Blues dei Colli: dal Mississippi al Friuli
1) Storia di una generazione nata da queste parti
(by Blues Club 356; testo originale in friulano pubblicato su “La Patria del
Friuli”- Luglio 2008, arrangiato e tradotto da Andrea Cardinale per Spaghetti & Blues)
Ormai è già entrato nella storia il concerto del 14 gennaio 2008 al circolo arci
ZOO di Udine: un epico e sanguigno live organizzato da Radio Onde Furlane e che
ha visto come protagonisti alcuni personaggi ben conosciuti del movimento
underground friulano, ovvero Fabian Riz Trio da Brazzano, Pit Ryan & Mad Men
Blues da Corno di Rosazzo, i Pantan da Gorizia, Raff BB Lazzara da Cormons e
Loris Vescovo da Trivignano, tutti artisti sponsorizzati dall’etichetta “Musiche
Furlane Fuarte”.
Un concerto ripetuto un mese dopo nella Vecchia Osteria di Spessa di Cividale,
questa volta col F.Riz Trio, Mad Men Blues ed altri ospiti di pregio come Max
Felcaro, Manu Casarotti e la poetessa beatnik Lussie di Uanis. Meriterebbe
davvero una medaglia questo posto (l’ex “Yesterday’s Pub” di Derek & Max Suzuki)
uno dei primi locali della regione a proporre rock e blues dal vivo, una sorta
di casa aperta che non per niente è da una vita la sede ufficiosa del BluesClub
356, una banda zingara che promuove i bluesmen di collina e di pianura.
Questi due spettacoli si possono considerare l’apice di un movimento musicale e
culturale nato nel bel mezzo dei Colli Orientali, più o meno tra Corno di
Rosazzo e Cormons, con evidenti ramificazioni che arrivano fin Cividale, Orsaria,
Udine e Gorizia, oltre a una serie di spazi
nascosti di sperimentazione libertaria, sparpagliati qua e là per il Friuli.
Le origini del movimento che adesso viene chiamato “Blues dei Colli” (forse
senza troppa originalità) si possono ritrovare nell’attività pionieristica dei
primi anni 80 del Circolo Culturale di Corno, tutta gente appassionata di musica
rock-blues che organizzava i primi concerti in zona, e che per questo era un
punto di riferimento naturale per i giovani alternativi della zona.
A quei tempi non è che ci fosse granchè per divertirsi nei villaggi di
frontiera, ma per fortuna si trovava sempre un amico o un cugino più grande che
ti portava a vedere i rarissimi concerti del circondario, e ti faceva ascoltare
roba mitica in vinile tipo Neil Young e Cream, Hendrix e Muddy Waters, Ramones e
Pink Floyd, S.R.Vaughan e Genesis, Buddy Guy e Rory Gallagher, Hot Tuna e Led
Zeppelin.
Chi imparava qualcosa lo suonava con gli amici, ed era normale fare musica
improvvisata assieme nelle cantine, nelle feste e in altri posti di Corno tipo
il vecchio CentroSocialeOccupato e soprattutto il leggendario bar “Meeting” di
piazza Julia, che è stato per anni un laboratorio creativo frequentato da
musicisti, artisti e varie tipologie di gente pittoresca e/o scoppiata.
Insomma, tutto ciò costituiva un modo creativo per reagire al disorientamento
degli anni post terremoto, una buona risposta per i dubbi adolescenziali ed uno
stimolo eccezionale per imparare a suonare un qualche strumento. Così forse è
nato il blues dei Colli…di sicuro musicisti di gran classe come PETER SAMMONDS,
LUCIANO “Lucky” GHERGHETTA e FRANK DE COLLE, PIT RYAN e STIV ODORICO, FABIO
DRUSIN e MAURO BON sono sbucati fuori da quegli anni strani e meravigliosi.
