti spaccava il cuore in mille frammenti.
Per tanti anni ci siamo incrociati raramente in questa Roma frettolosa, anche musicalmente, città a cui lui era particolarmente legato: le origini a Garbatella, il padre lavoratore all’Italgas sulla via Ostiense. Andava sulle strade del mondo ma era troppo sornionamente romano per non sentire il peso dell’assenza dalla sua città.
Nel 2006 ci siamo riavvicinati e abbiamo fatto due dischi insieme: "My Blues" nel 2008 e "Troubles & Dreams" nel 2010, dove riuscì a convincerlo a non usare solo la Fender Stratocaster del ’62 e la fedele acustica Martin D 421 del ‘70 che aveva contraddistinto i suoi lavori precedenti. Pensavo fosse giusto riscoprire il suo essere chitarrista che, secondo me, teneva troppo nascosto, così sistemò il ponte della sua Gibson 335 del ’64, tirò fuori il Dobro, ormai impolverato per la lunga assenza dalla sua musica, e persino la Gibson J45, splendida acustica dal suono nero. Gli dicevo che volevo contattare due chitarristi con cui avevo buoni contatti per includerli nel disco, Derek Trucks e Buddy Whittington e lui, serafico, davanti a un buon caffè in uno dei bar vicino casa sua a Porta Portese: “Vabbè, però je dico come devono suonare, magari je scrivo le parti, poi ascoltiamo quello che fanno e se ce piace lo usamo”. Voleva dire a Trucks e Whittington, due che suonavano col mondo intero, quello che dovevano fare: così era Roberto, talmente convinto di se stesso e delle sue canzoni da risultare autolesionista nella realizzazione, ascoltava solo se stesso, era al tempo stesso la sua forza e la sua debolezza.
Fiero come un orso, un orso blues, ma, anche se pacioso, sempre orso. In quel disco c’è una canzone reggae, molto solare, intitolata “Hot Summer”… appena sentita gli dico: “Robbe’, questa nun la sonà cor gruppo tuo, famola davvero reggae… telefono a Giulio di Radici del Cemento e incidiamola con loro… la tua chitarra blues in un sound reggae”. Stranamente l’idea gli piace e il gruppo delle Radici si dimostra entusiasta di fare questo brano con il “Maestro”, come mi dice Giulio al telefono, parliamo anche di presentare il brano dal vivo insieme, magari a Villa Ada dove loro hanno già il concerto fissato per l’estate. Ci vediamo in cantina dove loro provano a Testaccio e dopo qualche giorno mi mandano il provino. Fico, penso io… peccato che Roberto nel frattempo avesse già cambiato idea: “No, mejo de no, snaturebbe il mio suono”. Peccato, sono convinto che “Troubles and Dreams” poteva essere il disco più bello di Roberto. Canzoni meno canzoni, con un suono più chitarristico che avrebbe valorizzato la sua straordinaria anima, selvaggia e malinconica al tempo stesso."

Francesco Piu (chitarrista blues):

"Vidi per la prima volta in tv Roberto Ciotti al "Roxy Bar" su Videomusic nei primi anni '90 che faceva "Hey Joe", registrai la puntata su VHS e imparai il suo solo. Tanti anni dopo ho avuto la fortuna di conoscerlo e di farci una chiacchierata... Un grande maestro di blues, un grande maestro della sei corde, son sicuro che ora la stessa canzone la stai suonando lassù con Jimi."

Alberto Castelli (giornalista):

"Nell'estate del 2002 (o forse 2003...) presentavo il Jazz Festival di Villa Celimontana. La sera del concerto di Roberto Ciotti mi lasciai andare: feci una presentazione decisamente lunga e "de core". Roberto Ciotti se la meritava davvero. Nel 1977 (o 1978, o 1979) vidi un suo concerto in un club a Roma: rimasi folgorato. Se da quel momento e per molti anni ho ascoltato blues in quantità industriale lo devo soprattutto a tre persone: Roberto Sasso, Maurizio Bonini (altro chitarrista formidabile) e Roberto Ciotti. Ho rivisto Ciotti decine e decine di volte, l'ho intervistato e mi piaceva molto quando gli chiedevo come stava e lui mi rispondeva "Se campicchia...". Quella sera a Villa Celimontana ci incrociammo mentre io lasciavo il palco e lui si avvicinava al microfono. Mi disse: "Aho, 'na presentazione da pippa! 'Na favola, grazie", "Figurati, Robbè" - risposi. Ecco, mi piace ricordarlo così. Ciao Robbè... Ancora grazie di tutto."

