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Italian Blues River – una associazione per tenere vivo il Blues   a cura di Dario Guidotti

Siete appassionati di Blues, ma di Blues dalle vostre parti ce n’è poco? Vi tocca viaggiare per ascoltare i concerti? Vorreste coinvolgere i musicisti della vostra zona che ci sono, ma non sapete come fare?
Vi racconto l’esperienza di un gruppo di appassionati che abitano a 30 km da Milano e che hanno fondato una associazione per promuovere la musica blues.
L’associazione si chiama Italian Blues River. Dal 2003 organizza ogni anno un festival blues sulla riva dell’Adda e una serie di iniziative e di concerti, in cui si possono ascoltare musicisti stranieri e italiani. Qualche nome? Johnny Winter, Eric Bibb, Nine Below Zero, Sugar Blue, Robert Cray e Johnny Lang.  In più, organizza periodicamente jam sessions e promuove un contest per giovani bluesmen.
Magari leggendo la loro storia vi vengono delle idee...





                                                                                                    i soci IBR

Intervista a Franco Lo Monaco, presidente Italian Blues River.

SB: Raccontaci come nasce l’Italian Blues River

FLM: Prima dell’associazione nasce il Festival. L’idea è di Gianni Mangione, che oggi purtroppo è scomparso. Gianni era una persona piena di iniziative. Era stato tra i fondatori del Bloom. (un noto locale vicino a Milano). Ha avuto l’idea di fare un festival blues sul fiume, da cui Italian Blues River.
Io (Franco) ho avuto il piacere di suonare nel gruppo che ha inaugurato il Festival.
Gianni si era dato da fare per trovare degli sponsor. Uno dei più importanti è stato la municipalità di Brivio. L’assessore alla cultura era uno dei nostri soci fondatori.
L’esperienza è andata avanti fino al 2005 solo come Festival, dopo di che è nata l’associazione culturale, che ha preso lo stesso nome e si è data uno statuto.
Nello statuto compaiono principi quali la diffusione della musica in generale, la musicoterapia, l’attenzione al sociale...
All’inizio infatti l’associazione si era preoccupata di organizzare non solo eventi musicali ma anche eventi culturali. Fabrizio Poggi, ad esempio, è venuto a presentare un suo libro, e durante la presentazione ha suonato alcuni brani accompagnato da Francesco Garolfi.
Abbiamo sostenuto campagne di solidarietà, come quella allo Sri Lanka dopo lo tsunami. In quel caso abbiamo raccolto contributi per le associazioni che lavoravano sul posto.
Dopo varie edizioni del festival e varie iniziative, nel 2009 purtroppo Gianni Mangione è venuto a mancare. Anche se c’era un direttivo che gestiva collegialmente le iniziative, Gianni era il vero motore. A quel punto alcuni tra noi, tra cui io,  si sono sentiti in dovere di proseguire l’attività.

SB: Quali sono attualmente le principali iniziative dell’associazione?

