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Keith Ferguson, il favoloso basso del Texas Blues  a cura di Gianni Franchi

Molto spesso la nostra musica vive di eroi che non hanno avuto il giusto riconoscimento sia a causa della vita sregolata, sia a volte della sfortuna che li ha accompagnati.
Uno dei miei eroi del basso elettrico è sempre stato Keith Ferguson, primo bassista dei Fabulous Thunderbirds.
“Devo ammetterlo c'è più futuro nei piatti sporchi che nel blues“. Così commentava amaramente Keith  al Dallas Observer nel 1996, poco prima della sua morte... "sembra che io sia l'unico a considerarsi un musicista professionista. Il nostro cantante lava i piatti nel retro di un ristorante. Se mettesse metà delle energie che usa per lavare i piatti per trovare serate per la band navigheremmo nell'oro.”

Leggendario bassista della scena texana e membro dei primi Fabulous Thunderbirds, Keith Ferguson, anche a causa dei suoi  problemi di droga non se la passava bene negli ultimi anni della sua vita.
Eppure fu uno dei musicisti più influenti della sua generazione e diede un marchio inconfondibile  con il suo  Fender Precision ai primi album dei Fabulous Thunderbirds ed alla scena del Blues di Austin, che per alcuni anni con il locale Antone's, fondato nel 1975 da Clifford Antone, divenne la capitale del Texas Blues.
Purtroppo la scimmia che aveva tatuata sulla schiena era solo la rappresentazione della scimmia che invece condizionò la sua vita come quella di tanti altri grandi musicisti della sua epoca.

Nato ad Houston  nel 1946, aveva suonato già da giovanissimo con Johnny Winter con cui aveva cercato fortuna in Inghilterra (1967)  e con molti altri tra cui Rocky Hill, fenomenale e poco conosciuto chitarrista (fratello di Dusty Hill, bassista degli ZZ Top), con Angela Strehli, poi nota cantante texana, con  Ann Barton (per un breve periodo anche sua moglie), con un giovane Stevie Ray Vaughan e Doyle Bramhall ed aveva girato molto negli anni della sua giovinezza.

Nei primi anni 70 si era trasferito in California suonando con Peter Kaukonen (fratello di Jorma) e dal 1973 ad Austin dove visse fino alla fine dei suoi giorni.
Entrato nel 1976 nei Fabulous Thunderbirds, nella formazione con Kim Wilson, Jimmy Vaughan e Mike Buck (poi sostituito da Fran Christina), registra con loro i primi 4 album e gira in tour in Europa. La band diventa tanto popolare da essere chiamata ad aprire il tour dei Rolling Stones nelle date texane, ad aprire per Eric Clapton e partecipare all'album Havana Moon di Carlos Santana. Tuttavia proprio la dipendenza dalle droghe di Keith e la sua difficoltà a muoversi da Austin, costrinse gli altri membri della band  a sostiruirlo con Preston Hubbard bassista dei Roomful of Blues (che purtoppo avrà più avanti lo stesso problema di Keith e finirà dentro per spaccio di droga). Keith, nonostante la sua evidente colpa, non la prese proprio bene, soprattutto per quello che considerava un tradimento da parte del suo amico Jimmy, tanto che cercò anche di intentare una causa legale contro i suoi ex compagni.
Rimase comunque ad Austin collaborando con vari musicisti e suonando con i TailGators dal 1984 e poi con i Solid Senders e numerosi gruppi locali.

Keith era un uomo affascinante e dai molteplici interessi, vorace lettore di libri di ogni genere, appassionato oltre che di blues e jazz, di musica e cultura messicana, esperto di tatuaggi (che ricoprivano parte del suo corpo) quando ancora questo non era una moda, attentissimo al look (nel corso degli anni da  hippies si trasformò in un elegante musicista stile anni 50 del periodo Fabulous, fino alla fase finale in cui sembrava un vero messicano).

Molti furono gli  esponenti della scena texana che vennero in questo influenzati da lui. Stevie Ray che suonò da giovane con lui in varie formazioni, fu colpito dal suo modo di vestire sempre curato ed eccentrico; Keith gli diceva: “Non vorrai andare su un palco come frontman, vestito con una maglietta come il tuo roadie.“

Kim Wilson dice di lui: “Non ho mai conosciuto nessun altro con tanto interesse per la musica“.

Infatti fu fondamentale il suo apporto al repertorio dei primi Fabulous grazie alla sua profonda conoscenza del genere dovuta anche al padre musicista, che lavorava per alcune etichette e negozi di dischi, e che ebbe con lui un rapporto non sempre idilliaco avendolo lasciato solo con la madre quando era piccolo. I brani del repertorio di Lazy Lester, Slim Harpo e della etichetta Excello, che furono la palestra per la band si devono infatti alla collezione di dischi di Keith e del batterista Mike Buck.