Francesco Di Giovanni (chitarrista jazz):

"La mia conoscenza e frequentazione con Roberto Ciotti è limitata alla prima metà degli anni 70.
A volte si suonava assieme, a volte ci si ascoltava a vicenda, seduti per terra ed era comunque bellissimo. Spesso abbiamo scambiato delle idee, a volte anche bruscamente, perché lui amava il Miles Davis del Jazz Rock, mentre io ero un fan di Wes Montgomery ed ero per il Jazz classico.
L’episodio che voglio ricordare di lui è una semplice telefonata. Un paio di anni dopo avevo per le mani un contratto per suonare negli alberghi del Nord Africa e mi serviva un bassista.
Fra i tanti, telefonai anche a Roberto per chiedergli se ne conoscesse qualcuno disposto a partire per l’estero. La risposta che mi diede fu sorprendente: “ci vengo io” mi disse!
“Ma tu sei un chitarrista…” feci io imbarazzato, e lui “va bene, ma posso suonare anche il basso”. Francamente non sapevo più cosa dire. Mi appariva chiarissimo che per Roberto la cosa più importante nella vita era andare in giro per il mondo a suonare! Era un vero musicista girovago, un bluesman nell’animo, poteva anche, come Jimi Hendrix suonare per qualche tempo uno strumento non suo, pur di partire e stare in altre latitudini a suonare.
Benché colpito da questa suo slancio, non me la sentii di raccogliere l’offerta, l’amore che Roberto manifestava per la chitarra e per il blues era troppo grande per accettare di vederlo suonare un altro strumento e distrarlo dalla sua musica, il Blues a cui è sempre restato fedele.
Cos’altro dire? Di lui mi è rimasto questo ricordo, quello di una persona piena di slanci, fedele alla sua musica, pronta a partire per andare a suonare ovunque, anche in capo al mondo, insomma un vero bluesman!" 

Fulvio Tomaino (cantante):

"Roberto e' stato un ispiratore... Un esempio di coerenza artistica. Mi ha insegnato a tirare una linea dritta nella musica, a perseguirla sempre malgrado le mode. Ho un buco nell'anima. Grazie Roberto..."

Massimo Bizzarri (chitarrista cugino di Roberto):

"... è stato un fulmine a ciel sereno, non posso neanche piangere perchè ho esaurito tutte le lacrime, ma la mia anima, lei si sta piangendo proprio perchè, se oggi ho il mio cuore legato alla chitarra blues e ad un percorso chitarristico che tuttora seguo, lo devo solo a lui. Quand'ero bambino lo vedevo perdersi in assoli con la chitarra accompagnato da un suo amico percussionista, fuori dalla tenda dei miei zii vicino al mare nel golfo di S. Agostino (Civitavecchia). Aveva appena conosciuto il blues acido degli Stones e così entrò nella mia vita la magia della chitarra, fu proprio lui a regalarmene una quando avevo 8 anni, e dopo non molto tempo potevo suonare finalmente Battisti e i Nomadi. Solo anni dopo mi avvicinai al blues recandomi più spesso a trovarlo. Mi fece conoscere le radici del blues e mi insegnò la scala pentatonica e fu tutto lì, non mi serviva altro e presto entrai nel suo fantastico mondo. Lo seguivo quando suonava da solo con il dobro nei piccoli locali di Trastevere e mi incantava. Questo è un breve riassunto per marcare l'importanza della sua presenza nella mia esistenza, siamo stati anni senza vederci o sentirci, un rapporto strano il nostro, per me era più un fratello maggiore che un cugino...."