In realtà il blues friulano non è tutto qua, più avanti sarebbe cresciuta una
ulteriore generazione di rockers, punkettari e metallari, allevata con amore dai
festival alternativi come Ovarock, Festintenda, Sammardenchia Rock, Aria di
Musica e Pascat Day, e protagonista in età adulta di innumerevoli altre
iniziative degne di nota, come la decennale rassegna di Spessa“Underground
Blues!”
Altre cellule di blues rivoluzionario si sarebbero sviluppate per conto loro a
Trieste o Pordenone, lontane anni luce dai Colli ma destinate in futuro a
ritrovarsi e collaborare con la gente del confine, e a mescolarsi sempre di più
fra di loro con esiti fecondi ed imprevedibili.
Questo movimento, nella sua dimensione locale di “Blues dei Colli”, fa parte
attualmente della multiforme scena regionale che comprende una stella di prima
grandezza come i W.I.N.D. e gruppi storici come ARBE GARBE, MAD MEN BLUES,
IATITATIA BLUES BAND, 4WD e MR. LUCKY BAND; realtà consolidate come PANTAN, OFF
LIMITS e i SoundMachine del grande FLAVIO PALUDETTI; talentuosi artigiani dello
strumento come JIMI BARBIANI, CLAUDIO COJANIZ, FABIO ULLIANA, MANUEL PESTRIN,
LEO VIRGILI, SIMONE SERAFINI, FABIO GAUDENZI, SANDRO BENCICH, FLAVIO URBANIZZA e
SIMONE MOSANGHINI; solisti transgenici come IVAN MODA, PIT RYAN, FABIAN RIZ,
MANU “O Pazzo”CASAROTTI, LORIS VESCOVO, STEFANO FEDELE, LINO STRAULINO e la mina
vagante dei TRASTOLONS, in particolare l’ex F.L.K. GUIDO “CHE” CARRARA; talenti
emergenti come ELY SRV ed ANTHONY BASSO; esperti triestini come FRANK GET,
FRANCO TORO, JIMMY JOE e la nuovissima BLUE ROOTS BAND, per non parlare di belle
bands ormai sparite (ONE WAY OUT, RABBIT, RED HOUSE) o della vivace scena
rock-blues dei colli sloveni, con due bands di punta ben conosciute in in Europa
come ANA PUPEDAN ed ELVIS JACKSON…e arrivando fino a Belgrado troviamo pure ANA
POPOVIC, la sirena del blues balcanico di fama internazionale!
In verità questa non è neanche una lista completa, ma fra tutti non potremo mai
dimenticare la mitica figura di RENATO RUSSIAN, il chansonnier maledetto e
geniale di Cormons volato via troppo giovane da questa terra, assieme a tanti
progetti rimasti incompiuti.
Non si sa quale destino toccherà a tutti quei musicisti che ancora tengono duro,
a dispetto dell’indifferenza dei mezzi di informazione (con poche eccezioni ben
conosciute, soprattutto lo staff di Radio Onde Furlane e l’amico Andrea Ioime
del “Friuli”), dell’inerzia/ostilità della politica e della cronica mancanza di
risorse economiche e spazi per suonare e, dulcis in fundo, strangolati da leggi
assurde e da controlli polizieschi che non toccano manco ai camorristi! Tanti
non hanno ancora capito che la musica friulana e quella dei nostri bluesmen in
particolare potrebbe essere una importante risorsa economica e perfino una
notevole attrazione turistica, oltre che motivo d’orgoglio per tutti noi, per
cui gli diamo un piccolo consiglio: fatevi un giro per Dublino o per Memphis o
per Austin e imparate come si fa a valorizzare la musica, e dopo ne possiamo
anche discutere.
Noi non siamo ottimisti per un sacco di ragioni, purtroppo, ma una cosa è
sicura: per quanti dannati imbrogli & fuckin’ traps si possano escogitare,
nessuno riuscirà mai a spegnere l’amore per la musica “che muove il sole e le
altre stelle”.
Forse anche Dante era un bluesman, senza saperlo…that’s all, folks!