Con i Fabulous spesso nel locale Antone's ad Austin ebbe la possibilità di suonare con molti dei suoi idoli musicali come Muddy Waters, John Lee Hooker e molti altri. Muddy Waters dopo averli sentiti disse di loro che erano la miglior blues band che avesse sentito dagli anni 50. Questo diede una notevole spinta alla loro carriera e cominciarono ad arrivare proposte da tutte le parti. Da gruppo di apertura per i Roomful of Blues presto divennero loro la band di attrazione e cominciarono a girare per tutto il mondo.

Come detto purtroppo l'esperienza con i Fabulous finì a causa della sua dipendenza dalla droga e dalla conseguente sua difficoltà a girare il mondo in tour. E sicuramente Keith era quello della band meno disposto a compromessi per il successo, per lui la musica era sacra.

Jimmy Vaughan racconta di essersi riavvicinato a lui alla fine quando andò a trovarlo in punto di morte, in ospedale nel 1997. Keith quando lo vide gli disse: “Jimmy mi sei mancato“.

Keith era un bassista mancino ma usava dei bassi da destro capovolgendoli ed invertendo le corde (come faceva anche Hendrix, al contrario invece di altri mancini come Albert King che lasciavano le corde al contrario, con quelle acute sopra). Nella sua carriera aveva posseduto numerosi Fender anni 50 che spesso poi vendeva o impegnava per procurarsi la droga. Non cambiava molto spesso le corde (“Si cambiano quando si rompono“) ed usava gli amplificatori che gli capitavano mantenendo però sempre il suo suono inconfondibile, percussivo, essenziale e con un tono molto profondo ed un intelligente utilizzo delle corde a vuoto. 

Amava gli animali ed era sempre pronto a dare una mano agli amici che in grande numero girovagavano sempre per la sua casa.

Agli inizi fu sul punto di entrare nei nascenti  ZZ Top su proposta di Billy Gibbons ma preferì lasciare il posto al suo amico Dusty Hill che non smise mai di ringraziarlo per questo.

Molto di più potete trovare nel libro di Detlef Schmidt “Keith Ferguson, Texas Blues Bass” dove l'autore racconta approfonditamente la sua storia attraverso una dettagliata ricerca ed aneddoti di chi lo ha conosciuto. Curiosa anche la storia di come sia nato questo libro. Infatti l'autore, bassista e scrittore tedesco, stava scrivendo un libro sui bassi Fender degli anni 50, quando un amico di Keith Ferguson, oltre a parlargli dei suoi bassi gli raccontò la storia di Keith, Schmidt ne fu talmente incuriosito da desiderare di scrivere la storia di questo musicista. E con numerose interviste effettuate tramite diversi viaggi nel Texas, Detlef Schmidt racconta esaurientemente la storia di questo grande bassista dei suoi bassi e di tutta la sua vita, corredata da moltissime foto. Da segnalare i contributi di Kim Wilson, Billy Gibbons, Jimmy Vaughan, Mike Buck, Fran Christina, Tommy Shannon e molti altri.

 
Discografia consigliata

FABULOUS THUNDERBIRDS

1979 -Girls go wild -Chrysalis Records
1980 -What's the Word -Chrysalis Records
1981 -Butt Rockin'-  -Chrysalis Records
1982 -T-Bird Rhythm -Chrysalis Records

Big Guitars from Texas. Big Guitars from Texas vol.1- artisti vari -Jungle records 1985

THE TAILGATORS
Swamp rock – Wrestler records  1985
Mumbo jumbo - Wrestler records  1986

with THE SOLID SENDERS
Did my whells - Tramp records 1997


With other artists

1983 Havana Moon with Carlos Santana

1983 Check This Action with LeRoi Brothers

1994 Let The Dogs Run with Mike Morgan and Jim Suhler

 


Chicago Beau, il viaggiatore del Blues  intervista ed introduzione a cura di Gianni Franchi

Chicago Beau è un personaggio importante della cultura afroamericana, viaggiatore instancabile e promotore di moltissime iniziative culturali, oltre ad essere un bluesman, cantante, armonicista, è un poeta, scrittore, editore, produttore e mille altre cose. Un artista sempre pronto a collaborare oltre che con i grandi del blues (cito Pinetop Perkins per tutti), con musicisti jazz come Archie Shepp, agli inizi della sua carriera, o gli Art Ensemble di Chicago, suoi grandi amici, a cui ha dedicato anche un libro. Ci siamo conosciuti molti anni fa in Sardegna, quando con la Jona's Blues Band lo abbiamo accompagnato in una tournée sull'isola. In pratica ci siamo conosciuti sul palco ma abbiamo avuto poi modo di suonare insieme diverse altre volte e siamo sempre rimasti in contatto. Giorni fa mi è arrivato il suo libro autobiografico "Too much UnConvenience" fatto in forma di conversazione con il suo amico J. La Bosse, In cui racconta la sua lunga, avventurosa e per certi versi spericolata vita. Nato a Chicago come Lincoln Beauchamp Jr, deve a Muddy Waters il suo nome d'arte. Un grande uomo in tutti i sensi, credo sia alto circa 2 metri, ama la vita, il buon cibo e le donne.
Un personaggio interessante, un intellettuale vagabondo, attento e fiero delle più profonde radici della musica del suo popolo.