FLM: Innanzitutto il festival, “Italian Blues River Festival”, che dura tradizionalmente due giorni e si svolge a Brivio. Questo anno si è svolto per due giorni anche a Calolziocorte. Vi hanno suonato moltissimi artisti italiani e stranieri. Tra gli italiani ricordiamo Treves Blues Band, Paolo Bonfanti, Mike Sponza, Francesco Piu. Tra gli stranieri, Nine Below Zero, Washboard Chaz, Alvin Youngblood Hart, Andy J. Forrest.
“Bloom in Blues”. E’ una serie di concerti, uno al mese, in genere da novembre ad aprile-maggio.
Quest’anno abbiamo inserito in “Bloom in blues” anche la semifinale dell’EBC, European Blues Challenge e, come di consueto, il “Memorial Gianni Mangione”, che si tiene in dicembre. I concerti coinvolgono artisti stranieri e artisti italiani a livelli diversi. Tra i tantissimi artisti stranieri che hanno suonato al Bloom in Blues possiamo ricordare Eric Bibb, John Hammond, Sugar Blue e Johhny Winter.
Sempre parlando di iniziative, ci sono anche il “BrasaBlues” in inverno e il “GrigliaBlues” in primavera, dove, pagando un prezzo fisso, si mangia, si beve e si fa musica insieme.
Sono eventi di tipo conviviale, che servono a rinsaldare i rapporti e il ricavato serve per finanziare il festival. Coinvolgono circa un centinaio di persone e tutti quelli che vengono in genere sono contenti, sia chi suona sia chi non suona. E’ un bel momento di aggregazione. Tutte le volte c’è un bel clima. Non è una cosa facile di questi tempi.
E infine ci sono le “jam”. Si tengono con regolarità quindicinale in un locale della zona. C’è una resident band, composta da membri dell’associazione, e un musicista ospite, in genere un chitarrista cantante, che ha il compito di aprire la serata e poi, se necessario, accompagnare i musicisti che vogliono fare la jam.
Per arrivare alle jam ci sono persone che fanno anche 40-50 km. C’è chi viene da Como, Bergamo, Milano. Una volta è venuto un ragazzo, un musicista, da Biella. Era venuto per sentire il chitarrista che teneva la jam, Danny De Stefani.
E’ bello, quando facciamo le jam, proporre personaggi che abbiano qualità maggiore, che trasmettano qualcosa, anche se spesso sono sempre gli stessi musicisti. Sono personaggi che trascinano e creano quell’atmosfera di armonia e convivialità che è il nostro obiettivo. 

SB: Perché fare una associazione?

FLM: Va detto che è una associazione non a scopo di lucro. Noi abbiamo una partita IVA  ma ci serve per fare i pagamenti, ad esempio agli artisti, o ricevere finanziamenti. Avere una partita IVA ti aiuta.
Se fai delle iniziative come singolo o come gruppo di amici non hai la rappresentatività adeguata per farti sovvenzionare da una amministrazione pubblica e per essere riconoscibile. Darsi uno statuto come associazione ti dà una veste ufficiale, sei definito come qualcosa che ha determinati scopi, scritti sulla carta, registrati. E’ anche una forma di impegno con te stesso.  Proporsi come associazione è importante. La gente ti dà fiducia proprio perché sei una associazione.

SB: Quanti soci ci sono?

FLM: Nel 2013 avevamo raggiunto il record di 139 tessere. Quest’anno (2014) siamo stati penalizzati dal cattivo tempo durante il festival in Giugno, che è un’occasione di tesseramento. Siamo comunque attorno al centinaio di tessere.

SB: Soci attivi?

FLM: Attivi, che partecipano attivamente non sono molti. Quando si tratta di dare una mano per mettere le sedie al festival, montare il gazebo... arriva sempre qualcuno all’ultimo momento. Se si tratta di organizzare, essere presenti dall’inizio alla fine di una manifestazione, siamo sempre quelli del direttivo più un paio di persone, Nel direttivo siamo una decina, compresi i probiviri.

SB: Quanto spesso vi riunite?

FLM: Non c’è una regola. Ci riuniamo ogni volta che una iniziativa deve essere discussa e preparata.
In linea di massima c’è una Assemblea Ordinaria in cui decidiamo cosa si farà durante l’anno, dopo di che ci si incontra per organizzare praticamente le iniziative. Magari ci si trova in ambito ridotto, altre volte il direttivo è al completo.

SB: Da dove arrivano i soci?

FLM: Dalla Brianza soprattutto, ma anche da più lontano. Fino da Milano, ad esempio.

SB: Parliamo di soldi....

FLM: Il festival è gratuito, a ingresso libero. Ma ovviamente ha dei costi.
Insomma i soldi servono. Per arrivare a fare il festival è importante avere un budget. Se vuoi proporre buona musica, se chiami qualcuno di importante, che ti propone uno spettacolo di qualità, lo devi pagare.
Il bello è che quello che spendi per gli artisti non è la parte preponderante. C’è la SIAE. Ci sono le spese di pubblicità, che non sono poca cosa: se la fai alla radio costa, se fai i manifesti costa. Ci sono le spese di gestione. Un festival come quello di Brivio, in cui suonano artisti italiani di buon livello, arriva a costare qualche migliaio di euro. Il finanziamento è coperto dai contributi delle amministrazioni locali e dagli sponsor. Poi c’è il ricavato delle tessere, della vendita delle magliette e infine il ricavato della somministrazione di cibi e bevande.
Anche in questo caso bisogna sapere come fare. Noi ci siamo muniti delle autorizzazioni e abbiamo fatto addirittura un corso per somministratori. Devi avere persone che preparano gli alimenti e persone che stanno al banco. 
Negli ultimi anni lo abbiamo dato in gestione al proprietario di un locale della zona. In quel caso, è evidente che gli utili vanno suddivisi.