2) il Natisone come il Mississippi
(by Leo Virgili; testo originale in friulano pubblicato su “La Patria del
Friuli”-Luglio 2008, tradotto da Andrea Cardinale per SpaghettiBlues)
Il Mississippi come lo Judrio e il Natisone? I campi di cotone come i vigneti
collinari?La schiavitù del popolo nero come l’alienazione degli operai del
Triangolo della sedia?
Forse quest’ultimo paragone è un po’ esagerato, ma il paesaggio da queste parti
non ha sicuramente niente da invidiare a quello del delta del Mississippi, dove
agli inizi del ‘900 è nato e si è sviluppato il blues.
L’afa delle zone paludose del delta è del tutto differente rispetto al nostro
sempre più stravagante clima prealpino, ma l’omogeneità del territorio e le
monoculture intensive stimolano, in alternanza, la sensazione di una vita rurale
che corre lenta e quieta (come nell’iconografia dei vecchi bluesmen) ma anche un
senso di oppressione derivante dal paesaggio ossessivamente ripetitivo.
1) “Fra campi psichedelici di ottobre/correre col Benellino/sentire il vento in
faccia/e i corvi scazzati/che frugano nei prati”
(FABIAN RIZ, “Campi di ottobre”)
2) “Due del pomeriggio/dentro un labirinto/mi guardo in giro e non vedo altro
che/vigne e granoturco/vigne e granoturco/vigne e granoturco”
(PANTAN, “Granoturco e vigne”)
Ma le affinità con la musica nera, madre del jazz e del rock&roll non sono solo
di natura paesaggistica. Il sentimento malinconico presente nei testi più
rappresentativi dei bluesmen di casa nostra esprime un evidente spleen
esistenziale ed affronta una serie di tematiche che presentano affinità notevoli
col blues rurale degli inizi del secolo scorso.
3) “Vicino all’inferno sanguina il mio cuore spezzato/nel freddo nel caldo senza
paura di non avere più niente/una identità una casa una donna un nome/perché
sono vero/e possiedo tutta la mia poesia”
(RAFF BB LAZZARA “Talkandombluus”)
Ed anche il tema di un ciclo produttivo ripetitivo e spersonalizzante ritorna
spesso, assimilando il lavoro del cotone a quello nelle vigne e nelle fabbriche
di sedie.
4) “Tutta la vita passata a cercare/una medicina per guarire/dal male che mi
avete fatto/la medicina giusta per un pupazzo a molla”
(PIT RYAN & Madmen Blues “La medicina giusta”)
5) “Il Friuli è questo qua/scolare bicchieri di vino e lavorare/si lavora, si
lavora e alla fine CRACK!/è tutto finito”
(PIT RYAN & Madmen Blues “Si lavora, si lavora”)
Questi sono solo pochi esempi di artisti che non vogliono imitare un genere, ma
che prendendo spunto ed ispirazione dal loro modo di vivere di ogni giorno,
esprimono una poetica sorprendentemente simile alle liriche di gente come Robert
Johnson o John Lee Hooker, fra i tanti che si potrebbero citare.
Andrea Cardinale, teorico e promotore di questo movimento musicale, ipotizza che
la causa principale di questa malinconia potrebbe essere il confine, che
correndo fra i colli e in mezzo ai fiumi ha tagliato questa terra per
generazioni.
Un confine che, non solo simbolicamente, ha indotto un sentimento di
incomunicabilità ed ha fortemente influenzato questa corrente poetica e
musicale.
6) Uomo sul confine/piantato sulle rocce/per cercare un equilibrio/e le tue
carte non le hai mai/giocate bene (F.RIZ “Uomo sul confine”)
Possiamo dunque affermare di essere la seconda patria del Blues?Non può essere
solo una coincidenza che fra piccoli paesi come Corno di Rosazzo, Cormons o
Brazzano se siano concentrati così tanti musicisti e cantautori friulani così
fortemente vicini all’estetica e alla poetica del blues?
Forse non dovremmo essere troppo orgogliosi delle nostre tendenze depressive.
