Blues dalla Sardegna: un incontro con Francesco Piu
(a cura di Gianni Franchi)
La prima
volta che misi piede in Sardegna, nei lontani anni ’90, fu per suonare. Un
fortunato giro per i festivals e le piazze dell’isola. Grazie alle capacità di
un promoter veramente in gamba (lo voglio ricordare, Isio Saba, da poco
purtroppo scomparso), riuscimmo a girare per una ventina di giorni in lungo e
largo questa meravigliosa terra. Dal sud, vicino Cagliari dove avevamo la base
(una splendida villa sul mare a Torre delle Stelle) ci spostavamo in pulmino
ogni giorno per raggiungere la nostra meta. Negli anni furono diversi i nostri
giri per l’isola. Passavamo dai grandi festival jazz di Ozieri e Calagonone alle
piazze estive affollate di turisti e persino nei paesi dell’entroterra dove
eravamo sempre ben accolti da gente simpatica ed ospitale.
Non mi ricordo se a quell’epoca si facessero festival esclusivamente Blues, il
jazz la faceva da padrone.
Forse proprio la nascita in un piccolo paese della Sardegna del grande
trombettista Paolo Fresu, ha fatto si che il jazz abbia trovato molti spazi al
contrario del blues.
La bellezza dei luoghi ed il calore della gente fece si che mi innamorai della
Sardegna. Da quegli anni ci sono ritornato molte volte in estate girandola da
nord a sud, ma questa volta solo per piacere.
Ora la situazione sembra cambiata con la presenza di alcuni blues festivals,
gruppi e solisti blues, che stanno
cercando la loro strada nel blues italiano.
Con piacere ho scoperto qualche anno fa anche un programma radio dedicato al
blues, grazie al lavoro di Massimo Salvau con il suo "Note Blues", in onda dal
2000.
Proprio questa estate, in vacanza nell’isola, un amico del posto mi parlava con
grande entusiasmo di Francesco Piu , validissimo esponente del blues sardo, ed
una serie fortunata di coincidenze mi ha portato ad incontrarlo proprio a Roma .
Il suo concerto al Caffè Latino è stato veramente sorprendente. Non è certo
facile tenere il palco da soli facendo divertire e coinvolgendo un pubblico
composto - tra l’altro - non solo da appassionati di blues.
Francesco dal vivo è veramente una forza della natura, con una voce calda e
convincente ed una tecnica chitarristica che lo fa muovere con disinvoltura
dalla chitarra acustica, al dobro, alle accordature aperte con lo slide e
persino al banjo, strumento non presente spesso tra le attrezzature di un
bluesman.
E se questo non bastasse Francesco si cimenta anche in un divertente brano con
armonica e washboard (l’antenata della lavatrice come lui scherzosamente dice)
molto coinvolgente ed eseguito in mezzo al pubblico.
Il repertorio spazia da brani di Robert Johnson , Keb' Mo', Eric Bibb, blues
classici e persino una rilettura molto riuscita di un brano portato al successo
qualche anno fa dall’interpretazione elettro pop di Moby. Francesco riesce nella
non facile impresa di non farci "sentire" la mancanza di un gruppo completo
dimostrando una grande padronanza ed esperienza pur essendo appena trentenne.
Dopo aver anche ascoltato i suoi lavori discografici, ho pensato quindi di fare
una bella chiacchierata con lui.
Intervista
S&B: Francesco, prima di tutto complimenti sinceri da uno che di blues ne ha
ascoltato tanto. Raccontaci qualcosa su come hai iniziato e che tipo di scena
musicale si trovava in Sardegna ai tuoi esordi.
FP: Grazie di cuore innanzitutto! Ho iniziato a suonare più o meno all'età di
dieci anni grazie alla passione per la musica che si respirava nella mia
famiglia: mio padre suonava il basso e mio fratello la chitarra, in più avevo
diversi cugini e zii che suonavano vari strumenti e alla fine, un po' giocando,
iniziai a strimpellare qualcosa con le chitarre che c'erano in casa. Se mi
ricordo bene in quegli anni, parliamo di primi '90, il gruppo di punta in
Sardegna erano i Tazenda, a me piacevano molto, ma grazie ai vinili che avevo in
casa ascoltavo tanto rock d'annata, dai Deep Purple agli Uriah Heep fino a
Santana.