Fabrizio Poggi (armonicista, scrittore):

"Ho conosciuto Roberto Ciotti nei primi anni Novanta al Tiferno Blues, un festival che si teneva in Umbria.
I Chicken Mambo aprivano il suo concerto.
Eravamo molto emozionati, lui se ne accorse  e con grande simpatia e generosità ci accolse con lodi e sorrisi sia prima che dopo la nostra esibizione.
Già la generosità.
Si, perché Roberto non è stato solo uno dei più grandi musicisti blues italiani ma anche un uomo estremamente generoso.
Così generoso da essermi stato con il suo disco “Super Gasoline Blues” di grande ispirazione nell'intraprendere la strada del blues...
E ancor prima, intorno alla metà degli anni Settanta Roberto, dalle pagine di  Ciao 2001, da grande pioniere, mi ha insegnato molto sul blues.
Roberto ci spiegava i segreti della chitarra slide e dell’armonica blues in maniera semplice e coinvolgente e, a costo di ripetermi, generosa, molto generosa.
E non erano molti a farlo in quegli anni.
Allora non c’era la rete, non c’erano metodi, le informazioni che arrivavano in provincia, dove abitavo, erano scarse, per non dire nulle. Chi voleva imparare a suonare uno strumento doveva arrangiarsi chiedendo qua e là.
Roberto era un faro, un amico che non si conosceva personalmente ma che eri sicuro fosse felice di condividere con te tutto ciò che sapeva sul mondo del blues.
E allora grazie Roberto, grazie di cuore.
Se sono riuscito a realizzare molti dei miei sogni lo devo anche a te.
Non ti ho più incontrato dopo quella volta in Umbria, ma tu sei stato e sempre sarai dentro la mia musica.
Sarai con me ogni volta che con la mia armonica cercherò di toccare il cuore di qualcuno.
E poi mi hanno detto che un giorno o l’altro Gesù chiamerà anche me per suonare nella grande blues band che c’è in Paradiso.
E quel giorno, sono sicuro, ci rivedremo."

Andy J. Forest (armonicista):

"When I first met Roberto Ciotti it was in the spring of 1979. I had heard him on the radio in Bologna "Fisherman Blues" (Radio Citta' delCapo I think). As I listened, I thought he was an American - until I detected an ever so slight accent on the word "fisherman" - I was surprised because he sounded so authentic. At that time - so far - I had not heard very many Europeans playing blues so well. I especially liked his slide style. I don't remember exactly where and when we met but he played at the Palasport with Claudio Bertolin (on harmonica) opening for Pino Daniele and afterward he stayed a few days in Bologna. I was a guest in an apartment on Via Marsala so I invited him to stay with us without asking the "padrone:.. The result was, they kicked me and my girlfriend out when they found I had brought a stranger into the house! ("kicked out" significa "dato lo sfratto")
Over the years I would come visit him in Roma and he usually came to any gigs I had there. And we always played together on those occasions. We had a natural friendship - he enjoyed laughing and always had something interesting to say about music - film - people or just life in general. Although he seemed to have strong convictions - (as I remember) he wasn't imposing about them. He had an unusual kind of common sense and down to earth philosophy mixed with a light-hearted sense of humor.
He told me a lot of great stories - I remember one in particular about a time when he had played on the street on Nice, (Nizza) France. To make more money he got a pair of  little round sun glasses (da cieco) and a cane and he pretended to be blind - evidently it worked - people gave him more money. But when he was done (in full view of his audience) he got on his motorbike and drove off!
Once he was supposed to do a tour with Sonny Terry and Brownie McGee but they cancelled - so Willy David hired me and Jerry Ricks to take their place. We played Rome and Naples in Teatro Tenda in the winter - maybe 1980. Anyway I have to say he was always a pleasure to play music with and great company. I will never forget him. He was a good friend, a fantastic musician and a true Bluesman. One of a kind."

Dario Lombardo (chitarrista):