 
      
  



 


SB: Hai girato un po' tutto il mondo, quale è stato il motivo che ti spingeva a non fermarti mai?

CB: La popolarità del blues è ciclica. C'è sempre stata una base di pubblico di veri amanti del blues e fans di quegli artisti che hanno più visibilità come Buddy Guy, BB King, Koko Taylor ed altri che sono in giro da molti anni. E questi performers hanno spesso sperimentato periodi con meno lavoro. Così, un artista blues dovendo continuare la sua attività, deve suonare dovunque nel mondo e ogni volta che sia possibile. Sfortunatamente, il Blues è una delle musiche che gode di meno promozione. Così come diceva Sonny Boy Williamson: ‘You got to catch it while it’s hot, if you let it cool, I won’t be worth a damn!’ E così, io mi fermerò solo quando sarò troppo vecchio per suonare.

SB: Quale è il paese in cui ti sei trovato più a tuo agio e perché?

CB: Ogni paese ha qualcosa di diverso da offrire. Io apprezzo molto il clima caldo penso che sia nel mio DNA. Mi piace Quebec ed il Canada in generale per la loro diversità. Ho avuto belle esperienze in Islanda, con concerti live e registrazioni. Come sai ho vissuto in Italia per cinque anni principalmente per la bellezza del popolo italiano, la loro grande eredità culturale ed il loro apprezzamento per la Black music e la sua cultura.  Conosci l'espressione ‘different reason, different season.’ ( differenti ragioni differenti stagioni ). Stagioni puo' indicare anche metaforicamente l'ètà di una persona . A che punto sei della tua vita. Le cose cambiano sempre.

SB: E dal punto di vista musicale quale ti sembrava il migliore?

CB: Italia, Quebec, Senegal, Islanda, Kenya. Tutte grandi stagioni per differenti ragioni. Ma ho vissuto in Italia perchè ha qualcosa di magico.

SB: Quale è stato il motivo, secondo te, per cui molti afroamericani ad un certo punto sembravano voler snobbare il blues mentre in Europa dei giovani dai capelli lunghi iniziavano a suonare proprio rifacendosi ai grandi maestri americani di questa musica?

CB: Prima di tutto bisogna comprendere che il Blues , come genere, così come l' Hip hop, Jazz, R & B, etc., è solo la parte di un continuum (continuo) della esperienza dei neri nelle Americhe, e dovunque.  Tieni a mente che la Black people negli United States non è proprietaria di quasi  nessun grande media o rete di informazione. I Neri  in America sono segregati sia come residenze che socialmente ed economicamente.  La mancanza di interesse per il Blues da parte dei Neri è causata da chi possiede i media. Il Blues è una forma di arte basata su una comunità che è accessibile a chiunque sia interessato.  Intendo che il Blues, e altre tradizioni, spesso non sono commercializzate da quelli che VIVONO L'ESPERIENZA GIORNO DOPO GIORNO ! Sfortunatamente, quelli che controllano l'aspetto commercialmente non hanno da dire qualcosa di positivo a meno che non ci possano fare soldi , Gianni, la gente nera in America non snobba il blues . Sarebbe bello se avessero un ruolo anche nella gestione ed il potere finanziario per supportarlo. Ma, credimi, Blues, Jazz, Dance, e tutte le arti sono ancora vive ed in buona salute  nella Black America…the Black Community. E questo include anche, Canada and Mexico (Blaxicans).

SB: Cosa ne pensi, sinceramente, del blues suonato dagli europei?

CB: Penso che ci sono molti musicisti di talento in Europa e che amano anche la musica Blues e rispettano le sue origini , e sono consci della tragedia durata 400 anni della schiavitù perpetuata dagli americani bianchi ed anche europei. La maggior parte di quelli che ho incontrato in Europa non stanno cercando di appropriarsi di una esperienza culturale di un altro popolo , al contrario degli Stati uniti dove molti promoter bianchi stanno cercando di sminuire il valore ed il significato storico della esperienza blues dei neri . Negli Stati uniti ci sono dei cosiddetti Blues Festivals con pochissime o nessuna partecipazione di artisti neri.
Suonare il Blues o altre musiche per amore ed il rispetto è una cosa, cercare di rubare una tradizione è un'altra cosa.
Ho sperimentato come performer l'amore e la devozione di molti musicisti europei. La forma Blues, con la sua poetica, i messaggi di vita, le metafore letterarie, l'accettazione universale è un veicolo naturale per l'espressione di chiunque scelga di usarlo.

