Herbie Goins: l’incredibile storia di un bluesman americano a Roma
a cura di Gianni Franchi
Conoscevo
di fama Herbie grazie ad alcuni album che aveva registrato con Guido
Toffoletti. Incontrarlo per la prima volta, quando suonavo con gli
Hardboilers negli anni 90, fu un grande piacere ed
un'emozione. Nel 1992 (con la suddetta band) avemmo l’onore di
ospitarlo nel CD “Sweet Lovin Mama“ in cui Herbie cantò un paio di
brani: il classico “The Thrill Is Gone” e l'originale scritto da
Riccardo Petrella “I Can’t Stand To Live Without You”.
Negli
anni ci siamo incontrati diverse volte, spesso per suonare ma anche per
delle cene a casa sua che sono rimaste memorabili. Oltre ad essere un
grande cantante infatti, Herbie è una persona squisita, generosa,
sempre allegra e di grande compagnia. Terminata l’esperienza con
gli Hardboilers ci ritrovammo ad esibirci insieme accompagnandolo
con la Jona’s Blues Band.
Spesso Herbie viene a trovarci all’improvviso regalandoci l’emozione di
condividere il palco con lui ancora una volta (e l’ultima volta è
successo proprio pochi giorni fa). Nel 2010, sempre con la Jona’s,
l'abbiamo coinvolto nuovamente nel cd “Back To Life” rispolverando, con
lui, un suo vecchio brano “Born To Lose”.
Era da tanto tempo che volevo fargli un po’ di domande sulla sua lunga
ed intensa storia ed ora, grazie al prezioso supporto di sua moglie
Celestina, finalmente questa è l’intervista.
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Intervista
SB: Herbie, ci puoi raccontare qualcosa della tua infanzia in Florida e soprattutto dei tuoi primi incontri con la musica?
HG: La mia è stata un’infanzia felice. Vivevamo nei dintorni di
Ocala, in campagna. Mio padre era un contadino, la mia mamma, oltre che
essere mamma di ben 10 figli, era una cantante di Gospel. La nostra (la
mia e quella dei miei fratelli) era una vita modesta ma felice, liberi
di giocare e di scorrazzare per i campi. Già da piccolo aiutavo mio
padre; mi piacevano molto la terra, la campagna e gli animali che lui
allevava. Soprattutto però mi piaceva andare in chiesa, dove la
mia mamma cantava nel coro Gospel: per me era bellissimo sentire quelle
voci che si innalzavano perfette a rendere omaggio a Dio nella nostra
piccola chiesa bianca. E qui iniziai a cantare anche io.
I miei primi incontri con il Blues avvenivano invece quando andavamo in
città, ad Ocala, per fare spese: lì c’era un locale dove si beveva e si
suonava il Blues. Naturalmente era proibito per noi bambini, ma io mi
sedevo sugli scalini della casa ad ascoltare quella musica bellissima e
quelle voci così appassionate. Mia madre mi sgridava: era la musica del
diavolo...!
Ormai il Blues mi era entrato nel sangue così, al liceo, iniziai a
cantare con i Teen Kings, un gruppo di ragazzi con il professore di
musica che ci faceva da insegnante e da manager! Riuscivamo a fare
delle serate divertendoci e guadagnando anche dei soldini. Ricordo la
festa per la fine del corso liceale con ospite un giovane BB King
che mi chiamò sul palco e mi fece cantare con lui. Cantai "Everyday I
Have The Blues" che divenne da allora uno dei miei cavalli di
battaglia. Mi trasferii poi a New York, dove formai un gruppo con degli
amici: The Clads. E da lì….
SB: Quali erano i tuoi idoli musicali a quell’epoca ?
HG: Durante la mia infanzia, a parte quando mi sedevo sugli scalini di
quel locale, non si sentiva molto Blues. Le radio trasmettevano
esclusivamente musica country e quindi ci piaceva quella per forza
maggiore! Più tardi allargando i miei orizzonti, soprattutto ascoltando
Radio Lussemburgo che era diventata il nostro pane quotidiano, imparai
a conoscere i “nostri” musicisti: mi piacevano Sam Cooke, BB King,
Bobby Bland, e poi The Coasters (di cui mi piaceva tanto "Yakety Yak"),
The Temptations, Frankie Lymon con la sua breve carriera (ricordo "Why
Do Fools Fall In Love"), Jerry Butler and the Impressions, e poi tanti
altri…
SB: Negli anni 50 ti troviamo in Germania nell’esercito, puoi
raccontarci qualcosa di quegli anni e se li hai avuto qualche
esperienza musicale?