Purtroppo, se diamo per buona l’equazione per cui non esiste arte senza
sofferenza, allore ci tocca proprio fare i conti con questa inclassificabile
“saudade friulana”.
Personalmente non ho mai seguito questa scuola di pensiero e, da orgoglioso
autoctono di questa zona del Friuli, preferisco continuare a pensare che dietro
la nostra endemica riservatezza ed il nostro spirito contemplativo si nasconda
una forte e preziosa sensibilità.
Discografia consigliata FVG
• PIT RYAN & MAD MEN BLUES: 1) LA MIDISINE JUSTE/PUNCH DRUNK; 2) HONG KONG MONEY
• STEFANO FEDELE: STEFANO FEDELE
• CROZ SCLIZZAZ (ARBE GARBE + RIZ): 1) CROZ SCLIZZAZ; 2) LIVE IN S.SUALT (BOOTLEG)
• MR. LUCKY & SEN-SA-SHUN BAND FIRST SENSATION
• FABIAN RIZ TRAVIARSA’
• PANTAN: 1) PANTAN; 2) NO VAIN
• JIMMI JOE BAND: LIVE AT OXIS
• W.I.N.D.: 1) W.I.N.D., 2) HYPNOTIC DREAM, 3) GROOVIN TRIP, 4) LIVE IN THE LAND
OF MILK & HONEY
• FABIO ULLIANA & OFF LIMITS: FABIO ULLIANA & OFF LIMITS
"Keeping The Blues Alive" -
Discografia consigliata e commentata del rock blues anni 60/70 e altro ancora…
di
Guido Sfondrini
Perché nel 2008 scrivere una discografia commentata sul rock blues degli anni 60
e 70 ? Gli amici di Spaghetti & Blues mi hanno posto questa domanda… Forse
perché arrivato ad avere 52 anni uno comincia ad essere un po’ nostalgico della
propria giovinezza e magari pensa che in quei tempi certe cose erano migliori,
che i rapporti tra le persone fossero caratterizzati da maggiore sincerità e
solidarietà, che nel mondo del lavoro ci
fosse più rispetto per i diritti, che
la gente era più allegra e più disponibile ai contatti interpersonali, che ci
fosse un maggiore interesse per la cultura, anche quella con la “c” minuscola,
lontana da sterili intellettualismi, ma vicina agli interessi più popolari e la
“musica popolare” certamente entra in questo settore e il blues è musica di
popolo, espressione di una minoranza etnica tenuta per secoli in schiavitù e che
ha lottato a denti stretti per i propri diritti e che ha usato la musica per
comunicare sino ad oggi, con l’elezione di Obama, che chissà cosa farà… ma
andate a dirlo ad un contadino nero dell’Alabama degli anni 50 che uno di loro
sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti!!! Rabbia, disperazione, bisogno
di emancipazione, incazzatura… questo si sente in un blues di Leadbelly (uno che
ha passato quasi 30 anni in galera per un delitto che non aveva commesso…) o
nella voce aggressiva e straziata di Big Mama Thornton o nel bending distorto di
una blues harp, cosa meglio di quei suoni e di quelle parole per dire certe cose
e comunicare certe sensazioni ?
First time i meet the blues… il mio primo contatto è stato quello con il blues
bianco dei Canned Heat e di John Mayall, credo fosse l’estate del 70 e un mio
cugino mi fece sentire una cassetta (le prime, quelle che si ascoltavano con il
registratore Philips con la custodia di finta pelle nera…) dove c’erano le
canzoni On The Road Again e My Pretty Girl.. quei suoni mi colpirono moltissimo,
soprattutto l’armonica che io pensavo fosse un giocattolo per bambini e che
invece si rivelava fonte di sonorità incredibili e che mi è rimasta nel cuore e
che ancora oggi soffio e biascico con i miei cari amici della Blues Clues Band.
