Paul Jones, la genesi del British Blues
intervista di Gianni
Franchi, introduzione di Michele Lotta Volge
al termine la rassegna "L'Asino in Blues" fortemente voluta ed
organizzata da Gianni Franchi (Jona's Blues Band) in memoria dell'amico
Herbie Goins, il cantante americano che ha vissuto per lunghi anni in
Italia, ha collaborato sia con la Jona's che con altri musicisti
nostrani, divenendo, di fatto, uno di noi (ha anche sposato
l'italianissima Celestina Morando, sua affezionata compagna fino alla
fine). Abbiamo
già sottolineato in altre occasioni l'incidenza che Goins ha avuto sul
British Blues nei dorati anni sessanta come cantante dei famosi Blues
Incorporated di Alexis Korner guadagnandosi diverse volte la Top Ten
britannica.
Per
chiudere la rassegna
col botto, arriva da Londra a rendere il suo omaggio a Herbie, Paul
Jones, altro grande protagonista del Blues inglese. Jones fu cantante
dei Manfred Mann ed in quel periodo così vivace, suonò un po' con
tutti. Si ricorda in particolare la sua amicizia con Brian Jones alla
quale fa anche riferimento nell'intervista. E proprio Brian e Keith
Richards gli proposero di mettere su una band... lui rifiutò per
continuare con i Manfred con i quali registrò diversi hit come la
famosa "Mighty Queen". Lasciò
il gruppo nel 1966 provando la carriera da solista con lo LP "MY
Way"; il disco però non ebbe il successo sperato e Jones cambiò
mestiere. Dopo gli
anni settanta ha condiviso l'attività di musicista a quella di attore e
di conduttore televisivo e radiofonico (una sua trasmissione
alla BBC va con regolarità "On Air"). Jones è attualmente il presidente della National Armonica League ed è stato premiato "armonicista dell'anno" nel blues britannico Awards del 2010, 2011 e 2012, nonché Blues Broadcaster dell'anno. Ha ricevuto un premio alla carriera nel 2011. Nello stesso anno, la Federazione Blues of America gli ha conferito il Blues Alive Award. Nel 1979 mette su la Blues Band assieme al cantante/chitarrista slide Dave Kelly (che aveva già suonato con Howlin' Wolf e John Lee Hooker). La prima line-up della band comprendeva anche il bassista Gary Fletcher, il chitarrista Tom McGuinness (anchegli ex Manfred Mann) ed il batterista Hughie Flint. Con la Blues Band è tutt'ora "on the road" ed ha all'attivo oltre venti dischi (tra registrazioni in studio e album live). Certamente da ricordare la sua prima esperienza italiana
con il compianto Guido Toffoletti, in quello che possimo definire come
il battesimo del Blues internazionale nel nostro Paese. Venerdì 13 maggio sarà quindi a Roma, presso L'Asino che
Vola, ed avremo l'occasione di vederlo dal vivo nella sua unica data
italiana con il suo personale tributo a Herbie Goins accompagnato
dalla Jonas Blues Band. Per arrivare "preparati", vi consiglio di
leggere l'intervista che ci ha concesso in esclusiva.
intervista SB: Le prime
notizie che ho trovato riguardo la tua carriera ti vedono come giovane
armonicista girare per i blues club di Londra in compagnia di Brian
Jones.
Puoi raccontarci qualcosa di quel periodo? PJ: A quei tempi ero più un cantante che un
armonicista, lavoravo con una band che faceva musica da ballo. Avevo
comprato una armonica dopo aver ascoltato Junior Wells su un brano di
T-Bone Walker - ma non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi al suono che
aveva Junior. Brian mi ha mostrato come suonare in "cross-harp" o, come
si dice oggi, in seconda posizione.
SB: Come ti sei appassionato alla musica
blues? Chi erano i tuoi armonicisti preferiti? PJ: Mi ero appassionato al jazz da quando
avevo 14 anni ma
dopo aver ascoltato il disco di Lonnie Donegan ‘Rock Island Line’,
velocemente
ho iniziato ad immergermi nel blues – più lo sentivo, più lo amavo. Una volta assorbito quello che Brian mi aveva
insegnato, ho ascoltato tutti gli armonicisti blues, e l’armonicista di
Muddy
Waters all'epoca, James Cotton, divenne il mio preferito. Ma più lo
studiavo,
più amavo il blues e seguivo il grande Little Walter con Sonny Boy
Williamson
II subito dopo.