SB: Ma anche i gadget danno un introito: magliette, felpe.

FLM: Le nostre magliette sono belle, hanno un’ottima stoffa. Uno dei nostri soci fa gli acquisti per una grande azienda e ci ha dato la dritta di dove andare ad acquistarle a poco prezzo con buona qualità. Noi le vendiamo a 10 euro, un prezzo onesto. Se riesci  a pagarle 2 euro tra stampa e maglietta, 8 vanno all’associazione.
E per ultime ci sono le tessere, che costano da sempre 10 euro.
A questo si aggiungono tutte le altre iniziative: BrasaBlues, GrigliaBlues. Anche le jam permettono di mettere qualcosa nella cassa dell’associazione. Il proprietario del locale dove si tiene la jam versa un contributo che va al musicista ospite e alla cassa dell’associazione.

SB: Non penso che voi vi mettiate in tasca qualcosa...

FLM: (Franco scoppia a ridere) Certo che no! A volte ci dobbiamo mettere qualcosa di tasca nostra
Noi stessi, membri del direttivo, paghiamo la nostra quota alle iniziative conviviali e facciamo la tessera come tutti gli altri.

SB: Parliamo di blues e di giovani. I musicisti blues sono sempre un po’ “vintage”. Che politica ha l’associazione?

FLM: Questo è un punto dolente. Si fa fatica nel blues ad avere la partecipazione dei giovani. Sia organizzativamente sia musicalmente.
Una delle iniziative del “Bloom in blues” è il Challenge tra i gruppi giovani. Il vincitore ha il diritto di suonare al festival in Giugno. Inoltre, in occasione del Mangione Memorial, premiamo con una targa un gruppo blues giovane che si sia distinto in particolar modo.
Non possiamo pensare che i musicisti della nostra generazione (50enni) siano il futuro. Per cui quando c’è un giovane, come Gabriele Scaratti (il vincitore del challenge 2014) ne siamo molto contenti. Gabriele suona bene, canta bene... è entusiasta della associazione... ne trovassimo due così ogni anno!
Il blues è un tipo di musica per persone mature. Le mie figlie quando erano ragazzine e mi sentivano suonare dicevano: “Che palle il blues!”. Quando sono cresciute hanno capito quale era la musica bella da ascoltare. Non sono diventate delle fanatiche di Blues però, invece di ascoltare heavy metal, si ascoltavano Aretha Franklin. Insomma qualcosa abbiamo seminato.
Capita che queste cose arrivino con la maturità. Parlavo tempo fa con Angelo Leadbelly Rossi. Non ha cominciato con il blues. faceva il disc jockey. Con il pop. Poi si è innamorato del Blues. 

SB: io penso che i ragazzi che studiano uno strumento dovrebbero partecipare alle jam di blues. Imparerebbero molte cose, dall’improvvisare allo stare sul palco.

FLM: Io ho imparato tantissimo facendo le jam. Sono un entusiasta delle jam dell’Italian Blues River perché ho l’occasione di partire io con il trio (la resident band) e posso suonare con tutti i più bravi. Questa cosa mi ha arricchito moltissimo. Nelle jam devi imparare a metterti in gioco, a buttarti.
Poi, come “direttore” della jam adocchio le persone sedute tra il pubblico, le annuso. Chiedo: “suonate?” “ma sì... ma no... “. “e allora perché non ti iscrivi nella lista? Dai iscriviti!”
C’è gente che ha paura a buttarsi. Poi ci sono quelli hanno vinto le esitazioni, si sono divertiti, continuano a venire, magari hanno creato un  gruppo con quelli che hanno conosciuto lì. Questo è lo scopo della nostra iniziativa.Ogni tanto viene anche qualche giovane.  Credo che ci sia una certa riluttanza per paura di non essere all’altezza. O per un distacco generazionale che non li invoglia. 
Poi arriva quello “illuminato” che invece va oltre, come Gabriele, perché ha la mentalità giusta. 