HG: Sì, Iniziai il servizio militare (quattro anni!) nel ’58 e a circa
metà periodo fui assegnato ad una base militare in Germania. Qui
cantavo spesso durante le serate che si facevano per i militari. Poco
prima del mio congedo, arrivò dall’Inghilterra a suonare nella nostra
base l’orchestra di Eric Delayne. Cantai qualche pezzo con loro ed Eric
ne fu entusiasta. Poiché stavo per essere congedato mi chiese se
volessi entrare a far parte della sua Orchestra: evidentemente risposi
di sì!
SB: Negli anni 60 ti troviamo invece in Inghilterra. Come ci sei arrivato e che scena musicale hai trovato?
HG: Dopo il servizio militare tornai per un brevissimo periodo in
America e poi ripartii per l’Europa. Eric Delayne smaniava perché
raggiungessi subito l’Orchestra a Londra. Arrivato li però dovetti
ripartire per la Germania dove l’Orchestra era in tournèe!
Viaggiavamo spesso ma quando eravamo fermi a Londra cominciai a
frequentare i vari jazz club (i più noti erano allora il Ronnie Scott
Jazz Club, the Downbeat and the Marquee, ai quali si aggiunse più tardi
il Flamingo) e a conoscere tutti i musicisti inglesi che si riunivano,
soprattutto di lunedì quando si lavorava di meno, in un club di Prade
Street a bere birra e a scambiarsi le idee. La scena musicale di
Londra era così effervescente e interessante in quegli anni: in
ogni pub, piccolo o grande che fosse, si faceva musica anche per pochi
pounds….
SB: Puoi raccontarci qualcosa delle tue esperienze in quegli anni? musicisti che hai conosciuto, band con cui hai suonato…
HG: Continuavo a cantare con Eric
Delayne, insieme a Elkie Brooks (diventata poi famosa), anche se appena
potevo facevo qualche gig di Blues o R&B. Con l’Orchestra
lavoravamo molto, guadagnavo bene, ma non avevo le soddisfazioni che mi
aspettavo dalla musica. Molti musicisti mi facevano la corte, tra cui
Alexis Korner che da tempo mi chiedeva di entrare a far parte della sua
Blues Incorporated dove, dopo Cyril Davies, si erano alternati Long
John Boldry e Ronnie Jones. Divenni quindi il cantante ufficiale della
Band: un altro mondo! Con Eric si suonava nei teatri, nelle ball rooms,
nelle basi militari. Con Alexis nei pubs e questo significava cachet
molto differenti. Ma quanto era diversa la soddisfazione che provavo a
cantare, finalmente, il Blues a tempo pieno! Con la Blues Incorporated
si alternavano i musicisti che avrebbero fatto la storia della Musica
inglese come Eric Clapton, Graham Bond, Paul Jones, Phil Seaman e una
infinità di altri. Più tardi avrebbero suonato con la Band anche Mick
Jagger e Robert Plant che ho avuto il piacere di rincontrare alcuni
anni fa a Buxton in occasione del Primo Memorial Concert per Alexis
Korner e, bontà sua, mi ha raccontato di essere stato un mio
inguaribile fan. Giovanissimo, scappava di casa per venire ai miei
concerti: anche ora ricordava ancora tutte le mie canzoni a memoria!!
Insomma, tutti i migliori musicisti inglesi, jazz, blues, pop di quel
periodo passavano per la Blues Incorporated ed eravamo tutti entusiasti
e pieni di ardore. Contemporaneamente
ad Alexis, suonavo anche con altri musicisti e molto spesso con
Chris Barber e la sua Traditional Jazz Orchestra. Con loro facevamo
molte trasmissioni radiofoniche alla BBC.