"Non ho conosciuto molto Roberto, la distanza e i casi del lavoro ci hanno portato ad incrociarci assai di rado, direi due o tre volte al massimo sul palco. Ma avendo avuto vent'anni nel 1977, come tutta la mia gente l'avevo conosciuto sì, e proprio in quegli anni, quando ancora non pensavo o forse iniziavo a pensare, che sì, questo Blues era quel che volevo suonare, quel che volevo fare. E così il pensiero va alle occasioni in cui il nome di Roberto iniziava a circolare nell'ambiente torinese di futuri musicisti con frasi del tipo l'hai sentito, quel chitarrista che accompagna Bennato? Oppure però, c'è quel chitarrista di Roma che suona proprio come gli americani... e sì, questo fu il messaggio che la musica di Roberto ci mandò, forte e chiaro: si può fare. Oggi può sembrare strano, riduttivo o culturalmente sciapo il porsi questo problema, ma allora era tutto diverso, tutto distante, a volte poteva sembrare irraggiungibile: i dischi si trovavan poco, le radio mandavano altre cose, le scuole di musica non c'erano (sarebbero nate di lì a poco), ma trovare poi qualcuno che sapesse come  si suonava Robert Johnson... già trovare le sue canzoni era un problema, figuriamoci il resto!
E così ci ritrovammo con un LP  italiano, fatto da un musicista italiano e pubblicato da un'etichetta italiana importante, per giunta, quella degli Area, un disco dal titolo strano, Super Gasoline Blues... si può fare, dunque.
E così, la voce girava, anche dalla radio nazionale le trasmissioni di punta ci facevano sentire che in Italia c'era qualcuno che suonava questa cosa strana chiamata Blues... quindi, si può fare. E arrivò, inevitabile, il momento dell'incontro diretto, della conoscenza di questo musicista.
Qui purtroppo gli archivi latitano, non ci sono dati certi scritti sulle agende, ricordo quindi nettamente le occasioni in cui ci incontrammo ma non posso collocarle esattamente nel tempo, almeno ora: forse da buon archeologo troverò qualche indizio, prima o poi... ma torniamo a quel momento compreso tra il '77 e l'81: arrivò il momento in cui una radio privata, che ora non c'è più e sulla cui identità ho un onestissimo dubbio (Radio Città Futura? Radio Torino Alternativa?) organizzò una serie di concerti in un cinema di periferia che anche lui oggi non c'è più. Il nome lo ricordo bene, Cinema Smeraldo, via Tunisi, Torino: ora dovrebbe essere un supermercato, o almeno lo era diventato, forse adesso ha cambiato nuovamente uso. Doveva essere nel 1980, lì suonarono gruppi diversi... Kandeggina Gang con Jo Squillo, altri, e poi, in mezzo al calendario, Roberto Ciotti. Mi catapultai, insieme ad alcuni degli altri che in quegli anni condividevano con me l'idea o l'avventura di un gruppo Blues nella città della Fiat (Andrea Scagliarini, Sal Bonasoro, Moreno De Santis) unici in mezzo ad una marea di punk, rastafariani e jazzisti, guardati forse un poco di traverso da alcuni, ah sì, quelli che voglion fare il Blues... Roberto fece un gran concerto. Metà acustico, una chitarra di metallo non l'avevo mai vista prima, ma che sarà mai? E poi la seconda parte, con una semiacustica Gibson 345 e l'accompagnamento di un batterista africano di cui oggi nessuno purtroppo ricorda il nome, chissà che fine avrà fatto... e il bello è che io tengo tutto, ma proprio tutto, ma nell'archivio non c'è uno straccio di volantino, programma di sala o altro che racconti qualcosa di più di questo concerto.
Devo cercare meglio... comunque alla fine di quel concerto si parlò un poco, con Roberto. E anche lì, vidi per la prima volta una cosa che, allora non lo sapevo, mi avrebbe accompagnato in molte sere della mia vita futura, e cioè... la compilazione del borderò Siae, con i dubbi che istituzionalmente la accompagnano (aò, ma cchè ho sonato, stasera, boh...?... figuratevi l'imbarazzo di quei tre/quattro sbarbati di fronte al musicista che chiede loro cosa ha suonato... da ribaltarsi dal ridere, a ricordarlo!).  E poi ci fu un'altra volta, al Palasport, stesso periodo, una maratona di gruppi in cui Roberto era con Bennato, ma non suonava sempre, quindi passammo lunghi momenti in camerino, e lì di sicuro gli chiesi delle cose, ne sapevo qualcosa di più e volevo saperne ancora di più... Qualcuno dovrebbe anche aver delle foto di quel giorno, chissà se rispunteranno fuori... e  poi ancora un altro concerto, Bob Marley, anche lì mi ritrovo tra gli organizzatori, era roba nostra, Radio Flash 97.7, una radio che esiste ancora (anche se ora è 97.6) ed in cui dopo tanto sono tornato a lavorare, e che presentava in quegli anni gli Stones, i Dire Straits e, appunto, Marley: un concerto questo con una lunga serie di gruppi di apertura (nell'ordine, Roberto, poi Pino Daniele, poi la Average White Band). Anche lì, alcune parole, ma i tempi iniziavano a cambiare, non era più così semplice persino per chi come me lavorava per il concerto avere tutti i pass necessari ad accedere alle aree riservate... la volta successiva in cui rividi Roberto fu sul palco, al Big Mama, quando si unì alla Model T Boogie in una infuocata jam durante il concerto con Phil Guy del primo tour italiano, era il marzo del 1988: ricordo che gli ampli per chitarra erano solo due, e che quindi quando Roberto salì Nick ed io ci alternammo suonando un po' di pezzi a testa. Eravamo molto orgogliosi: eravamo la band del momento, reduci dallo Chicago Blues Fest '87, eravamo in tour con il fratello di Buddy Guy... (chi lo sapeva allora che saremmo andati avanti ventun anni con Phil?)...
E poi, Roberto suonava con noi. Una serata speciale, davvero. E poi il ricordo di Roberto si mischia ancora una volta con Phil, ma questa volta l'anno è il 1992, e la band si chiama già Blues Gang: il luogo, ancora una volta il Big Mama. Dopo, le cose si sono combinate in altri modi, e non l'ho più incontrato, anche se magari suonavamo gli stessi festival, ma sempre in giorni diversi. E a fine 2013, la notizia della sua scomparsa ci ha colpiti tutti quanti, e proprio nel giorno della festa: il 18 gennaio mi hanno chiamato a suonare al Folk Club di Torino (dove Roberto era in calendario proprio quel giorno), per ricordarlo insieme a Paolo Bonfanti, Slep, Andrea Scagliarini ed altri. Non è facile star sul palco quando devi ricordare qualcuno che se ne è andato, ma il modo migliore per ricordare un musicista è suonare, e possibilmente suonare la sua musica: e quindi, lo abbiamo fatto."