Comunque, come ho scritto nella premessa di Keeping The Blues Alive, in quel
periodo c’era un furore interpretativo, una voglia di sperimentare e di
conoscere il blues, che coinvolse un po’ tutti e non solo negli USA e in
Inghilterra, ma anche in posti come l’Australia, il Giappone e l’Argentina, cioè
paesi culturalmente molto lontani dalle radici afro – americane, fino da noi in
Italia. Certamente i Mayall, gli Hendrix, Janis Joplin o i Ten Years After sono
stati un passaggio indispensabile per poi apprezzare il blues dei neri, da
quello elettrico di Muddy Waters e T.Bone Walker alle radici del Delta con Bukka
White o Furry Lewis. Per cui mi sono detto, visto che esiste la rete, dove si
trovano info di tutti i tipi, perché non fare una ricerca sui dischi di rock
blues bianco usciti i quegli anni e recuperare un po’ di titoli dimenticati, ma
che oggi grazie alle ristampe “ufficiali” (su cui ci sarebbe da fare un
discorsino…) e allo sterminato mondo dei blog specializzati da cui scaricare
gratuitamente cd e musica rippata da rari vinili originali, sono reperibili
abbastanza facilmente? Perché la lettura della discografia andrebbe accompagnata
dall’ascolto di quei vecchi dischi e delle “novità” postume (live recordings,
lost album, brani inediti, cd expanded e dvd di antichi concerti) uscite sul
mercato in gran numero in questi ultimi anni e che ho segnalato in ogni scheda
riferita ai vari musicisti protagonisti. Il senso di questo lavoro è anche
quello di riappropriarsi di un certo modo di suonare ed interpretare il blues e
il rock con feeling e viscere, lontano da quello che l’amico Pit Ryan Pettarini
dei Mad Man Blues di Udine definisce puntualmente: “blues leccato” e che capita
di ascoltare in molti lavori del rock blues odierno e di fare un po’ di
retrospettiva su un periodo storico in cui musica, movimenti giovanili, cultura
e politica si sono intrecciati in maniera indissolubile. Importanti anche la
collaborazione del mio amico Fausto Porta, uno che ha una raccolta di vinile e
cd anni 60 e 70 enorme e l’incoraggiamento di Fabio Treves, uno che non se la
tira e che ha la storia del blues in Italia dalla sua parte.
Beh, a questo punto buona lettura a tutti…… And don’t forget to boogie!!!
Chi vuole leggere questo lavoro mi contatti alla mail: gusfo_2006@libero.it
invierò il testo in formato pdf (157 pag.) GRATUITAMENTE !!!
Spaghetti Blues al Vinile
di Amedeo Zittano con la
collaborazione di Roberto "Pit Ryan”, Sergio Dalla Chiara , Claes Cornelius
La
risposta alla fatidica
domanda: “Chi sono i pionieri del Blues in Italia?” recita quasi sempre i nomi di Treves, Toffoletti e Ciotti. Sicuramente sono stati
loro i primi tre bluesman a dominare le scene per quasi cinque anni, producendo tre album
a testa, anche se il merito va anche ad altri artisti, certamente meno conosciuti, che
hanno fatto si che diverse regioni fossero espressione di altrettante realtà,
più o meno giovani, più o meno note, ma sicuramente vere e sincere. Pur non
avendo pubblicato nulla in quegli anni, costoro hanno costituito la spina
dorsale dello spaghetti blues.
Sulla nascita del primo disco di Blues nel nostro paese esiste ancor oggi un conflitto
dovuto alle diverse informazioni fornite dai pubblicisti. 1976: Treves o
Toffoletti? questo è il dilemma! Molti siti (compreso il nostro) hanno
individuato nel 1975 l'anno della nascita discografica dello spaghetti blues che
si ritiene coincidere, erroneamente, con l’anno di pubblicazione del primo disco di Treves.
E'
lo stesso Fabio a correggere tutti confermando che la data di
uscita del disco è ottobre 1976 (lo stesso mese della fine delle registrazioni, come scritto
sulla copertina). Dieci mesi prima Toffoletti aveva stampato 300 copie del suo
disco d'esordio con una
formula di ”autofinanziamento” pattuita con l’etichetta londinese Sonobeat di
Dave Stevens*.
