Questa nuova iniziativa culturale di Spaghetti & Blues è stata ideata da Angelo
Blues Agrippa appassionato di blues e promoter di ‘Spaghetti & Blues’ per la
Campania. Angelo nasce a Napoli nel ’55, da giovane è stato uno dei figli dei
fiori più “fioriti”, portava i capelli lungi, i pantaloni a zampa d’elefante e
l'orecchino (quando non era una moda). Racconta di se Angelo: "Sì, mi vestivo a
'Resina' (mercato degli stracci ), facevo parte dell'esercito degli hyppies...
ho vissuto la mia giovinezza in un periodo tanto Magico quanto Illusorio, “PEACE
& LOVE” non sono riusciti a disarmare il mondo!".
La sera del 20 maggio si è conclusa a Napoli, nel pub di Chiaia dal nome più
irlandese (e dalla birra più bionda) la rassegna musicale più nera (nel senso
del sound) della stagione 2005-2006, almeno qui da noi, nella città rossa (come
la pummarola) e bianca (come la mozzarella) della pizza: e il mix che risulta, a
consuntivo di “Nei vicoli del blues” (un fiore all’occhiello per il movimento no
profit Spaghetti&blues, di cui Angelo Agrippa è coordinatore in Campania), il
mix, si diceva, a sua volta , ha un blend in verità più arlecchinesco che
pulcinellesco, se è vero che il blues nostrano è la pezza a colori della musica
del diavolo; e che Robert Johnson, se fosse nato da queste parti, avrebbe
cantato una sweet home ugualmente struggente, ma segnata da crossroads piene di
rapaci posteggiatori abusivi e di diabolici ausiliari del traffico capaci di
farlo impazzire per davvero, il diavolaccio della musica, e di elettrizzarla
anzitempo, la sua magica sei corde dal sound che ancora risuona, misterioso e
accattivante, dall’abisso temporale e transoceanico che corre dai rurali anni
venti del suo secolo all’attuale nostro casino napoletano, mediterraneo e
malamente urbanizzato, infestato com’è dalle minacce antiche della camorra e da
quelle recenti dei berlusconi in cerca di appartamento con vista: e i risultati
sonori del nostro nume tutelare sarebbero stati forse non dissimili dalla somma
delle musiche che sul palco del Sullivan’s si sono succedute in questi mesi.
Perché, come è noto, è la somma che fa il totale, e alle band che hanno suonato
nella rassegna non ha mai fatto difetto, assieme all’amore per le radici più
strabico ed eterodiretto che si può (rispetto, of course, alla tradizione melica
partenopea del bel canto a fronna ‘e limone), la più sfrenata smania
dell’erranza e della trasgressione rispetto al codice santo delle dodici
battute; e della tonica, della dominante e della sottodominante; nonché, a
saldo, di tutte le blue notes che si vuole, dalla settima minore alla quinta
diminuita. Insomma: al Sullivan’s abbiamo sentito, in questi mesi, una blue-wave
vesuviana vestita dei panni multicolori della maschera padana. Chissà cosa
direbbe Bossi se non fosse menomato dalla paresi, lui che soleva cantare
Reginella. Chissà che ne pensa Apicella, il cantore che non vede l’ora di
allietare, al suo munifico Cavaliere, cene posillipine, piuttosto che arcoresi.
Fatto sta che nel pub di via Piscicelli Mario e Angelo hanno propinato via via
ai loro avventori, tra novembre e la jam di sabato scorso, le magie “roots” del
Migliaro trio e i vocalizzi oscuri di Gaia Fusco; le scabre spire sonore dei
Black Snake e le ariose geometrie del trio Catalitico; le bugie filologiche dei
True Blues e gli scrosci pentatonici dei Gocce di blues; gli straripamenti
tematici dei Just Blues band e le raggelanti sonorità di Francesco Forni; le
immedicabili sortite della Recidiva Blues band e le fioriture melodiche del Dr.
Sunflower; il cosmic blues dei Sunset and Blue e le mani lente (leste?) della
Baffo band; le gigionerie dei Blue Stuff e il folk and blues dei Folk and Blues;
le hendrixate dei Voodoo Chile e le lennonmaccartate dei Sottomarini (che non
sono mai di troppo, le une e le altre); le magie di Awa e le smagate amalgame
dei Juke Joint; l’arte del mettere di De Luca-Fresa-Pedicini e quella del
togliere di Francesca De Fazi; e ancora i Warm Gun , i Cock’o’drills, i Flash
Back, i Blues Bank e chiediamo scusa a quelli che abbiamo dimenticato (di sicuro
i più bravi).
Che dire ancora? La session finale è stata (poteva non esserlo?) memorabile, il tasso pentatonico (e quello alcolico) altissimo. Ci si duole dell’avarizia con la quale, a tarda notte, si è esibito il facitore della rassegna: ma Angelo ci ripagherà l’anno prossimo, a furor di popolo.
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