Robi Zonca (musicista)

"... a me resta impressa nella memoria una serata estiva nei tardi anni 80 ai Giardini Margherita di Bologna. Eravamo li sul prato un po' alla hippies, Andy J Forest, Roberto ed io... le nostre ragazze dell'epoca e probabilmente altri musicisti che ora non ricordo,... e Roberto, per almeno 2 ore, è stato seduto, mentre il sole tramontava, schiena appoggiata al tronco di un ippocastano, deliziandoci col suo dobro... con e senza slide... io non sono mai stato uno particolarmente innamorato dei suoni acustici, rurali e poveri... tendenzialmente sono più elettrico e "fighetto" :-) ma quella sera Roberto mi ha incantato... potrei lasciarmi andare a scrivere che mi ha portato sul Delta del Mississippi o cose del genere..... ma mi basta ricordare la magia che è riuscito a far uscire dalla sua National... la magia usciva dallo strumento ed entrava nelle orecchie e poi direttamente nei cuori di chi ha avuto la fortuna di essere li quel giorno. E quando s'è fatto buio pesto Roberto ha smesso e tutti gli abbiamo chiesto di continuare e lui... "Aoh ragà... 'un ce vedo più un cazzo!"

Lino Muoio (musicista):

"Ho conosciuto Roberto poco dopo essere entrato nei Blue Stuff, eravamo al Big Mama attorno al 1999. Come sempre in questi casi ne avevo sentito parlare prima, avevo visto Marrakech Express ed anche un video didattico che fece in quegli anni.
Ci sono state varie jam, sempre al Big Mama, con lui nel corso degli anni, ma quella che ricordo più nitidamente è stata quando, salito sul palco, mentre mi preparavo con la chitarra, mi disse: "Ma se famo quarcosa cor mandolino?". All'inizio mi trovai spiazzato ma poi mi spiegò che era affascinato dal suono "nuovo" di quello strumento e ovviamente da come lo suonavo.
Forse è stato da quel momento che ho capito un concetto fondamentale e cioè che nella musica, come del resto nella vita, è inutile copiare ma bisogna sempre cercare e costantemente percorrere la propria strada qualunque essa sia..."