SB: Per un certo
periodo ti sei esibito con i Nightimers. Ti ricordi i nomi di qualcuno
dei musicisti con cui hai suonato e che tipo di repertorio eseguivate?
è vero che avete suonato come spalla di Otis Redding in Gran Bretagna?
cosa ricordi di quel tour?
HG: Trascorsi circa tre anni con la Blues Incorporated, incontrai Mike
Eve, saxofonista, fondatore e musicista della Band The Nightimers, già
abbastanza famosa in Inghilterra. Divenni il loro cantante e la Band
prese il nome di Herbie Goins and the Nightimers. Nel gruppo vi erano
musicisti eccezionali, come John Mc Laughlin, Dave Moss, Graham Bond e
tanti altri. A quei tempi i musicisti si alternavano molto spesso nei
gruppi, essendo così vivace la scena musicale. Il nostro repertorio era
Rhythm and Blues e Soul e in breve diventammo una delle band più famose
in Gran Bretagna. Avevamo una marea di fans che ci seguivano
dappertutto, soprattutto i Mods, per i quali mi dicono che io sia
tuttora uno dei loro cantanti preferiti. I giovani Mods, intendo, non
quelli dei miei tempi! Cominciammo le nostre tournèe in Francia,
Spagna e Germania. Io fui scritturato dalla EMI (il produttore era
Norman Smith, che dopo di me produsse i Pink Floyd!) e con "Number One
in Your Heart" (il nostro pezzo preferito tuttora dai Mods, insieme
all’altro, "Cruising" scritto da J. Mc Laughlin) entrammo nelle
classifiche dei dischi più venduti.
Posso senz’altro dire che quello con i Nightimers fu per me il periodo
più entusiasmante di tutta la mia carriera e quello che mi ha dato più
soddisfazioni personali e professionali.
Non abbiamo mai suonato come gruppo spalla di Otis Redding. Lui, in
tournèe in Inghilterra frequentava tutti i locali (tutti facevamo così,
famosi o meno eravamo tutti e solo musicisti!). Fu così che ci
incontrammo in un posto e facemmo una davvero memorabile Jam session.
Jimi Hendrix, invece, ancora sconosciuto ai più, veniva tutti i lunedì
al Blaises di Londra dove noi suonavamo, e ci chiedeva timidamente di
fare qualche pezzo con noi. Ricordo che il mio chitarrista era molto
preoccupato di come quel ragazzino trattasse la sua chitarra, quando
Jimi le faceva fare tutti quegli strani movimenti!
Tanti i bei ricordi di quel periodo... davvero unico e irripetibile per la musica.
SB: Ma la storia non finisce qui perché negli anni 70 la leggenda narra
che ti trovassi in tour in Italia dove sei rimasto alla ricerca degli
strumenti rubati alla tua band… è solo una leggenda oppure è la realtà ?
HG: Vorrei tanto che fosse leggenda, ma invece è realtà. Devo dire che
gli italiani non mi trattarono troppo bene all’inizio. Infatti fummo
vittime di un primo furto a Molfetta e poi del furto di cui tu parli
che è stato un episodio gravissimo. Eravamo partiti dall’Inghilterra
per un tour che vedeva in Italia Herbie Goins and the Nightimers per
circa sei mesi. Viaggiavamo con il nostro autobus (un 60 posti dove
potevano viaggiare con noi collaboratori, mogli, fidanzate, ecc, con
tutta la nostra strumentazione e i nostri bagagli: in quell’occasione
viaggiavano con me mia moglie e i miei due bambini) ed eravamo arrivati
in Sicilia, precisamente a Catania dove ci eravamo fermati qualche
settimana. L’ultima sera avevamo caricato l’autobus per partire
per Torino il giorno dopo e lo avevamo lasciato in garage. Lì ci
rubarono l’autobus con dentro tutta la nostra vita: gli strumenti e
tutti i bagagli. Improvvisamente non avevamo più nulla, neanche per
continuare a lavorare. Dovemmo sospendere tutti i seguenti
ingaggi. Naturalmente le Forze dell’Ordine fecero le loro ricerche, ma
nella Sicilia di quegli anni le cose andavano diversamente. Fui
contattato da un uomo che si diceva in grado di farci ritrovare le
nostre cose ma, e per noi fu un trauma, fu trovato ucciso pochi giorni
dopo. I musicisti tornarono in Inghilterra, mentre io mi trattenevo qui
per vedere di risolvere qualcosa. Ed eccomi qui… ancora cercando di
risolvere qualcosa… Da allora i Nightimers sfortunamente si
dispersero.