SB: Nel 1962 sei diventato il cantante
armonicista dei
Manfred Mann, una fantastica band che mischiava blues, R & B con
brani jazz
strumentali. Cosa puoi raccontarci su quella esperienza e come mai ad
un certo
punto hai deciso di abbandonare la band? PJ: Nessuno mi chiede mai per prima cosa
perché sono
entrato in questo gruppo - solo perché
lo ho lasciato. In realtà la risposta sarebbe la stessa: perché dovevo
seguire
una nuova fase della mia carriera. A dire il vero, ero stufo di essere
chiamato
'Manfred' - ed anche perché, anche se
cercavo di avere il controllo del repertorio fin dall'inizio, in quel
momento
cominciava ad allontanarsi dai miei gusti, e non avevo voglia di fare cose come 'Fox On The Run'. SB: Secondo te,
perché nella Inghilterra di quegli anni c'erano così tanti talenti,
tanta
creatività ed una scena musicale che più avanti avrebbe dato vita a
così tante
famose rock band? PJ:
Perché noi tutti ascoltavamo attentamente e più spesso
e a lungo possibile la musica americana - che gli stessi
americani avevano smesso di ascoltare, e persino dimenticato.
Recentemente
Lonnie Mack è morto; pochi americani lo conoscono bene, al contrario di
quello
che ha
fatto certamente
Stevie Ray Vaughan. Mack, direttamente o
indirettamente, ha influenzato Clapton, Page, Beck, e la maggior parte
dei
chitarristi che sono venuti dopo di loro. SB: Il tuo primo album solista "My
Way"(1966)
è un disco pop senza armonica e brani blues. Fu una scelta della tua
casa
discografica? PJ: Quando ho lasciato i Manfred, credevo
che avrei potuto
avere un maggior controllo su quello che facevo. Non
era solo la casa discografica, all'epoca
con la ripartenza della mia carriera, avevo un manager, un agente, un
produttore discografico, uno per le public relations, un direttore ed
arrangiatore musicale - a tutte queste persone si deve quello che è
successo! SB: Negli stessi anni hai registrato alcuni
brani con
Clapton, Winwood e Jack Bruce per la Elektra. Una formazione , The
Powerhouse,
che poi si sviluppò in varie e famose rock bands (CREAM, Blind Faith).
Perché
questo gruppo non continuò invece? PJ: Avevo messo su questo gruppo su
richiesta della Elektra
records, che voleva introdursi nel mercato britannico con un album che
stavano
facendo dal titolo ‘What’s Shakin’? SB: Negli anni 70 hai lavorato
principalmente come
attore, fino al 1979 quando
hai fondato, con altri veterani del
British blues, The Blues Band. Come mai avete pensato di formare una
band che
suonava blues negli anni del punk e new wave ? PJ: Non era cosi strano. Già c'erano altre
bands che
suonavano blues – o una specie di punk-blues, che derivava a grandi
linee
dall'esempio dei Doctor Feelgood. È perché molti di loro erano di base
nella
contea dell' Essex: The Kursaal Flyers, Eddie and The Hot-Rods, Lew
Lewis, etc.
Anche the Pirates ed i Nine Below Zero suonavano punky blues nei pubs. SB: Come hai conosciuto Herbie Goins e cosa
ricordi di
lui? PJ: Ho incontrato Herbie perché era il
cantante di Alexis
Korner’s Blues Incorporated, e Alexis era il centro del mondo blues in
UK. Lui
era ‘the real thing’ essendo sia Americano che nero , e mi sembrava
avere la
giusta mistura di raffinatezza ed essenza allo stesso tempo del blues
downhome
(‘Downhome-ness’) il che era veramente speciale. SB: In Italia hai collaborato con Guido
Toffoletti, come
siete entrati in contatto e cosa ricordi di questa esperienza? Conosci
altri
musicisti blues italiani? PJ: Guido in realtà si è messo in contatto
con me, ma non
ricordo i dettagli – era molti anni fa! Mi ricordo in particolare che
fu Guido a chiamarmi da
Venezia per dirmi che Alexis era morto – a Londra, dove anche io mi
trovavo, ma nessuno qui a Londra mi
aveva avvertito. SB: Il tuo ultimo album "Suddenly I like
it" (2015) un ottimo lavoro con brani
originali e blues covers, hai come ospite Joe
Bonamassa alla chitarra in una canzone. Cosa pensi di
lui ed in generale sui più giovani
musicisti blues odierni? PJ: Joe è un fantastico musicista, un
artista molto attento
ed appassionato ed è un delizioso amico. .Si merita tutto il suo
successo.