SB: C'è qualche aneddoto particolare che vuoi raccontare ai nostri lettori sui grandi maestri del blues che hai incontrato come ad esempio Pinetop Perkins?

CB: Bene, Pinetop era una gran persona e gran performer. Aveva un grandissimo senso dell'umorismo e raccontava sempre storie su donne e situazioni pazze. Tu sai che dopo la morte di Otis Spann, Pinetop è diventato il pianista della band di Muddy Waters. Una volta hanno avuto un terribile incidente sulla autostrada ed al volante c'era un uomo chiamato Bo. Lui era una specie di guardia del corpo, tuttofare per Muddy. Ora ti racconto qualcosa riguardo come ho avuto il mio soprannome Chicago Beau. Nel 1968 , Muddy suonava in un club chiamato the Jazz Workshop a Boston. Quando Muddy aveva bisogno di qualcosa urlava : ‘Hey Bo!’. Come sentivo chiamare , io correvo da Muddy perchè ero giovane e volevo essergli di aiuto. Ma nello stesso tempo l'altro Bo mi fermava e mi diceva di stare lontano da Muddy. E' successo diverse volte così Muddy disse “Ne ho abbastana di queste stronzate. Giovane Beau d'ora in poi ti chiamerò Chicago Beau, ed  il vecchio Bo lo chiamerò semplicemente Bo“. Da quel momento sono diventato per tutti Chicago Beau.

SB: So che a Chicago hai cercato di creare una specie di Sindacato musicisti, una iniziativa interessante che anche qui, con scarsi risultati abbiamo tentato, ci vuoi raccontare come è andata?

CB: La mia migliore risposta, presa direttamente dal mio recente libro di memorie. Too Much UnConvenience.

…....Beau: Ad ogni modo una altra cosa che accade è che  io e  Valerie Wellington decidemmo di formare una organizzazione in aiuto ad  ogni necessità degli artisti blues.  La chiammamo The Chicago Blues Artists Coalition. Il focus della organizzazione era assistenza sanitaria, salari equi, istruzione,supporto familiare, consulenza aziendale, pianificazione di eventi,raccolta fondi, e altro ancora. Al primo incontro parteciparono circa trenta musicisti. Sai, Valerie Wellington, era giovane e con poca esperienza per capire la natura della mentalità da padrone della piantagione dei proprietari dei clubs, ed in generale la natura del business. I Proprietari dei locali di Chicago rivendicavano quasi la proprietà dei musicisti che lavoravano regolarmente nei loro clubs. All'epoca erano in molti. Dissi a Valerie la stessa cosa che direi oggi “ tieni i tuoi affari lontano da tutti quelli che sono nel business della Chicago blues scene. Ovvero i proprietari dei  club , delle etichette discografiche, gli agenti di booking, promoter ed altro. L'ultima cosa che vogliono è che i musicisti si uniscano .Hanno sfruttato per anni  la mancanza di alfabetizzazione, di senso degli affari, la mancanza di fiducia in se stessi dei musicisti  e la paura di rappresaglie per il pensiero indipendente. Lo dissi a Valerie,ma non mi ascoltò. Non aveva capito la natura della bestia. Lei voleva fare gli incontri al Rosa’s Lounge, secondo me , proprio la tana della bestia . Al primo incontro Tony, proprietario del club che ci ospitava, stava ascoltando con attenzione tutto quello che si diceva. Mentre , anche se ci aveva concesso lo spazio, non sarebbe dovuto essere presente. E credo che l'unica ragione per cui era li, era per riportare tutto quello che dicevamo agli altri proprietari dei club. Mi dispiace dirlo ma tutti quei “ culi stanchi” di artisti di blues persero ogni interesse nella coalizione. Alcuni che suonavano regolarmente al Kingston Mines dissero di essere stati avvisati da Doc Pellegrino che se stavano nella coalizione avrebbero perso il loro lavoro. Altri proprietari locali gli dissero che sarebbero stati loro a prendersi cura delle loro necessità, non avevano bisogno di appartenere a nessuna coalizione. Questi incontri dovevano essere privati e sicuramente lontani dalle persone con cui poi dovevi trattare. Glielo ho detto allora e lo dico ancora. Tieni i tuoi affari segreti a Chicago fino a che non è il momento e poi rendili pubblici attraverso i tuoi canali ufficiali e la gente che lavora con te.

J. Labosse: E' un peccato che la gente del blues non fosse pronta, e mancasse di coraggio per portare avanti questo cambiamento.