SB: Hai deciso quindi di stabilirti stabilmente in Italia, quali sono i
motivi principali che ti hanno portato a questa scelta? Cosa ti è
piaciuto di più del nostro paese?
HG: Dopo il furto, mi ritrovai a Roma: non so dirti perché non
ripartii subito per l’Inghilterra, non ci fu un motivo vero e proprio
per questa scelta. Per la mia carriera tornare in Inghilterra
sarebbe sicuramente stato meglio. In Italia subì inevitabilmente un
grave arresto. Alcuni anni dopo alcuni giornali inglesi titolavano:
"Che fine ha fatto Herbie Goins?" Ma rimasi qui, e, all’inizio
faticosamente, ripresi la mia attività. L’Italia mi piaceva, Roma era
bellissima, avevo trovato tanti amici…
SB: Puoi raccontarci qualche aneddoto dei tuoi primi tempi in Italia,
quali sono i primi musicisti con cui sei venuto in contatto ?
HG: In Italia ho subito cercato di formare dei gruppi, con musicisti
sia italiani che inglesi e americani. Poi per alcuni anni ho lavorato
nelle discoteche, come cantante/disk Jockey o come Direttore Artistico
in molti noti locali, per esempio in Sardegna, in Versilia, sulla
Riviera Romagnola, a Bormio ecc. Devo dire che mi divertivo. Nel
frattempo componevo dei brani per vari artisti e sigle radio-televisive.
SB:
Con Guido Toffoletti, uno dei primi bluesman italiani, hai suonato sia
in studio che dal vivo, come è nata questa collaborazione ?
HG: Guido, fan di Alexis Korner, aveva sentito dire che io vivevo
in Italia, e fece di tutto per trovarmi. Venne a Roma, ci incontrammo
in un locale e da qui nacque la nostra amicizia. Era un Guido
giovanissimo malato di Blues, come fu d’altronde per tutta la vita.
Dopo un po’ di tempo decise di partire per l’Inghilterra e allora
io lo indirizzai ad Alexis Korner, con cui strinse amicizia. Al suo
rientro in Italia riuscì ad organizzare un concerto a Bologna in cui ci
ritrovammo a cantare insieme, Alexis Korner ed io. Fu bello
rincontrarsi.
Con Guido continuammo per anni una collaborazione, incidendo parecchi
dischi insieme e facendo molti concerti in giro. Fu forse proprio facendo questi concerti che decisi che era tempo di ritornare a tempo pieno sul palco.
SB: In Italia continui ad esibirti con varie band ed hai partecipato a
diversi progetti discografici, vuoi raccontarci qualcosa di quelli più
interessanti?
HG: Ricominciai quindi a cantare a tempo pieno, prima con varie band, e
poi formando negli anni 80 la Herbie Goins and the Soultimers. E qui
ricominciò di nuovo una bellissima avventura: i miei musicisti
erano davvero bravi e avevamo una grande voglia di musica. Erano
ritornati anni belli per la musica dal vivo e in tutta Italia
rifiorivano locali dove si faceva musica e festival del Blues. Abbiamo
suonato anche molto all’estero: in Svizzera, in Spagna e in
Inghilterra. Abbiamo lavorato davvero tanto e con tanta
soddisfazione e abbiamo inciso alcuni CD.
Nel frattempo, e successivamente allo scioglimento del mio gruppo, ho
collaborato anche con numerose altre Band, soprattutto con la Norman
Beaker Blues Band con la quale negli anni ho fatto numerose tournèe in
Inghilterra, e con varie band italiane: vogliamo citare la Jona’s Blues
Band, tanto per fare un nome?
SB: Un
veterano del blues internazionale che tipo di impressioni ha dalla
scena blues italiana, c’è qualche gruppo o artista che ti ha colpito
ultimamente?