Bisogna però precisare che già dal '70 avevano visto la luce degli
album di Blues con la partecipazione di musicisti italiani, sebbene le band fossero guidate
da artisti stranieri. A tal proposito ci corre l’obbligo di citare i due personaggi
chiave: il danese Claes Cornelius a Venezia ed il californiano Cooper Terry a
Milano.
1970 - “Our Blues Bag”, BRO
Claes
Cornelius, chitarrista e cantante (oggi uno degli spaghettari più accaniti) che
viveva in Italia per motivi di lavoro, nel 1970 pubblica
privatamente “Our Blues
Bag” (Paplirnaplano, MLP 004), un disco di sette brani tutti inediti realizzato
insieme al tecnico del suono Ermanno Velludo ed al gruppo “The Blues Right Off”
formato da Giancarlo Salvador al basso, Fuffi Panciera alla batteria e Paolo
Zanella alla chitarra ed al flauto. Il disco viene stampato in 500 copie
contenute in un sacchetto di juta sul quale sono serigrafati il titolo ed il
nome della band. All’interno del sacchetto è inserita una preziosa stampa
dell'artista veneziano Vittorio Basaglia. Le influenze dei BRO erano blues rock
con significative sfumature hendrixiane e il flautista Paolo Zanella dava un
tocco alla Canned Heat. Il risultato era una sorta di Blues progressiv molto
simile ai primi Jethro Tull, (il loro primo LP "This was Jethro Tull" era in
sostanza un disco di blues col flauto). I BRO evidenziavano molto bene la
visione anticonformista, tipica dei giovani europei dell'epoca. Aggressivi e
liberatori, si rivelavarono al pubblico dando sfogo ad un’immagine coraggiosa ed
intraprendente delle nuove leve di musicisti.
Claes ci racconta: “Per
quanto riguarda la qualità sonora, il disco era molto “primitivo”, visto che
venne registrato su una macchina Tandberg 2 piste semiprofessionale, con due
vecchi mixer Binson a valvole che avevamo in quel periodo: il tutto in mono! Tutti
i brani erano nostri e non cercavamo di imitare i bluesmen americani”. Cornelius
nel 1974 tornò in Danimarca continuando a lavorare nel settore musicale sia
come produttore che come musicista. “Our Blues Bag”
è stato ristampato nel 2009.
1972 - "What I Think About America”, Cooper
Terry
Cooper Terry (Vearl Cooper Jr) invece era nero,
veniva dagli USA per non combattere una guerra in cui non credeva. Imparò il
blues da Sonny Terry (da cui il soprannome). Arrivò in Italia intorno al 1971 e nel
’72 registrò il suo primo disco "What I Think About America”.
Cooper rappresenta
ancora oggi (a quindici anni dalla sua scomparsa e senza voler sminuire
nessuno), il punto di riferimento “straniero” più importante che l’Italia abbia
mai avuto l’onore di ospitare. La scuola di Cooper "el negher dei navili” esiste
ancora oggi e risiede nei cuori delle persone che lo hanno amato e che gli sono
stati vicino. "What I Think About America” contiene cover ed inediti in
acustico. Cooper al canto, chitarra e armonica fa lo "one man band" tranne che nei
brani: “Cooper’s Boogie”, con Lucio Terzano alla 2ª chitarra, e ”Queen Of Spades”,
con Graziano Tede al bongo. La realizzazione fu curata da Franco Fayenz.