Omaggio in Blues a Roberto Ciotti. 12 maggio Teatro Palladium, Roma a cura di Gianni Franchi

Un giorno di Aprile ricevo una telefonata dall'amico pianista Mario Donatone. Mi invita a partecipare all'organizzazione di un concerto in ricordo di Roberto Ciotti. Con lui, Massimo Bizzarri, chitarrista e cugino di Roberto, e altri musicisti. L'idea mi piace, conosco bene Mario e so quanto ha significato anche per lui la figura di Roberto, il maestro di tutti noi che lo abbiamo seguito sulla strada del Blues. Proprio la sincerità dell'iniziativa è il punto, di non poco conto, a cui tengo di più perché so che già ci sono stati eventi simili che hanno attirato non poche critiche, a torto o a ragione.
Proprio per questo motivo, non appena avuto la conferma che il Municipio della Garbatella (quartiere dove Roberto era nato) ci avrebbe messo a disposizione il Palladium, una delle prime cose di cui mi voglio accertare è che Adriana Da Silva (la vedova di Roberto) sia d'accordo. Avendo ottenuto il suo consenso e la sua partecipazione, ci mettiamo in moto. Il 12 maggio è infatti vicino ed il tempo veramente poco. Le cose da fare sono tantissime e richiedono un notevole dispendio di energie e risorse economiche. Stiamo quasi pensando di arrenderci ma alla fine, abituati come siamo a muoverci tra le tante difficoltà che il fare musica richiede, decidiamo di buttarci e mettercela tutta per fare il meglio possibile per ricordare in musica Roberto Ciotti.
Nel gruppo organizzatore, oltre ai sopracitati, ci sono i musicisti Francesca De Fazi, Antonio Santirocco ed il tecnico del suono Paolo Cappellini; ognuno si impegna al massimo per la riuscita dell'evento. Massimo e Mario soprattutto si sono fatti in quattro, rimettendoci anche di tasca propria per affrontare alcune spese.
Arriviamo così di corsa e trafelati al giorno del concerto. Ora il problema è il cast, non vogliamo lasciare fuori nessuno e far suonare tutti i gruppi ed i solisti che hanno aderito.
E' un gioco di incastri inserire tutti, organizzare le band create ad hoc e far quadrare i tempi per non "sforare" la fatidica mezzanotte, orario massimo che ci concede il teatro.
La scaletta è una di quelle cose di cui mi occupo in prima persona: il tempo è poco e gli artisti tanti; alla fine decidiamo, in considerazione dei possibili ritardi e dei cambi palco, di dare 10-15 minuti ad esibizione e l'ordine d'apparizione viene fatto per accontentare tutti…
Facciamo aprire la serata a Daniel Fabbri, il più giovane tra i presenti, chitarrista allievo di Ciotti che aveva eseguito una commovente versione di "No More Blue" proprio al suo funerale. Con lui la cantante Silvia Dominici e Gavino Parretta all’armonica.
A seguire, ci sono proprio io con la Jona's Blues Band. Apriamo con "Help Me" con la formazione in quartetto (Marco Corteggiani, Ranieri De Luca e Paolo Strina) per poi accompagnare i primi ospiti. Prima David D'Amore (chitarrista storico della scena romana) e subito dopo Jonis Bascir con cui eseguiamo una ipnotica versione di “Castle Of Sand” dedicata al suo autore, Roberto Ciotti.
Jonis Bascir, più noto come attore, ha però alle spalle una bella esperienza anche come musicista blues e in questo brano si sente tutta.
Segue in versione duo, accompagnato dal fido Marco Capano alla batteria, un altro esponente del Blues (e non solo) romano: Stefano Malatesta. Chitarrista, cantante, autore e personaggio, si cimenta in due brani acustici tra cui una bella versione di "You Gotta Move". L'artista successivo è Daniele Bazzani, già fondatore della band dei Bestaff ed ora apprezzato chitarrista solista (eccezionale la sua esibizione a Roma con Tommy Emmanuel), qui presente con la sola chitarra acustica per eseguire una splendida versione di "If I Blues My Baby", brano di cui è autore.
E’ quindi il turno di Claudio Maffei, valente chitarrista rock blues, in trio con Valter Detond e Fabio Fraschini che, oltre al brano di Crosby "Drop Down Mama", esegue anche lui un omaggio al Maestro con “Tender Touch”.