HG: Io penso che in Italia ci siano tanti gruppi,
tanti musicisti e tanti cantanti veramente bravi, sulla scena Blues e
altro, che però vivono in un sottobosco e non hanno, perché non
viene loro data, alcuna possibilita’ di emergere. Potrei citarne
tantissimi ma non lo faccio per paura di dimenticarmi di altri
altrettanto bravi. Purtroppo però, nel mondo musicale italiano, quello
famoso, che vediamo in televisione, penso ci sia davvero ben poco che
mi abbia colpito negli ultimi anni.
SB: Non sveliamo la tua età anagrafica ma, avendo suonato con te
recentemente, sappiamo che quella musicale è ancora quella di un
ragazzino, quindi chiudiamo l’intervista chiedendoti qualcosa sui tuoi
progetti futuri?
HG: La mia età anagrafica la svelo io: 75 anni. E quindi non perdo
tempo a fare progetti futuri, ma prendo e faccio solo quello che mi
piace fare e che mi dà soddisfazione, tralasciando il resto.
Recentemente ho fatto dei concerti con la Jona’s Blues Band, vecchi
amici (certo non vecchi come me…) con i quali mi trovo sempre bene;
collaboro con Mauro Zazzarini, il bravo saxofonista e la sua
Band, con il quale la prossima serata sarà il 19 luglio a
Montalcino. Recentemente ho inciso addirittura un singolo – roba da
discoteca!!! – con video: "You Got it Going Now", in cui mi sono
divertito molto perché mi piace ancora giocare. Mettiamola così: se ci
saranno cose buone da fare, io sarò sempre presente!
Premio Herbie Goins, serata zero a cura di Celestina Morando Goins, foto di Rocco Cedrone.
Domenica 9 dicembre l’Associazione Culturale Herbie
Goins (già Roma Blues and Soul) ha dato il via alla prima serata del
Premio Herbie Goins. E non avrebbe potuto avere luogo se non all’Asino che
Vola di Roma, il locale che, fin dal primo memorial dopo la scomparsa
dell’artista, ha ospitato tutte le rassegne a lui dedicate, alle quali hanno
partecipato importanti musicisti sia italiani che stranieri.
E quale Band, se non la Jona’s Blues Band, organizzatrice
di tutte le precedenti manifestazioni, avrebbe potuto farsi carico della parte
artistica ed accompagnare i numerosi ospiti in scaletta? Ed eccola infatti con
i primi tre brani, quelli per rompere il ghiaccio, in una serata che inizia con
estrema puntualità per via della quantità di artisti che si avvicenderanno sul
palco. ("You can't judge a book" (W Dixon)
voce Gianni Franchi - "Bop till I drop" (Downchild blues band) voce Marco
Corteggiani - "Maydell" (W. Haynes degli Allman Brothers) voce Daniele Marcante).
La presentatrice della serata è Roberta
Ammendola, volto noto di RAI 3, che con l’aiuto di Gianni Franchi, bassista
della Jona’s, traccia un bel profilo di Herbie Goins sia dal punto di vista
artistico che umano. Herbie era
una persona speciale, per umiltà, bontà e simpatia. Amava i giovani musicisti,
dava loro spazio e considerazione ed era sempre pronto a condividere il palco
con loro. Da qui, dal ricordo di questa sua attitudine, l’idea
del Premio
Herbie Goins, che ha
lo scopo e il merito non solo di promuovere buona musica ma di avvicinare
musicisti con anni di esperienza a giovani che iniziano oggi il loro percorso
musicale, dando loro la possibilità di scambiarsi idee e progetti.
E infatti, ad avvalorare quanto sopra, il primo
gruppo che ascoltiamo è composto da musicisti giovanissimi, il Leonardo Mirenda
Trio. Leonardo Mirenda, a soli 21 anni, è già un musicista davvero
interessante, autore di testi che spaziano dal blues, al rock, al jazz ed ha
già accumulato varie esperienze all’estero. I suoi giovani compagni sono
Lorenzo Ziccolella e Martino Petrella. Eseguono tre brani originali
che sono: "Global warming blues" - "The rise of the lotuses" - "Fourth mile blues".