All’interno del disco, oltre ad una sua foto mentre impugnava una chitarra, vi
erano i testi
dei brani con le traduzioni in italiano a cura di Anna Maria Brindisi. Il pezzo
che dava titolo all’album rendeva bene l’idea delle motivazioni culturali di Cooper:
“Dev’esserci un modo per uscire di qui, mi sono detto un giorno. Qui ci sono
troppi Nixon e Reagan e troppi tributi da pagare. Devo reclamare i miei diritti,
devo rivendicare il mio diritto di pensare, ma da qualsiasi parte io giri la
testa, vedo il mio popolo che muore. Quattrocento anni fa ci avete trascinato su
queste coste, ci avete violentati, picchiati e uccisi. Non lo posso sopportare
più. Avete costruito questo paese sulle nostre schiene e poi dite di averci
lasciati liberi. Adesso vi dico quello che penso, questa è soltanto un’altra
schiavitù. Voi avete pane e noi non ne abbiamo, dite: siete uguali, lo sapete!
Ma quando fate una guerra ditemi, chi sono i primi che mandate. Ci tenete divisi
con i vostri soldi e le vostre menzogne, ma io ti conosco zio Sam e i miei occhi
sono ben aperti. Oh bellissima America!, Paese di latte e d’oro, i pellerossa
hanno cercato di rubarti, almeno questo è ciò che mi avete insegnato. Non
chiedetemi cosa penso di questa cosiddetta democrazia, dico che il nome dovrebbe
essere cambiato, bisognerebbe chiamarla ipocr-azia”.
1976 - "Born in London", Guido Toffoletti &
The Blues Society
Sergio Dalla Chiara, che custodisce le uniche note
autobiografiche donategli da Guido nella primavera del 1995, scrive su
musicain.it: “Guido pubblica il suo primo album stampato privatamente, soltanto
300 copie, perché nessuno crede in lui, dal titolo significativo "Born in London".
A tal proposito
Guido scriveva sull'album questa significativa prefazione:
“It was almost three years since I had been discouraged by the paranoid music
situation in Italy and some personal problems. I didn't play regularly in a
band, when in London at the end of last year I meet Long John Baldry. We spoke
about a book of music in the '60 which I'm writing in the period. Later, thanks
to John interest, I was able to meet also Alexis Korner and my old enthusiasm
came back. In fact, a few days after my arrival in Italy. I gathered together
some old friends and the Blues Society was born. Shortly after, we were already
in the studios and the results this album recorded in one day of eight
consecutive hours with most selections done in just one take. A lot the numbers
are familiar, almost classic blues and Willie Dixon's Hoochie Coochie Man is
naturally dedicated to Long John. I know I'm a novice and I have only tried to
play the blues. The road is long and difficult, but is my road“. L’esecuzione
dei brani era palesemente ispirata al British Blues e quindi fedele
all’insegnamento del “padrino” di Guido, Alexis Corner (padre del London Blues),
proprio colui che gli suggerì la creazione della “The Blues Society”.
Il livello
tecnico del disco è molto buono nonostante in alcuni passaggi possa dare
l’impressione di un’esecuzione vagamente “didattica”. Personalmente, penso che sia
dovuto ai 32 anni di vita del disco. Credo
anche che rapportandola a quegli anni, e considerando la giovane età dei
musicisti, l’opera sia decisamente buona. La Blues Society era composta da Guido Toffoletti (lead guitar, harmonica, acoustic and electric bottleneck guitar,
vocals), Max Bianchini (vocals, piano, guitar), Giancarlo Salvador (bass guitar),
Giorgio Fattoretto (drums), Nino Smeraldi (guitar per i brani “Got my mojo
working” e “Little red rooster”).
Oggi è possibile scaricare dei video alquanto rari di Guido, formattati dallo
spaghettaro Roberto Pit Ryan, all’indirizzo
www.musicain.it/GUIDO%20WEB%20SITE.htm.
1976 - "Treves Blue Band", TBB
“Il Puma di Lambrate”, alias Fabio Treves, e la
sua omonima Blues Band di dieci elementi, realizzò il suo primo long playing dal
titolo “Treves Blues Band”, disco noto anche con il nome di "Imola Street Blues"
(dal titolo di una celeberrima canzone della scaletta). La TBB era composta da:
chitarra, sezione ritmica, armonica, sezione fiati e tastiere, una sorta di Big
Band alquanto inusuale, almeno per i “critici”. Lo stesso Fabio ha accennato nel libro
“Guida al Blues” del ’79, che la critica non fu di manica larga nei loro
confronti: i puristi, si sa, sono sempre stati restii ai cambiamenti. Tuttavia il loro lavoro
discografico anticipò un po’ quello stile R&B dal sapore di Chicago che avrebbe
vissuto il massimo splendore solo qualche anno dopo grazie alla blues revue
degli anni ’80.