SB: Se uno volesse organizzare un festival, deve contattare gli artisti. Voi come fate?

FLM: Noi siamo fortunati, abbiamo un direttore artistico, Stefano Brambilla, che lo fa di mestiere ed è anche il direttore artistico del Bloom. Stefano è molto bravo, si è laureato in lettere con una tesi sull’organizzazione dello spettacolo, compresi gli aspetti giuridici.
Chi comincia può imparare da chi organizza altri festival blues, chiedere consiglio, tenersi in contatto con gli altri.
Gli organizzatori di festival Blues non sono come i gestori dei locali, c’è più aiuto reciproco...
Per contattare noi dell’Italian Blues River possono scrivere a info@italianbluesriver.com. E’ un indirizzo di posta che legge il webmaster e che leggo io. In genere rispondiamo.
Succede che gente chieda tutto e di più rispetto a quello che facciamo.

Molte volte un festival approfitta degli stranieri che sono in tournée.
Diciamo che la programmazione non è fatta ad esclusivo gusto musicale. E’ una combinazione di cose. Se vuoi portare un nome importante, specie di stranieri, devi approfittare di queste occasioni.

Quando c’è il day-off del tour, quando l’artista quel giorno non ha un concerto, magari una domenica, tu puoi avere la sua partecipazione a condizioni favorevoli.
Noi non contattiamo direttamente l’artista, in genere c’è un promoter, un manager che ha in carico la tournée. E queste cose le fa il direttore artistico.

SB: E se uno volesse fondare una associazione a chi può chiedere consiglio?

FLM: In Italia c’è una rete non indifferente di festival blues attivi, più o meno importanti. Dico rete perché ci si scambiano le informazioni. Si collabora, si condividono i link e i logo sui siti.
Chi vuole iniziare può a chiedere a chi già organizza dei festival, a chi ha già una associazione.
Dopo, più si va avanti più le cose diventano facili. A quel punto è la montagna che va a Maometto, sei tu organizzatore ad essere contattato. Io tutti i giorni leggo proposte che vengono dall’estero o dall’Italia.  Artisti, manager che ti scrivono proponendo i gruppi.
Per fare un’associazione, consiglio comunque di darsi uno statuto e poi trovare dei fondi, perché non si fa nulla senza una base economica.
La cosa più semplice, una volta, era rivolgersi a un’amministrazione comunale e sperare di ottenere qualcosa nell’ambito degli stanziamenti dedicati alla cultura. Devi trovare l’amministrazione sensibile a queste tematiche. Lo stesso per i locali a cui proporre le jam. Ci sono proprietari più diffidenti; anche noi ci siamo sentiti dire il classico “ma quanta gente mi porti?”, a volte ci siamo dovuti anche adattare. Ci sono altri a cui piace avere musica dal vivo di buona qualità.
Il successo delle jam session viene, prima di tutto, dalla buona atmosfera che si percepisce nella serata, il fatto che sia una cosa piacevole per chi partecipa e per noi che stiamo lì e ci mettiamo dell’impegno. E poi che ci sia anche qualcosa che entra per l’associazione. E’ un dare e avere.

SB: Chiudo qui questa intervista a Franco. In oltre 10 anni l’Italian Blues River ha fatto molte cose ed ha ragione di essere orgogliosa dei suoi risultati. 
Io stesso le sono debitore, sia come appassionato sia come musicista. L’ho sempre detto: la passione per il Blues mi è tornata assistendo a
uno dei suoi concerti e da quella “illuminazione”  è nata una band, blueCacao, che in cinque anni ha fatto più di  100 concerti e un album.
Chissà che qualcuno che legge non abbia voglia di provare a fare qualcosa di simile, magari in un’altra parte di Italia.

Per informazioni Italian Blues River:
www.italianbluesriver.com
Facebook: Italian Blues River
info@italianbluesriver.com


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