CB: Esatto , ed avevamo anche una buona copertura dei media. George Papajohn al Chicago Tribune ci aveva scritto una grande storia, lo stesso  Ebony magazine. Ma spesso la paura ti fotte. Il sindacato del blues business instillo' la  paura nei cuori della gente del blues con le stesse vecchie tattiche con cui si prevenivano le rivolte degli schiavi: metterli uno contro gli altri. L'immaginazione collettiva di quelli contro la coalizione non riuscì a capire che ne avrebbero potuto trarre dei benefici. Credo che una Blues organization di successo poteva portare benefici ad ognuno che ne era coinvolto perchè più gente raggiungi più hai possibilità per nuovi business ed espandere la tua attività.

SB: Una altra tua iniziativa è stato l'Original Chicago Blues Annual, di cosa si trattava esattamente?

CB: Il Blues Annual, un magazine, era un mezzo per la Blues/Black community per avere una propria voce. The Blues Annual abbinava musica, letteratura, fotografia ed altro. Era una risorsa per  i musicisti per entrare in contatto tra loro, con promoter, fans e tutto quanto collegato al business dell'industria musicale. Era prima che Internet fosse così diffuso. Non abbiamo mai fatto recensioni, solo elogi per gli artisti e le loro opere. Io credo che le copertine e le interviste inserite rappresentino la direzione del magazine. Abbiamo avuto gli anziani Sunnyland Slim, Pinetop Perkins, Junior Wells, and Billy Boy Arnold. Abbiamo avuto una copertina Tribute to Blues Women. C'è stata una copertina con me, e l'ultima con gli  Art Ensemble of Chicago, grandi innovatori della  Black Music , e portatori della tradizione della Black music . Abbiamo pubblicato per sette anni ed avuto altre pubblicazioni e progetti per completare il magazine. Spesso pubblicavamo articoli in diverse lingue incluso l'italiano. Infatti, Alitalia fu uno dei nostri grandi sponsor per cinque anni.

SB: Ci puoi raccontare qualcosa in particolare delle tue esperienze in Italia? In particolare mi piacerebbe sapere come è nata la collaborazione con Roberto Murolo e come ti sei trovato con la musica napoletana?

CB: L'idea della collaborazione con Murolo venne al nostro vecchio amico Isio Saba ed il produttore Rocco . Murolo era  d'accordo che una armonica bluesy poteva essere un bel cambiamento di forma dal suo stile abituale. Così abbiamo registrato un paio di tracce in studio e lo show TV per il suo 80th compleanno a  Viareggio.

SB: Una domanda piuttosto delicata. In Italia purtroppo stiamo vivendo un periodo difficile dove per la prima volta, a causa del flusso migratorio di africani nel nostro Paese, si cominciano a vedere i primi episodi di razzismo verso gente di colore. Una cosa che purtroppo negli USA avete già sperimentato. Quale è secondo te il modo migliore, al di là di leggi apposite, per combattere culturalmente questo brutto fenomeno?

CB: Per molte persone in ogni luogo, affrontare al verità è difficile. L'africa per molti paesi europei è stata la terra dei tesori: oro, pietre preziose, petrolio, lavoro a basso costo libero e così via . E naturalmente, col passare del tempo, quelle persone, che spesso non hanno altro che le loro famiglie e gli abiti sulla schiena, arrivano a capire quale è la fonte, la ragione principale della loro situazione; le ex potenze coloniali dell'Europa. Non importa davvero quello che qualcuno pensa. Tra 100 anni, il volto dell'Europa sarà cambiato. Nessuno può cambiarlo. I razzisti malvagi e insicuri troveranno sempre le persone da odiare. Pensa a questo: alcuni del nord  vorrebbero separarsi dalle persone più scure del sud. Quando gli italiani arrivarono negli Stati Uniti, furono considerati da molti meno che umani e molti furono linciati come lo erano i neri. E oggi, la quantità di odio infondato per le minoranze, gli immigrati e le persone gay negli Stati Uniti non è diminuita nel corso degli anni, è aumentata, a causa della paura del cambiamento e della paura in sé. Non c'è lotta contro l'ignoranza con la violenza, solo il tempo e la pazienza determineranno un cambiamento. Ma se l'ignorante attacca , la resistenza è giustificata.

SB: A Chicago hai creato la Straight Ahead Production, per produrre album di artisti blues. Quale è stato il criterio di scelta degli artisti e della produzione di cd?