A questo punto si entra nel vivo della serata, e
quindi Roberta Ammendola inizia con il presentare il primo dei tre premi
individuati dall’Associazione, che sono:
Premio ad un giovane musicista Blues;
Premio per la Diffusione della Musica
Afro-Americana in Italia;
Premio alla Carriera, Una vita dedicata al Blues.
PREMIO HERBIE GOINS AD
UN GIOVANE MUSICISTA BLUES: STEFANO PALMA.
26 anni, chitarrista, scelto perchè il Blues è per lui una forma di
comunicazione sincera e diretta, che lo emoziona e allo stesso tempo gli dà la
possibilità di esprimersi. Il batterista della Jona’s, Ranieri De Luca, lo incontrò
un giorno mentre suonava in strada nel centro di Roma e rimase colpito dalla
sua bravura. L’arte di strada infatti, nonostante Stefano sia laureato in
Culture e Tecniche della Moda a Rimini, e stia terminando la specializzazione
in Moda Spettacolo e Arti Digitali, ha occupato ed occupa una parte
fondamentale della sua vita, dandogli la possibilità di mettersi a nudo in
pubblico in totale libertà, in uno scambio diretto, sincero e senza filtri. I suoi artisti di riferimento sono Muddy Waters, i tre
King del blues (BB King, Albert King e Freddie King), Chuck Berry e Keith
Richards.
Consegna
il Premio RAFFAELE MARANDO della Associazione Culturale Herbie Goins, con la
mitica frase: Il Blues esiste e non è una moda!
Il terzo set di musica vede la Jona’s con
il neo premiato e bravissimo Stefano Palma alla chitarra. Sul palco, come
ospite, anche il cantante/chitarrista STEFANO
CARBONI che presta la sua voce in: "Woke up this morning" (BB King), "I want to be loved" (Dixon), "Little red rooster" (Dixon). In quest’ultimo brano Stefano Carboni ci
mostra, e la suona, la sua originalissima chitarra Machi Cigar Box.
PREMIO
HERBIE GOINS PER LA DIFFUSIONE DELLA MUSICA AFRO-AMERICANA IN ITALIA: LUCIANO
DURO E TOMMASO CERRONI – LIRI BLUES FESTIVAL.
Sale sul palco Tommaso Cerroni, co-organizzatore
insieme a Luciano Duro del Liri Blues Festival uno dei più importanti in
Italia, nato da un’intuizione di Luciano nel lontano 1988. Insieme a Roberta
Ammendola, Tommaso ripercorre le varie tappe del Festival, il gemellaggio di
Isola del Liri con New Orleans, ricorda gli innumerevoli artisti che si sono
succeduti sulle scena del Liri Blues (tra cui più volte Herbie Goins) e parla
anche delle inevitabili problematiche per portare avanti una situazione tanto
importante e spesso faticosa. Una fatica che ha dato i suoi preziosissimi
frutti, con un continuo slancio alla diffusione della musica afro-americana in
Italia. Quindi meritatissimi i premi che RANIERI
DE LUCA, batterista della Jona’s nonché membro dell’Associazione, consegna a
Tommaso Cerroni anche per il purtroppo assente Luciano Duro.
Il seguente set musicale vede, accompagnata
dalla Jona’s, l’unica voce femminile della serata, la davvero giovanissima GRETA, 18 anni. Greta, oltre a
pianoforte classico e chitarra acustica, studia canto da quando aveva 8 anni,
prediligendo la musica soul. La sua potenzialità vocale è stata molto apprezzata
dal pubblico. Questi i suoi brani: "At last" (Etta James), "Can't find
my way home" (Clapton, Winwood, Blind Faith) - "Come to Mama" (Ann Peebles).
PREMIO
HERBIE GOINS ALLA CARRIERA, UNA VITA DEDICATA AL BLUES: MARIO
INSENGA.