A questo punto è il momento di esibirsi per una band formata sul posto da Mario Donatone con il compito di fornire assistenza anche ai musicisti che hanno aderito ma sono senza band. il "Mario Donatone Free Group" vede oltre Mario, voce e piano, la chitarra resofonica di Stefano Tavernese, il trombettista Angelo Olivieri, la presenza speciale di Roberto Gatto, uno dei maggiori batteristi jazz italiani, e la mia umile ed emozionata presenza al basso elettrico. I brani scelti sono una versione bluesata di "Gimme Shelter" cantata da Stefano Tavernese e "Love In Vain" cantata da Mario.
Rimango sul palco per dare un supporto bassistico anche alla band seguente, gli amici Blue Stuff (Mario Insenga, Lino Muoio, Emilio Quaglieri) e, visto che abbiamo la comodità di avere un batterista amico nei paraggi, Mario Insenga decide di dedicarsi per l'occasione solo alla voce ed invita Ranieri De Luca della Jona's a raggiungerci. La band esegue "Where Is My Time" di Roberto Ciotti e "Siamo Fuori" scritta da Lino Volpe e tratta dal loro repertorio. Ospite in un brano l’armonicista Tarcisio Di Domenicantonio.
A questo punto Mario Insenga cede il palco, lasciando pero' la band ad un decano della musica romana, Harold Bradley mitico fondatore del Folkstudio che, nonostante il suo recente lutto per la perdita della adorata Hannelore e gli oltre 80 anni, non è voluto mancare a questo evento. Con lui la band che ora, con l'aggiunta di Marco Corteggiani all'armonica, è diventata una specie di Jona's Blue Stuff Band (dall'unione dei due gruppi). Il brano proposto dall'anziano maestro è uno dei suoi cavalli di battaglia, il traditional "Grizzly Bear".
Lasciamo il palco ad uno dei miei gruppi preferiti i Red Wagons (Marco Meucci, Alessandro Angelucci, Carlo Del Carlo, Mauro Massei, Rox Marocchini, Dino Gubinelli e Stefano Barillà) che infiammano la platea con il loro repertorio di jump e boogie.
Arrivato da Napoli, Gennaro Porcelli (attualmente chitarrista di Edoardo Bennato e vero talento del blues) in trio con Antonio Santirocco alla batteria, si esibisce subito dopo mostrando una grande maestria con la chitarra elettrica.
Siamo quasi alla fine della nostra maratona, abbiamo ancora tre band ma grazie all'impegno di tutti nel rispettare i tempi, rientriamo ancora nell'orario fissato.
La band seguente è una All Stars messa su da Francesca De Fazi con molti musicisti che hanno suonato con Ciotti. La NO MORE BLUE BAND vede infatti, oltre a Francesca alla voce e chitarra, Eric Daniel al flauto, Flavio Vargas Don Santos alle percussioni, Valter Detond alla batteria, Elio Buselli al basso, Umberto Barbuto alla chitarra ed Andrea Pagani tastiere. La band esegue tre brani di Roberto Ciotti: "Along The River", "I Feel Good", "Bella Chica".
A seguire, il gruppo messo su per l'occasione da Massimo Bizzarri con Antonio Santirocco e gli ospiti Matteo Fioretti (chitarra) e Andrea Morelli (basso). I brani di Ciotti proposti sono "Rolls Royce" e "Blues Writer".
Grande chiusura con la Roma Blues band (la blues band più antica della Capitale) che, capitanata da Roberto e Piero Fortezza, esegue il suo set ed ospita anche Francesca De Fazi per il brano "Underground".
Siamo alla fine, tutti gli organizzatori sul palco per ringraziare il pubblico che ha partecipato e goduto di queste quattro ore di musica di alto livello e c’è giusto il tempo per un brano finale con quasi tutti i musicisti insieme.
Credo che Roberto da lassu' sia contento.
Un ringraziamento particolare va ad Adriana Da Silva che ci ha aiutato, incoraggiato, consigliato, ed ha partecipato attivamente alla riuscita dell’evento; a Claudio Testi, districatosi abilmente nel non facile compito di presentare; a Paolo Cappellini tecnico del suono; a Renzo Nouglian che ha fornito gli omonimi amplificatori; al negozio Musicis di Formello che ha messo a disposizione la batteria X-Drums; a Tony Cerqua l’unico dei musicisti presenti che purtroppo non siamo riusciti ad inserire.

 

 

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