CB: In realtà, Straight Ahead Productions è stata creata per produrre concerti, libri, eventi speciali, crociere e registrazioni. Per il progetto GBW Records, la mia idea era di pagare gli artisti Blues più di quanto non fossero mai stati pagati da una Record Company di Chicago . Una cosa triste è che essendo stati repressi per secoli,  certa gente, quando arriva un'opportunità, ha paura di accettarla.  Alcuni di quelli che ho contattato per registrare temevano che potessero offendere le etichette discografiche locali. Dopo un po sono stato in grado di convincere gli artisti a prendere i soldi,  tutti i soldi che potevo ottenere, anche se non avessero venduto migliaia di CD e guadagnato molti soldi con questo. Ho detto loro che potevano invece avere delle royalties editoriali se avessero registrato le loro canzoni, ma i soldi delle vendite erano improbabili. Prendi i soldi! Usa la situazione!
Ed il criterio alla GBW, era , il produttore esecutivo suggeriva e proponeva , io accettavo oppure non ero d'accordo.

SB: Nella scena musicale attuale vedi qualche artista che sta portando avanti la grande tradizione del blues?

CB: Oh ce ne sono molti. Troppi da citare. Jus Blues Foundation, una organizzazione di proprietà di neri che ha una cerimonia di premiazione ogni Agosto. Guarda il loro sito web per vedere un po' di nomi. (ndt  www.jusblues.org). E poi molti degli artisti più anziani ancora vanno forte . Deitra Farr, John Primer, Billy Branch, Billy Boy Arnold, Sugar Blues e molti molti altri . E la banda creola , Jean Francois Fabiano, è molto forte in  Canada, ed ai Caraibi.

SB: Ci puoi raccontare qualcosa della tua prima esperienza discografica a Parigi con Archie Sheep?

CB: Bene,  Shepp aveva sentito me ed il mio amico Julio Finn, suonare in un club a Parigi nel 1969. Ci si avvicino' e disse che aveva pensato che due armoniche in tonalità diverse sarebbero state adatte alla musica che voleva registrare . Il giorno dopo , andammo in studio ed il resto è storia . Ero in paradiso,  uno Shangri-la della musica . Alla session c'erano grandi musicisti rivoluzionari : Lester Bowie, Jeanne Lee, Philly Joe Jones, Malachi Favors, Dave Burrell, e Archie Shepp.  Smokin! Quell' album è chiamato Blasé ed è stato ristampato diverse volte. L'etichetta originale era  BYG, France.

SB: E riguardo questa nuova esperienza, ci spieghi cosa è la Chicago Blues Experience?

CB: Gianni, CBE è una idea che avevo da un po' di tempo. Nel 2012 ho trovato fantastici partners, Sona Wang, e Bill Selonick, che sono diventati co-fondatori, e ci stiamo muovendo insieme per fare di questo sogno una realtà. Questo che segue è l'annuncio ufficiale dal nostro sito. www.chicagobluesexperience.com. Faremo un annuncio ufficiale alla stampa a breve. La Chicago Blues Experience sarà un'attrazione culturale di livello mondiale per la città di Chicago. Il museo presenterà una tecnologia interattiva all'avanguardia che porterà i visitatori in un viaggio coinvolgente e di immersione nel passato, nel presente e nel futuro del blues. Mostre, cimeli, un locale di musica dal vivo e ristoranti rafforzeranno la storia e la cultura da cui è emerso il blues. Attraverso gli sforzi di sensibilizzazione della comunità, la Chicago Blues Experience Foundation contribuirà a svolgere un ruolo vitale nel fornire esperienze positive per i giovani attraverso l'educazione musicale e l'immersione, creando attività sostenibili e arricchenti per i giovani. L'obiettivo generale della Fondazione è quello di utilizzare il blues ed i generi di musica popolare correlati come un portale educativo per ispirare e coltivare creatività, il pensiero critico e l' espressione di se'.

SB: Hai fatto tante cose, libri, cd, iniziative culturali, quale è la cosa di cui vai più fiero?


CB: E' difficile sceglierne una. Sono contento di tutte.


Highway 61 Revisited: 50 Years Ago Today  di Harvey Brooks 
traduzione di Gianni Franchi

“Highway 61 Revisited” è uno degli album più importanti della discografia di Dylan oltre che rappresentare un punto di svolta nell'evoluzione del Rock in generale.
Vi presentiamo il racconto dal bassista Harvey Brooks che ha partecipato alle registrazioni. L’articolo che vi proponiamo è stato scritto nel 2015, a 50 anni dalla pubbblicazione del disco.

Harvey Brooks (nome d'arte di Harvey Goldstein; New York, 4 luglio 1944) è un bassista jazz e folk statunitense. Oltre ad aver collaborato all'incisione dell'album di Miles Davis "Bitches Brew", che fu uno dei lavori fondamentali dello stile fusion, Brooks è anche stato il primo bassista a godere di una certa notorietà nell'ambito del folk rock. È stato con Bob Dylan, ha registrato in diverse tracce per l'album "The Soft Parade" dei Doors, ha partecipato alla "Super Session" con Al Kooper, Mike Bloomfield e Stephen Stills.