Il Premio va ad un vero cultore del Blues, Mario Insenga. Cantante/batterista,
ha, da oltre 30 anni, portato avanti con coerenza e passione il suo progetto di
Blues, con la caratteristica di mescolare brani classici in inglese a brani
originali in dialetto napoletano, insieme alla sua Band, I Blue Stuff, una
delle più longeve blues band italiane. Il premio gli viene consegnato da GIANNI FRANCHI, bassista della Jona’s Blues
Band e membro dell’Associazione Culturale Herbie Goins.
Come racconta lui stesso nei suoi monologhi, ha modificato e dedicato tutta
la sua vita in funzione della musica dalla quale non si guarisce: il Blues. Al
di là delle sue doti canore e di batterista, Mario Insenga ne possiede altre
non meno importanti: la sua simpatia e il suo intelligente senso dell’umorismo.
Il suo modo di interloquire con gli spettatori e di far sì di renderseli
immediatamente amici, è molto simile a quello che usava avere Herbie Goins nei
suoi concerti. Entrambi nel loro luogo naturale su di un palcoscenico, e con un
filo diretto con il loro pubblico.
E così, tra ricordi dedicati ad
Herbie, aneddoti, battute, e passi di ballo con la bravissima presentatrice,
Mario Insenga, che era accompagnato anche dal suo chitarrista EMILIO QUAGLIERI, ci ha allietato con: "Siamo
Fuori" (Blue Stuff) - "My crime" (Canned heat) - "Caldonia" (Louis Jordan).
Divertente il suo approccio con i musicisti: alla Jona’s che lo accompagnava,
queste le indicazioni su come fare un brano ("My Crime"): “..Ueh guagliù, niente
eleganza, SCOSTUMATO !! ”
Quelli sopra riportati, i tre premi individuati dall’Associazione che saranno
riproposti di anno in anno, ma in questa prima edizione del Premio Herbie
Goins, si è voluto conferire un premio davvero speciale ad una persona davvero
speciale:
A Mr. HAROLD BRADLEY,
PER IL SUO PREZIOSO CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA E DIVULGAZIONE DELLA MUSICA
AFRO-AMERICANA IN ITALIA.
Nato a Chicago nel 1929, oltre che giocatore di football americano, Harold
è stato pittore, scultore, attore e infine cantante. Si deve a lui l’apertura
del mitico Folk Studio di Roma, che era in realtà all’inizio il suo studio
d’arte. Harold ha dato molto all’ambiente artistico, soprattutto a Roma, e ha
davvero contribuito a far conoscere “quel” Blues, quello vero. E’ stato un vero
privilegio e un onore che abbia accettato di passare una serata davvero
interminabile con tutti noi, e che sia salito per ultimo sul palco per ricevere
il Premio Speciale Herbie Goins, che è stato un suo caro amico. Commoventi le
parole che gli ha riservato: “… Herbie era uno genuino…”. Ci siamo emozionati
tutti, e lui con noi. Tra l’altro Harold Bradley per molti anni è stato
accompagnato nei suoi concerti dalla Jona’s Blues Band, con la quale aveva
formato un interessante sodalizio, e quindi sia per lui che per i musicisti, è
stato un gran bel ritorno a casa. Harold ci ha voluto dedicare un brano, "Goin
to Chicago" (Count Basie e Jimmy Rushing).
Il Premio gli è stato consegnato da CELESTINA
MORANDO GOINS, moglie di Herbie e Presidente dell’Associazione Culturale Herbie
Goins.
E infine, dopo questa parentesi emozionante, una jam davvero grandiosa, con
tutti i musicisti sul palco (e anche qualcuno in più come ALESSANDRO ANGELUCCI, chitarra, e MARCO MEUCCI, voce, che con gli Hardboilers negli anni ospitarono
spesso Herbie, e attualmente sono l’anima dei Red Wagons). Una “Let the good
times roll” e poi un bis “Baby what you want me to do” dove le voci di Harold
Bradley, Mario Insenga, Marco Meucci accompagnati da tutti gli altri cantanti e
musicisti, hanno chiuso in bellezza questa splendida serata.
Dopo il successo di questa prima edizione, possiamo dire con certezza che il PREMIO HERBIE GOINS diventerà un evento di prestigio che si ripeterà di anno in anno. Quindi l’appuntamento
è fin da ora per il 2019!
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