I
Re dei Re
di Salvatore Amara La storia del blues è piena zeppa di
Re e di Regine, da B.B. King ad Albert
King, fino a Freddie King, da “Ma”
Rainey a Koko Taylor, passando da Mamie
Smith e Dinah Washington, di Imperatori e di
Imperatrici, da Muddy Waters a Bessie
Smith. Ma quando si parla del blues delle origini,
quello nato nel Delta del Mississippi, ancora oggi da molti considerato
“l’unico vero e proprio blues”, sono sempre quattro gli Assi
del poker dei “Padri fondatori”, le cui storie sono ormai trascese
dalla realtà al mito, ossia Charley Patton (1891-1934),
Tommy Johnson (1896-1956),
Peetie Wheatstraw (1902-1941)
e Robert Johnson (1911-1938).
In questa elite non sono ricompresi due grandi
musicisti dell’epoca, Willie Brown (1900-1952),
che in effetti più che come solista era noto come accompagnatore di Son House, visto che esistono solo tre registrazioni che
di sicuro possono essere attribuite a lui, e lo stesso Son
House (1902-1988),
che potrebbe, a ragione, essere ritenuto l’unico vero grande escluso da
quella piccola cerchia, anche se il motivo di tale esclusione nacque
dal fatto che il suo stile fu di gran lunga superato e
migliorato dai quattro musicisti sopra menzionati, e
in particolare proprio da quel Robert Johnson
che lui stesso aveva dileggiato, tanto da spingerlo ad abbandonare
Robinsonsville alla ricerca di una sua identità musicale. Ad ogni modo,
tutti e quattro questi grandi artisti si sono fregiati, a periodi
alterni, del titolo di “Re del Blues”, e mentre il più
“vecchio”, ossia Charley Patton, sembra essere quello
più accreditato ad aggiudicarsi la contesa, è la figura del più
“giovane”, ossia Robert Johnson, ad essere sempre
stata, indubbiamente, quella più discussa e celebrata. Ma il bello
della storia è che ad essa non c’è mai fine, specie quando le ricerche
condotte da instancabili studiosi di blues,
successivamente alla dipartita di questi Mostri Sacri, riuscirono a
spazzare via la sabbia con la quale il tempo aveva coperto e nascosto
eventi fondamentali, svelando così interessanti quanto inaspettati
retroscena, tali da gettare una nuova luce sull’intera storiografia blues e consentendoci di ristabilire le reali gerarchie.
Il fatto, non più controverso, è che ancor prima che questi osannati Re
iniziassero a suonare la chitarra, altri incredibili e talentuosi
musicisti di blues, che dei predetti Re divennero poi
mentori ed insegnanti, avevano già seminato il verbo del Blues.
Il motivo per cui la nomea di questi artisti non salì immediatamente
agli onori delle cronache è semplice, ossia mentre Charlie
Patton, Tommy Johnson, Peetie Wheatstraw e Robert
Johnson ebbero la fortuna di incidere i loro blues, coloro
che li precedettero, seppur di poco, non vantarono la stessa buona
sorte, ed inevitabilmente non lasciarono il loro segno nella storia,
rappresentato dalla possibilità di ascoltare la loro musica e la loro
abilità, facendo semplicemente girare un loro disco su un piatto. A
distanza di anni, dopo lunghe e laboriose ricerche poste in essere sul
campo ad opera di tenaci e illuminati archeologi del blues,
si è potuto dare un nome a questi musicisti, che devono, a buon titolo,
essere considerati i veri “Padri fondatori del Blues”,
i pionieri di quella musica che avrebbe dato i natali al jazz
e al rock’n’roll, al funk e al rhythm’n’blues. Insomma, sto parlando dei “Re
dei Re”. Ma partiamo dall’inizio, come di solito conviene fare, e
l’inizio, anche in questo caso, porta il nome di Robert
Johnson, dato che è stato proprio grazie al lavoro dei ricercatori
e degli storici di blues, che si sono attivati come
veri e propri detectives, che sono stati
definitivamente chiariti alcuni dei misteri creati intorno a Robert Johnson, svelando, finalmente, dove il bluesman
avesse realmente trascorso il periodo di quasi due anni
durante il quale si allontanò dal Delta, quando improvvisamente
scomparve dai juke joints e dalle roadhouses
frequentate da Son House e dagli altri bluesmen,
e lasciò Robinsonville deciso ad imparare a suonare la chitarra, e si
diresse verso sud, e precisamente verso il suo paese natale,
Hazlehurst. Non vi è certezza sulla data della sua “scomparsa”, ma è
probabile che ciò avvenne tra la fine degli anni 20 (secondo molte
fonti nell’inverno del 1929)
e gli inizi degli anni 30, o tra la fine del 1930
e gli inizi del 1931,
come hanno accertato le ricerche svolte da Pearson
e McCulloch.