Molti dei musicisti più giovani stanno imparando da lui e tutti
potremmo
imparare qualcosa da lui. Non c'è sempre
da imparare qualcosa? SB: E riguardo la scena blues inglese di
oggi? PJ: Non ho molto da dire su quello che
accade oggi in UK. Molti giovani talenti stanno comparendo sulla scena
blues continuamente, e molti dei - come dire? - più maturi continuano a
suonare
regolarmente ed avere una vita soddisfacente. Se
devo fare una critica, sarebbe ora che i media
conoscessero la storia del Blues ad un
livello superiore. SB: Hai
organizzato dei concerti di beneficenza al Cranleigh Arts Center dove
hai avuto
degli ospiti come Van Morrison, Paul Weller, Eric Bibb. Puoi dirmi
qualcosa in
più su questi concerti ? Pensi che
musica e solidarietà sia un connubio che funziona? PJ: Sono 10
anni che
faccio questi concerti di beneficenza, con
la partecipazione di artisti come quelli citati ma
anche Eric
Clapton, Chris Barber, Imelda May, Gary Brooker, Paddy Milner, P. P.
Arnold, Bernie Marsden, Andy Fairweather
Low, Shakin’ Stevens, Pee Wee Ellis, Robben Ford e molti altri, hanno contribuito a raccogliere decine di
migliaia di sterline per beneficenza. Naturalmente penso che funzioni! SB: Muddy diceva "The blues had a baby and
it
named rock'n'roll", pensi che il blues avrà altri figli ? PJ: Clarence Fountain of the Blind Boys, uno
dei maestri
del gospel, una volta mi ha detto “prima
di tutto c'era la gospel music, poi è arrivato il blues, e poi il jazz
”. Se
questa cronologia è corretta, il blues ha avuto un altro bambino prima
del rock
‘n’ roll, e lo hanno chiamato jazz. Io
non prevedo il futuro, ma sono sicuro che arriveranno altri sviluppi. SB: Progetti
futuri ? 13/10, Una serata speciale per festeggiare le 87 primavere di mr. Harold Bradley Harold Bradley è una delle figure storiche della musica afroamericana in Italia. Cantante, pittore, attore ed ex giocatore professionista di football americano, è ricordato anche come il fondatore del Folkstudio, lo storico locale romano che fu il primo a proporre già dagli inizi degli anni 60 musica gospel, folk, blues e jazz, e punto di incontro di tanti appassionati di musica. Harold
nasce il 13 ottobre 1929 a Chicago. Fin da giovanissimo si interessa
all'arte, soprattutto musica e pittura,
tanto che nel 1951 si laurea in “Belle arti” all'Università dello Iowa.
Non
sempre i personaggi che hanno fatto la storia della musica sono in
primo piano, le stars che tutti conosciamo. Spesso dietro il successo
di un artista c’è il lavoro oscuro ma molto importante del produttore.
Questo è l’uomo che da vita e suono ai
sogni degli artisti, una figura che negli anni ’60 e nel nascente rock
avrà sempre più importanza. L’uomo dietro il successo di band come i
Fleetwood Mac, John Mayall ed Eric Clapton, Ten Years After, Savoy
Brown, David Bowie, il creatore della etichetta Blue Horizon, il
produttore di Freddie King, Otis Spann, Champion Jack Dupree è
l’inglese Mike Vernon.
Intervista MV: Ho sempre avuto un grande interesse per la musica fin
da piccolo. Mio padre aveva un amico dai tempi della Guerra …l’ho
sempre conosciuto come “ Uncle Charlie”…di solito la domenica andavamo
con la famiglia a casa sua per il pranzo.