S&B: Come è avvenuto il tuo primo incontro con il blues e quali sono i tuoi
riferimenti musicali in generale e nel blues in particolare?
FP: Il primo incontro col blues fu col disco "Jazz Blues Fusion" di John Mayall,
mio padre mi consigliò di ascoltarlo ed io iniziai pure a suonarci sopra
qualcosa sia con la chitarra che con l'armonica, un po' a caso, ma qualcosa ogni
tanto ci stava bene.
S&B: Sappiamo che quando puoi ti esibisci in trio con Pablo Leoni alla batteria
e Davide Speranza all’armonica (presenti anche sui tuoi cd), vuoi dirci qualcosa
dei tuoi compagni?
FP: Ho sempre suonato in solo da quando ho iniziato col progetto acustico, poi,
al Blues Festival di Piacenza del 2008, incontrai Pablo e Davide e mi trovai a
meraviglia con loro, dapprima sotto il palco e poi, di conseguenza, "on stage".
C'è una bella intesa tra noi, Pablo è il più grande dei tre ed ha molta
esperienza, è veramente un'ottima persona e andare in giro con lui mi ha
insegnato tanto; Davide è un grande talento, con l'armonica ha un lirismo che lo
porta con disinvoltura anche al di fuori dal blues e poi, umanamente parlando, è
veramente una persona solare! Grazie a questi ingredienti è nato un feeling
sincero tra noi, penso lo si senta ascoltando i dischi e vedendoci dal vivo.
S&B: La scelta di suonare spesso come “one man band “ è una scelta sicuramente
molto impegnativa Quali sono le maggiori differenze che avverti nel suonare da
solo od esibirti con il tuo trio?
FP: Il mio progetto come "one man band", devo dire, è stato impegnativo
soprattutto nei primi periodi quando, abituato a suonare in band, ho deciso di
propormi in questa dimensione solitaria. Una volta avviata la cosa però devo
dire che in solo sono riuscito a sviluppare una concezione dello show e della
chitarra in maniera più "totale". Pensare alla chitarra come ad una band con
basso e batteria, questo devo dire mi ha aiutato a sviluppare l'aspetto del
groove più che del fraseggio solistico, cosa che ricercavo precedentemente. Con
l'aggiunta di Pablo si è aggiunta una batteria e delle percussioni che hanno
moltiplicato il groove che già da solo riuscivo a sviluppare. Davide invece fa
il “cesellatore”, quello che rifinisce il tessuto sonoro creato da chitarra e
batteria. Fondamentalmente sia che suoni in solo, in duo con batteria o in trio,
penso venga fuori comunque il mio concetto di sound che ho provato a sviluppare
finora, un sound con strumenti tipici del Delta Blues ma che, stilisticamente,
strizza l'occhio al soul, al funk ed al rock, e prova a miscelarli nel rispetto
della tradizione.
S&B: Come è avvenuto l’incontro con la Groove Company, la tua agenzia ed in
qualche modo tua famiglia musicale nel continente?
FP: Con Gianni Ruggiero di Groove Company ci incontrammo nel 2003 al Narcao
Blues Festival. Io vinsi quell'anno il concorso “Blues From Sardinia” col mio
gruppo “Blujuice” mentre lui collaborava nello staff del festival. Da lì ci
tenemmo in contatto e dal 2005 iniziammo una collaborazione che è sfociata nella
produzione dei miei tre dischi: “Blues Journey” del 2007, “Live at Amigdala
Theatre” del 2010 e “Ma-moo To nes” del 2012.
S&B: Tra i tanti strumenti a corde che utilizzi c'è il banjo, strumento
considerato tipicamente country e bluegrass. Come Otis Taylor ci ha ricordato,
anche se non utilizzato molto frequentemente nel blues moderno , è una parte
importante della tradizione afroamericana. Qual'è il tuo approccio allo
strumento e quali i tuoi riferimenti, se ne hai?
FP: Io uso un banjo bluegrass a 5 corde, il mio approccio sullo strumento si
rifà proprio al sound che Otis Taylor ha espresso nei suoi dischi, in
particolare penso a "Respect The Dead" e "Below The Fold". Attingo però anche da
altre espressioni più tradizionali come quelle che portano in giro artisti quali
Guy Davis, Taj Mahal e Keb' Mo'.