Quel che è certo è che ciò avvenne dopo la morte di sua moglie Virginia e di suo figlio, durante il parto. Comunque sia,
Robert Johnson si spostò da Hazlehurst
nella vicina area di Martinsville, una cittadina discarica ubicata
nella parte sud del Mississippi, e lì incontrò un tale chiamato Ike
Zimmerman. Non sappiamo se Robert Johnson lo
incontrò casualmente, mentre era alla ricerca del suo padre naturale,
come hanno sostenuto alcuni residenti del luogo, abbastanza vecchi per
ricordare, e molti studiosi, tra cui anche Pearson e McCulloch, oppure se andò a cercarlo di proposito, magari
su indicazione dei musicisti locali. Di sicuro, però, Robert
Johnson non concesse la sua anima al diavolo in cambio del dono del
blues, ma dopo essere scomparso dalla
circolazione conobbe Ike Zimmerman, il quale gli
insegnò a suonare la chitarra. È a questo punto che Robert
Johnson diede al Blues la propria anima,
dedicandosi letteralmente anima e corpo alla chitarra, con la quale si
esercitò senza tregua. Da quel momento la sua vita sarebbe cambiata per
sempre.
Ike Zimmerman, chi era costui? Di lui sono state pubblicate due
foto, una presa in gioventù ed una in vecchiaia, e quasi tutto quello
che oggi sappiamo di lui è stato riferito dalle sue due figlie, e
soprattutto da Loretha Zimmerman, che
fornirono prove ed elementi importanti sugli anni perduti di Robert Johnson, rivelando nuove ed interessanti notizie a
proposito del padre, così facendo luce su uno dei personaggi più
controversi della preistoria del blues e svelando
misteri tenuti celati per oltre 70 anni, rendendo, alla fine, nota la
figura di Ike Zimmerman agli studiosi ed agli
appassionati di blues. Isaiah “Ike”
Zimmerman nacque il 27 aprile 1907
a Grady, un piccolo paese in Alabama, che, come molte
altre città del sud dell’epoca, era abitato da una popolazione di
mezzadri, e che oggi è praticamente inesistente. È probabile che al
momento della nascita di Ike Zimmerman
i suoi nonni fossero ancora schiavi. Come riferito dalle figlie, Ike era un “gran bravo uomo”, proveniva
da una famiglia di agricoltori e lui stesso, in gioventù, era stato un
agricoltore in Alabama. Ike era un
bravo musicista, noto ed apprezzato nell’intera zona e non solo
all’interno della propria comunità d’appartenenza. Loretha
ricordò di aver sempre visto il padre suonare blues,
sia nei juke joints della zona di Grady, che nelle
città del circondario, inclusa Montgomery, più a nord di Grady, sempre
in Alabama, dove incontrò Ruth Sellers, nativa del
posto, che lavorava in un hotel della città come cuoca, e che verso la
metà degli ultimi anni 20 divenne sua moglie. La coppia si trasferì in
Mississippi, precisamente a Beauregard, a circa 10 miglia da
Hazlehurst, e stabilirono la propria abitazione in una zona chiamata The Quarters, un piccolo rione che contava appena 5 o 6
edifici, ubicato presso il cimitero di Beauregard e presso un
crocicchio, che ormai non esiste più. La casa di Ike e
Ruth Zimmerman era piccola, con due camere
da letto, una cucina e un portico, e lì crebbero i loro sette figli, un
maschietto e sei femminucce. Loretha ricordò che il
padre era basso di statura, più basso di Robert Johnson,
e lo descrisse come un uomo buono e forte, gentile e premuroso, un
padre affettuoso ed amato, che si prese buona cura della sua famiglia,
che andava d’accordo con la moglie e non maltrattò mai i figli. L’unica
fissazione di Ike, come disse la figlia, era la
musica, il vero amore della sua vita e la sua unica ragione di vita. Le
sue origini musicali sono ancora incerte, dato che neppure la figlia
ricordava che il padre le avesse mai detto come aveva imparato a
suonare la chitarra, ma ricordava solo che, da quando l’aveva
conosciuto, lui suonava in continuazione. Probabilmente Ike
imparò suonando da solo, e Loretha
dichiarò di aver “sempre pensato che fosse autodidatta”.