Mi ricordo che Charlie aveva una collezione di 78 giri e ogni tanto ne
tirava fuori un paio suonandoli mentre ci rilassavamo dopo pranzo. Era
una collezione molto varia ma aveva un certo numero di dischi che
veramente mi intrigava… anche se ero solo un teenager all’epoca! MV:
Noi registravamo in formato analogico... era quello che ci offrivano…
non sapevamo nemmeno se ci fossero modi differenti! C’erano molti
limiti a quei tempi e dovevi essere molto creativo per ottenere grandi
risultati. Aver avuto l’opportunità di lavorare con tecnici del suono
molto creativi è stato un grande bonus… devi lavorare come squadra per
ottenere I migliori risultati. Sono stato molto fortunato a lavorare
con un buon numero di eccellenti tecnici negli Studi della Decca a West
Hampstead, London. Ero amico di Gus
Dudgeon ed abbiamo fatto molte sessions insieme... incluso il
primo material di David Bowie; John Mayall; Ten Years After; Savoy
Brown... troppi da menzionare. Ma era frustrante lavorare con
registratori a 4 tracce, mixare di nuovo
tutto su 2 tracce per liberare altre due tracce su cui lavorare. Lavoro
duro e noioso… ma era l’unico modo. Poi cominciarono ad arrivare
macchine con 8 track... poi con 16 e finalmente 24 track! Si,
il formato è cambiato… ma
nell’essenza il modo in cui registrare no. Devi passare per gli stessi
processi… per
me il digitale è ottimo. Non
sto inseguo il suono analogico delle valvole e certamente non quello
dell’analogico su nastro! Uno
spreco di tempo e denaro, per quanto mi riguarda. Naturalmente, abbiamo
tutti i mezzi per rendere microfoni con suoni valvolari; compressori di
qualunque cosa... non è un problema e spesso grandi risultati anche
registrando in digitale! Ti da una molteplicità di ambienti e di
opzioni quando mixi oppure fai sovraincisioni. Persino troppo facile! SB:
Oggi è possibile comprare la musica negli stores digitali in format
mp3, puoi ascoltare tutto quello che vuoi su Spotify ed altri sistemi
simili, perchè tu pensi allora che una band debba ancora produrre un cd? MV:
Principalmente
per venderli ai concerti! Tu, forse potresti essere sorpreso di quanta
gente oggi vuole avere una copia fisica del CD dal suo artista
preferito. E solo grazie al Cd puoi farlo...
Le vendite sono, in genere, abbastanza buone in questi tempi. Non sono
sicuro se funziona per il mercato commerciale principale... Beyoncé et
al. Ma per il mercato di musica specializzata... blues, blues/rock sono
inclusi in quella categoria... non sei intelligente se non hai un CD
disponibile. Ho anche notato che c'è un numero sempre crescente di
appassionati che ora stanno anche comprando copie in vinile... hey hey
! Tutte grandi cose... come ancora avere il vinile in giro. SB:
Quanto è importante il ruolo del produttore per il successo di un
progetto discografico? MV:
Secondo me il ruolo del produttore è uno degli ingredienti importanti
per il successo di un disco. Per alcuni avere un produttore è una
perdita di tempo…. forse non hanno avuto il produttore migliore, più
adatto per il loro progetto? Niente da dire, ma per esperienza… e ne ho
parecchia… il produttore puo’ essere un membro extra della band che
puo’ vedere e sentire cose che sfuggono all’attenzione degli altri
membri della band. Un Producer deve avere sempre un punta di vista
obiettivo su dove il progetto sta andando e non un punto di vista
soggettivo... di quello ce ne è già abbastanza da parte dei musicisti
stessi. Questi hanno la tendenza a fare i preziosi sulle loro canzoni
ed hanno sempre una opinione su come loro vogliono che suoni… il che
potrebbe non essere la cosa migliore per il risultato finale. Avere
qualcuno che guarda dall’esterno puo’ essere un grande beneficio… ma
deve essere come un matrimonio! Tutti devono andare d’accordo e bisogna
lavorare come una squadra… altrimenti tutto il progetto ne soffrirà in
un modo o nell’altro.
SB:
Tu hai lavorato con molti artisti, quale è stato quello con cui hai
lavorato che ti ha dato la maggior soddisfazione? MV:
Una domanda a cui non è facile rispondere… ce ne sono stati molti per
fortuna. Lavorare con Freddie King era grandioso... così professionale
e sempre pronto ad ascoltare le idee che gli venivano proposte. Sono
molto orgoglioso dell’album che abbiamo fatto insieme, “Burglar".
SB:
Quale artista invece ti sarebbe piaciuto produrre e non ci sei riuscito?