"Era il 28 luglio 1965. Stavo suonando allo Sniffin Court Inn sulla strada East 36th a Manhattan. Durante l'intervallo mi sono spostato in un locale accanto, il Burger Heaven, quando è arrivata una telefonata da Al Kooper: “Sto suonando su un album di Bob Dylan ed hanno bisogno di un bassista, sei impegnato?”. Quella telefonata avrebbe cambiato la mia vita. Il giorno dopo, 50 anni da oggi sono andato dal Queens a Manhattan. Ho parcheggiato sulla 54th strada e sono salito su un ascensore per andare a suonare per l'album di Bob Dylan "Highway 61 Revisited" nello studio A della Columbia sulla 777 Seventh Avenue. Ho aperto la porta della sala regia, fatto un profondo respiro e sono entrato. La prima persona che ho visto era il manager di Dylan, Albert Grossman. Grossman aveva lunghi capelli grigi legati con una coda ed occhiali tondi cerchiati in ferro. Ho pensato sembrasse Benjamin Franklin. Un tipo magro, con i capelli crespi, vestito con jeans e stivali stava in piedi davanti al mixer ascoltando una take di “Like a Rolling Stone”. Ho pensato fosse  Bob Dylan, sebbene non lo conoscessi, né sapessi che aspetto aveva all'epoca. Quando il nastro si è fermato Albert, mi disse: "Tu chi sei?". Così gli ho detto chi ero e perché ero lì. Mi disse “Hi” e tornò ad ascoltare il brano. Poi è entrato Al Kooper per fare le presentazioni ufficiali. Tutto fu molto breve e misterioso. Entrai nello studio, aprii la mia custodia, presi il mio basso Fender ed iniziai ad accordarlo. Avevo delle corde La Bella flat wounds che ancora uso oggi. Mi collegai all'amplificatore Ampeg B-15 che era nello studio, suonava caldo e potente. Il B-15 era proprio l'ampli che usavo dal vivo. Ora uso esclusivamente amplificatori Hartke. Sebbene avessi solo 21 anni, avevo già suonato in molti locali con diversi tipi di performers. Avevo suonato abbastanza stili diversi da sentirmi pronto ad adattarmi ad ogni occasione. Per questo, ero a mio agio nello studio e pronto per qualunque cosa Dylan potesse volere da me. All'improvviso si aprirono le porte dell'uscita di emergenza dello studio e fece irruzione Michael Bloomfield, un ingresso di pura energia. Indossava mocassini economici, jeans, una t-shirt bianca ed aveva una Fender Telecaster a tracolla. I capelli di Bloomfield erano elettrici quanto il suo sorriso. Era la prima volta che lo incontravo o ne sentivo parlare. Gli altri musicisti della session erano Bobby Gregg alla batteria, Paul Griffin e Frank Owens al piano e Al, che nella registrazione di “Like a Rolling Stone”, 2 settimane prima, aveva suonato l'organo. Nella prima session, Joe Macho Jr. aveva suonato il basso. Poi era stato rimpiazzato da Russ Savakus ma nemmeno lui piaceva a Dylan. Dylan voleva un altro bassista per il resto delle sessions. Kooper mi aveva raccomandato a lui. Quello di cui Dylan aveva bisogno era di sentirsi a suo agio con il bassista. Kooper sapeva che io avevo un buon feeling e sapevo adattarmi velocemente. Per Dylan, non bastava essere un esperto musicista di studio. Lui voleva un musicista che sapesse velocemente adattarsi al suo stile. Parlando con Bob, avevo ammesso di non aver mai ascoltato la sua musica prima ma che ero stato veramente colpito dall'ascolto di “Like a Rolling Stone” appena ero entrato nello studio. Bene, ora facciamo cose leggermente diverse”, mi rispose Bob. Pensai si riferisse ai suoi lavori passati ma Bob rimase un po' sul vago. Mi fece un sorriso di sbieco e si accese una sigaretta. Tom Wilson, che aveva prodotto "Like a Rolling Stone" un paio di settimane prima, era stato sostituito per ragioni sconosciute. Il nuovo producer era Bob Johnston, un produttore dello staff Columbia di Nashville che aveva già lavorato con Patti Page prima di essere assegnato a Dylan. Johnston aveva un approccio tipo "documentario" alla produzione che gli permetteva di catturare anche i momenti più fugaci. Era frustrato da tutti i problemi burocratici dei Columbia Studios ed aveva ordinato diversi registratori a nastro per la sala regia in modo da averne uno sempre acceso per catturare ogni momento di Dylan. Questa tattica funzionava bene per un artista come Dylan. Sebbene la prima sessione di registrazione di Highway 61 Revisited era avvenuta  solo due settimane molto era successo nel frattempo. “Like a Rolling Stone”, registrata nella prima session era già stata pubblicata ed aveva fatto fuoco e fiamme. Solo pochi giorni prima, Dylan era stato fischiato dal pubblico quando aveva suonato in elettrico al Newport Folk Festival. Era un momento centrale della sua carriera. Era