S&B: Un brano del tuo cd dal vivo è firmato da Eric Bibb che è stato poi
produttore artistico del tuo ultimo album Ma-moo-tones. Come sei venuto in
contatto con il bluesman americano e quale è stato il suo maggiore contributo
nella realizzazione dell’album?
FP: Sono un fan di Eric Bibb sin dalla prima volta che lo vidi dal vivo al Lodi
Blues Festival nel 2007. Nel 2010 ebbi la fortuna di aprire un suo concerto.
L'anno successivo, grazie al mio amico promoter Marco Cresci, ci suonai
addirittura assieme a Cagliari. Lì gli proposi il progetto e pian piano gli feci
ascoltare i vari provini fino a quando, attraverso la collaborazione tra Gianni
Ruggiero di Groove Company e Gigi Bresciani di Geomusic, entrammo a registrare
il disco nei primi di dicembre 2011. Eric aveva tre day off del tour italiano e
allora seguì tutte le registrazioni negli studi Suonovivo di Bergamo
intervenendo qua e là sulla parte musicale ma, soprattutto, lavorando sulla
linea vocale e sulla pronuncia dei testi. Dal punto di vista vocale lavorare con
lui mi ha fatto crescere davvero tanto: avere al fianco un personaggio di tale
caratura ed esperienza ti arricchisce in ogni minima sfumatura, ti fa vedere le
cose da prospettive che neanche immagini, è stata un'esperienza magnifica!
S&B: Tra i brani del Cd che ho ascoltato anche dal vivo ce ne uno che, mi dice
il mio amico Jonis, è un rifacimento addirittura di un pezzo di Moby, giusto?
FP: Si tratta di "Trouble so Hard" che in realtà è un pezzo di Vera Hall, penso
del 1943, poi ripreso in una bellissima versione da Moby nel 2000 e da lui
ribattezzata "Natural Blues". La versione che si trova online della Hall è a
cappella e, se non sbaglio, è stata registrata durante le sue ricerche da Alan
Lomax. E' un brano che mi emoziona dalla prima volta che l'ho sentita e nel
cantarla mi fa vibrare in profondità l'anima, è un pezzo meraviglioso.
S&B: Spesso i testi sono l'ultimo pensiero dei bluesmen nostrani (e non solo).
Nel tuo tuo ultimo CD “Ma-moo tones“ invece la presenza di Daniele Tenca, autore
di molte delle interessanti liriche, mi fa pensare che ritieni importante anche
questo fattore nella stesura di un brano originale. Come nasce questa
collaborazione tra voi e quanto ritieni importante la storia da raccontare nelle
tue canzoni?
FP: Daniele l'ho conosciuto tramite il mio batterista Pablo Leoni ed assieme
abbiamo deciso di collaborare per diversi testi del disco. Essendo nato come
chitarrista ho sempre pensato soprattutto all'aspetto musicale, al sound da
proporre, ma ultimamente, devo dire che, appassionandomi anche al canto, sto
dando maggiore peso al messaggio che attraverso la voce arriva. Guardandoci
attorno, la società ci dà tanti spunti e storie blues ogni giorno; per esempio,
nel primo brano dell'ultimo disco ,”The End of Your Spell”, ho sentito proprio
l'esigenza di urlare la mia rabbia contro il decadimento culturale che abbiamo
avuto qua in Italia nell'ultimo ventennio.
S&B: Da quando stai girando in lungo e in largo con la tua musica avrai
incontrato molti artisti noti e meno noti, quale è l’incontro che ricordi con
più piacere?
FP: E' difficile citarne solo uno perchè veramente ho incontrato davvero delle
persone straordinarie e devo dire che, a livello internazionale, i più famosi
sono quelli che mi hanno trasmesso un grande senso di umiltà e semplicità.
Comunque, su tutti, e non me ne vogliano gli altri ma qua ne posso citare solo
uno, direi quello con Tommy Emmanuel, uno dei miei miti chitarristici di sempre:
gli aprii un concerto, già nei camerini mi mise subito a mio agio ridendo e
scherzando come fossimo amici di vecchia data, poi mi chiamò a suonare assieme e
a fine concerto mi richiamò per fare l'inchino e dividere con me gli applausi
del teatro in delirio, solo a ripensarci mi si riempie il cuore di gioia!!!
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