SB:
In questo momento stai lavorando a nuove produzioni? MV:
Beh…. si e no. Ti ho già parlato di Laurence Jones e Sari Schorr... e
per ora non ho pianificato altro se non il desiderio di fare un nuovo
cd con la mia band The Mighty Combo. Sono fiducioso che nel 2017
aumenteremo la nostra popolarità sulla scena blues e che saro’ in grado
di fare un nuovo album solista con nuovo materiale originale che
mostrerà , una volta per tutte, a tutti gli scettici, che io sono un
cantante e che la mia intenzione di diventare un regolare performer nel
circuito blues, non è un capriccio di un vecchio o un sogno. Sono
veramente serio riguardo questo progetto e non lo mollero’ fino a che
non avro’ ottenuto il meglio.
SB:
Puoi allora dirmi qualcosa di più sulla tua band, Mike Vernon and the
Mighty Combo, la lineup, il genere di musica, dove suonate e se avete
registrato un album? MV:
Ora finalmente abbiamo una formazione fissa e speriamo di intraprendere
a breve un nuovo breve tra Novembre e Dicembre in UK. Un altro tour in
una zona più vasta di Europa… è già programmato per Marzo 2017. La nuova line-up sarà Paulo Tasker (tenor sax); Paul
Garner (guitar); Matt Little (piano); Ian Jennings (upright bass) e
Mike Hellier (drums). Il
nostro stile musicale è fortemente basato sulla musica degli anni 1940s
e 1950s quando il Rhythm Blues era al top... pensa ad Amos
Milburn, Joe Turner, Fats Domino, Little Richard, Little Willie John,
Johnny 'Guitar' Watson, Wynonie Harris e così via. Suoniamo
un certo numero di canzoni di questi artisti ma le stiamo gradualmente
tagliando per far posto a nuovo materiale originale. Ho scritto canzoni
per la maggior parte del tempo in cui ho lavorato… quando ho un po’ di
tempo… sono certamente in grado di tirare fuori nuovo materiale
originale. Questo cambiamento sembra che funzioni... due o tre delle
nuove canzone hanno un grosso riscontro quando le suoniamo “live“… "Old
Man Dreams", "Jump Up" e "Hate To Leave (Hate To Say Goodbye)" sono le
favorite. Così con il tempo saremo pronti a registrare il nostro
primo CD con 14 canzoni originali di prima qualità...
attento! MIKE VERNON & THE MIGHTY COMBO... ricordati questo
nome!
SB:
Hai trovato differenze nel produrre artisti inglesi ed americani? Se si, quali? MV:
No, davvero… non ci sono due artisti uguali e nemmeno bands. Non fa
nessuna differenza per me, Tratto tutti allo stesso modo. Sono li per
fare un lavoro e ce la metto tutta per dare il meglio
e dare loro quello che vogliono. SB:
Perchè, secondo te , la generazioni di ragazzi inglesi degli anni 60 ha
trovato la propria strada suonando il blues, una musica così lontana da loro ? MV:
La ricerca di qualcosa fino ad allora sconosciuto. Il boom del rock'n'roll era
li... già dalla metà degli anni 1950s.
Il Rhythm & Blues ha dato vita ad un ibrido stile di rock'n'roll
style... Joe Turner, Little Richard and The Treniers ha aperto la
strada a Elvis Presley, Pat Boone eBill
Haley... oltre a centinaia di altri!
SB:
"Burglar" è secondo me uno dei migliori album di Freddie King, com’è
stato lavorare con lui e come successo che il suo suono è diventato
così “funky” in questo album? SB:
Che consiglio daresti ad un giovane che volesse fare il tuo lavoro? MV: Fare il musicista blues? Od il Producer? Comunque
l’uno o l’altro le stesse regole. Devi credere al 100% nelle tue
capacità di fare questo lavoro e concentrarti TOTALMENTE su quello che
vuoi raggiungere. Ed avere sempre un lavoro regolare e pagato
fuori dal mondo della musica perché è veramente molto difficile vivere
di sola musica! SB:
Progetti futuri ? MV:
Fare un secondo album con Sari Schorr & The Engine Room ed il mio
con i The Mighty Combo. Oltre a questo non ho altri progetti…
aspetterò e vedrò cos’altro mi arriverà!
Chi Siamo | In Primo Piano | Link | Le Bands | Contatti | Iniziative Culturali | Testi Blues | Mailing List | Interviste | Concerti| Articoli | Bacheca Annunci |