Mentre la maggior parte dei suoi contemporanei potevano permettersi
solo chitarre a poco prezzo, ordinate per posta, come Stellas e Regals,
Ike, grazie al fatto che lavorava come
operaio nei cantieri stradali, poteva permettersi una buona chitarra,
di solito, come sua figlia ricordò, una Gibson. Ike
quasi certamente conosceva una varietà di canzoni e aveva un repertorio
che andava dai brani blues a quelli pop,
come la maggior parte dei musicisti di quel periodo, e sua figlia
ricordava che quando era a casa “lui suonava blues”, e
in particolare cantava una canzone che parlava di “andar via”
e di viaggi on the road, ed un’altra in cui diceva che
“non poteva dare ciò che gli veniva chiesto”, in ogni
caso ricordava che il padre suonava la stessa musica che poi insegnò a Robert Johnson. Ike amava molto suonare, ed amava anche
insegnare a suonare la chitarra, come fece con numerosi allievi, la
maggior parte dei quali erano donne. Ike, infatti,
possedeva non solo un grande talento come musicista, ma anche il dono
unico di essere capace di insegnare con successo agli altri ciò che
volevano imparare. Tutto il tempo in cui Ike rimase in
Mississippi non smise mai di suonare la chitarra presso il circuito dei
juke joints locali, e in occasione di una
sua visita al fratello Herman, il quale, dopo aver
lasciato Grady, si stabilì pure in Mississippi, e precisamente vicino a
Martinsville, una piccola città che si trovava a poche miglia più a
nord di Hazlehurst, si fermò a suonare in un general store,
che fungeva anche da juke joint, chiamato One
Stop, come ricordavano gli abitanti del luogo, che oggi dovrebbe
trovarsi all’angolo tra Martinsville Road e la Highway 51. Probabilmente fu proprio lì che Robert
Johnson lo vide suonare per la prima volta, e dove avvenne il loro
incontro. Non si conosce il motivo per cui Ike decise
di accogliere Robert in casa sua, permettendogli di
vivere con la sua famiglia per oltre un anno, ma questo è ciò che
avvenne. Sul punto, i ricordi di Son House
concordavano con la storia raccontata dalla figlia di Ike,
che dichiarò che quando si incontrarono nel juke joint “Robert disse a mio padre che era tornato ad
Hazlehurst perché loro (Son House e i suoi amici) non volevano che lui suonasse da nessuna parte
e l’avevano invitato ad andarsene via perché
non volevano che continuasse a suonare con loro e lì chiese a mio padre
di insegnargli a suonare la chitarra e mio padre acconsentì diventando
il suo mentore”. È anche possibile che Robert Johnson
avesse solo bisogno di un letto per la notte e, dato
che Beauregard non era troppo lontano, Ike si offrì di
ospitarlo, e così Robert ebbe l’opportunità di sentire
Ike suonare e gli chiese di impartirgli lezioni
di chitarra. Ike, dopo tutto, era solo 4 o 5 anni più
vecchio di Robert, e poteva aver avuto una
particolare simpatia e comprensione per il suo entusiasmo, ma di
sicuro, come confermato da Schroeder, Pearson e McCulloch, Palmer, LaVere
e numerose altre fonti, i due andarono d’accordo, perché Zimmerman
lo invitò a vivere con la sua famiglia, e Johnson vi
restò a lungo, ricevendo lezioni di chitarra da Ike,
che divenne il suo mentore. Loretha ricordò che “Robert si stabilì con la nostra famiglia, e doveva essere
carino, perché mio padre era un uomo forte e voleva che non ci fossero
mai problemi. Era un buon uomo mio padre e non avrebbe mai preso con sé
una persona che non fosse stata a posto. Questo è il motivo per cui
credo che Ike prese Robert sotto le sue cure. E Robert divenne come un
membro della famiglia, venne a vivere con mamma e papà nella loro
casa”. Ike e la moglie Ruth erano proprio
affezionati a Robert, e lo tennero nella loro casa per
quasi due anni, un tempo così lungo che loro figlia pensò, per tanto
tempo, che Robert fosse un parente. Robert
doveva essere proprio impaziente di imparare, tanto che Ike,
generoso com’era, sottopose l’allievo ad una pratica intensa di
apprendimento, insegnando a Robert tutto ciò che
sapeva sulla chitarra e sul blues. Non è difficile
immaginare Robert Johnson divorare ogni insegnamento,
ed esercitarsi diligentemente, quasi religiosamente, per tutto il
tempo, giorno e notte, per via del fatto che il suo forte desiderio non
era solo quello di suonare il blues, ma di eccellere.