il momento di transizione dal “puro” artista folk ad un artista di rock & roll. Ora eravamo alla seconda session, per me la prima, senza essere sicuri di cosa Dylan avesse in mente. Nel giro di pochi minuti entrò nella sala ed iniziò a cantare la prima delle tre canzoni su cui voleva lavorare quel giorno. Johnston aveva sistemato la sala in modo che la band potesse vedere mentre suonava. Dylan cantò la prima canzone, "Tombstone Blues", un paio di volte. Non c’era nessun foglio con gli accordi per nessuno. Tutto veniva fatto ad orecchio. Come era mia abitudine io mi ero appuntato qualche accordo mentre lo ascoltavo cantare la canzone. Ognuno era concentrato su di lui, guardandolo per cogliere ogni sfumatura. La band era li per questo. Mentre avevamo iniziato già a registrare, Dylan stava ancora lavorando sui testi. Continuava a correggerli mentre registravamo. Pensai che era un modo entusiasmante di procedere. Le sue parti di chitarra o piano fungevano da guida per ogni canzone. Ogni musicista nella sala era come incollato a lui. Avremmo suonato fino a che Dylan non era contento. Ma la sua faccia da giocatore di poker non rivelava cosa stesse pensando. Credo che ci siano volute un paio di take ad ognuno per entrare nel brano. Anche se c’era qualche errore, era naturale, non importava a Dylan. Se il feel era quello giusto la performance andava bene per lui, quello era quello che contava. Questo era il suo modo. Se la performance nell’insieme funzionava c’era sempre qualcosa di buono. Bob andava nella sala regia ed ascoltava. Bob Johnston poteva anche essere il produttore che aveva deciso di tenere il registratore sempre acceso ma era Dylan che decideva cosa andava e cosa no. Le incandescenti parti di chitarra di Michael Bloomfield accentuavano ogni frase di  Dylan. Era un chitarrista esplosivo e non si perdeva in chiacchiere. Ed era un po' aggressivo davanti a tutti. Il mio scopo era invece trovare una parte di basso che avesse un buon “groove”. Dylan aveva stabilito il feeling e la direzione da seguire ed io andavo nella sua direzione con il mio basso. Molte delle mie esperienze primarie erano state in gruppi R&B che suonavano brani di Wilson Pickett e Jackie Wilson o brani dei Beatles e Rolling Stones. Suonare con Dylan ha creato per me una nuova categoria. La chiamavo “jump in and go for it”. Poi registrammo “It Takes a Lot to Laugh” “Positively 4th Street” insieme. Il Masters delle tre canzoni fu registrato con successo il 29 luglio. "Tombstone Blues" e "It Takes a Lot to Laugh" furono incluse nell’album Highway 61 Revisited, ma "Positively 4th Street" fu pubblicata come singolo. Alla fine della prima session quella prima notte, Dylan provò a registrare anche "Desolation Row", con il solo accompagnamento di Al alla chitarra elettrica ed io al basso. Non c’era batterista perchè Bobby Gregg era già andato via. Questa versione elettrica fu pubblicata nel 2005, sulle The Bootleg Series Vol. 7. Il nostro produttore aveva un vero amore per i musicisti di Nashville. Divenne un argomento di discussione con lui durante la session riguardo quanto lui li riteneva bravi. Continuava a ripeterlo. Ma questi suoi commenti sembravano come sottovalutare la nostra bravura. Mi sembrava che ci considerasse degli ignoranti newyorkesi in qualche modo. Questo suo convincimento ebbe la meglio per la registrazione di "Desolation Row". Io credo invece che la nostra versione senza batteria era più lenta ma piena di soul. Ci piaceva veramente... Chiaramente, Johnston la pensava diversamente. Il 2 Agosto, furono registrate 5 nuove take di "Desolation Row". Comunque la versione utilizzata poi per l’album fu frutto di una seduta di sovraincisioni nella session del 4 Agosto. Quella volta, il chitarrista di Nashville Charlie McCoy, amico personale di Johnston, in visita a New York, fu invitato a contribuire alla session improvvisando una parte con la chitarra acustica... Russ Savakus suonò il contrabbasso. Quando ce ne eravamo andati la take finale fu registrata. Quando ho lasciato lo studio dopo l’ultima session, non mi preoccupavo se avevo contribuito o no a creare un disco di successo. Non lo sapevo, comunque tutte le canzoni avevano un buon feeling. Erano canzoni ben strutturate. Ora solo capisco che questo è il motivo del grande successo di "Highway 61 Revisited". Bob lo ha fatto. Ogni take che sceglieva era sicuro che fosse esattamente quello che voleva da quella canzone. Sapeva bene quello che voleva. Ed è un grande talento questo".



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