Secondo una delle credenze principali, Ike Zimmerman
imparò a suonare la chitarra blues nei cimiteri, dove
si esercitava a mezzanotte, seduto sulle pietre tombali. Tale notizia
fu confermata anche dalla figlia di Ike, che
raccontò a Steve LaVere che il padre si esercitava sia
di giorno, seduto sul portico di casa o di fronte al fuoco del camino
domestico, che di notte, presso il vicino cimitero di Beauregard,
ancora oggi esistente, sedendosi sopra le tombe, dove insegnò anche a Robert Johnson, ed anche gli abitanti che vivevano
intorno al camposanto ricordavano che era possibile sentirli suonare
tutti i giorni, anche di notte. La tradizione di suonare nei cimiteri
ricorda reminiscenze di pratiche spirituali e ascetiche, come la
meditazione negli ossari, per raggiungere la realizzazione interiore e
l’unione con l’ultraterreno. Un’immagine che di per sé contiene
notevoli implicazioni esoteriche e spirituali, e che, ovviamente, è
stata collegata ad altre storie raccontate sui musicisti blues,
relativamente ai loro rapporti con il diavolo e con il
soprannaturale. Lorethaperché poteva
suonare meglio, perchè lì c’era molta quiete … a mezzanotte quando
tutti erano addormentati …. nessuno camminava da quelle parti a
disturbare, né potevano disturbare nessuno suonando in mezzo alla
notte. Non era spaventoso e di certo non incontravano il diavolo ... Ma
lui tornava e diceva che aveva suonato per gli spiriti, il che
scatenava una grande risata”. Quindi Zimmerman
cercava semplicemente un posto di pace e quiete in cui suonare, e non
per chiamare le potenze delle tenebre, ma per evitare di svegliare i
suoi numerosi figli, mentre lui e Robert suonavano
fino a notte, e su questa scia si è indirizzata la recente ricerca
dello studioso di blues Bruce
Michael Conforth, esposta nel libro Ike Zimmerman:
The X in Robert Johnson’s Crossroads, pubblicato nel 2008
dalla rivista Living Blues.
Loretha escluse categoricamente che ci
fosse qualcosa di soprannaturale nel visitare il cimitero di notte, né
che Robert si fosse recato presso un crocicchio per
vendere l’anima al diavolo, e tantomeno che il diavolo fosse suo padre,
anche perché, come tenne a precisare, “papà era un uomo
timoroso”. Loretha ricordò “loro andavano in cimitero e
si sedevano sulle tombe. Non era ad un crocicchio. Era un sentiero, ma
non c’era un crocicchio (crossroad). Loro semplicemente attraversavano
la strada (cross the road) per andare al cimitero”. Per
raggiungerlo, infatti, Robert e Ike,
dalla casa degli Zimmerman, ubicata a The
Quarters, dovevano prendere un sentiero piccolo e polveroso
attraverso il bosco, quindi attraversare un incrocio e proseguire
dritti verso il cimitero. Il sentiero che percorrevano per raggiungere
il cimitero ha generato molte credenze, a proposito della canzone Cross Road Blues, dando un senso alla frase che parla di “andare giù verso il crocicchio”, ma in realtà non ha
niente a che fare col mito: nessun diavolo, nessuna magia, solo un
musicista e il suo Maestro, seduti nottetempo sulle tombe dei cimiteri,
ad esercitarsi alla chitarra, suonando blues. *L'articolo è un sunto del capitolo I RE DEI RE, tratto dal libro "UN SALTO NEL BLUES - La colonna sonora della mia Anima… ain’t nothin’ but The Blues", di SALVATORE AMARA (ed. CUEC).
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