La scaletta è varia è contiene sia cover che brani inediti; lo
stile è fresco e carico di grove nonostante la qualità della registrazione non
sia proprio ottimale. Parlando del suo primo disco, lo spaghettaro Fabio ci
racconta: “Mi ricordo tutto con molta dovizia di particolari, eravamo in tanti
musicisti, l'ordine dei brani scelti abbastanza casuale, il banco un 8 piste,
registrato in un pomeriggio, tutto in diretta. Un microfono per i tre fiati, la
batteria quasi così com'era al naturale... davvero una situazione pioneristica,
eppure quel primo vecchio/storico vinile della TBB presentava "Caledonia", "Born
in Chicago”, "Vietnam Blues", brani che erano il leit-motiv delle nostre
giornate Blues... Eravamo un gruppo di giovani che in comune avevano la passione
per un genere ancora inesplorato, desiderosi di andare in giro a suonare il
BLUES, anche se ci guardavano male e con molta diffidenza... allora andava forte
il rock progressive, e la nuova scuola del jazz d'avanguardia!” […] "Certo non
mi sarei mai immaginato di diventare un punto di riferimento per tanti altri
giovani musicisti, e mai avrei pensato di essere l'unico di quella prima
formazione a continuare a credere nel BLUES... ma ormai lo sanno tutti, io sono
molto cocciuto e molto innamorato, ancora oggi, del Blues, tutto quello che
parla con il cuore alla gente!” […] "Eravamo in pochi in Italia a suonarlo, però
con tanto piacere ed affetto voglio citare Tolo Marton,Guido Toffoletti, Roberto
Ciotti e i Blue Stuff di Napoli… ed ovviamente anche se era americano, ma
meneghino d'adozione il grande e compianto Cooper Terry”.
1978 - “Super Gasoline Blues”, Roberto Ciotti
“Super Gasoline Blues” con: Enzo Pietropaoli
al basso e Giampaolo Ascolese alla batteria, special guest Susanna De Vivo, è
una vera valanga
esplosiva di blues italico in cui emerge il primordiale stile chitarristico, vocale e armonicistico (all’epoca suonava anche l’armonica) di
Roberto Ciotti. La qualità della registrazione è ottima, l’esecuzione scorrevole
e accattivante: un capolavoro acustico. Parlando del suo primo disco, lo
spaghettaro Roberto ci racconta: “Il mio primo album è stato sudatissimo, mi
rifacevo ai classici ma non potevo prescindere dalla mia vena creativa
personale, per
cui già scrivevo i miei pezzi tra cui alcuni ancora suono e canto e sono inclusi
nel cd unplugged dal libro autobiografico edito Castelvecchi 2007. Era difficile
capire il blues avere una cultura diversa e scontrarsi con mille difficoltà. ma
la passione era tanta e cercavo di assimilare quel linguaggio mantenendo la mia
espressione. All'inizio la chitarra andava da sola ed era il mio forte sia nel
ritmo che nell'improvvisazione. Faticavo a trovare il modo di cantare anche
perché ero giovanissimo e la voce era acuta. Poi oggi la mia voce è grossa e
piena di bassi e ho trovato un modo anche di scrivere le mie melodie e i miei
arrangiamenti […] Eravamo pionieri nei ‘70 e oggi il blues è dominio di tutti,
Castles Of Sand e Hell Boogie ancora le canto e le ho incise unplugged, la prima
parla del fatto di trovarmi in un epoca pazzesca(anni 70) che pero mi dava
l'impressione di essere costruita sulla sabbia (purtroppo) Hell Boogie era la
pura voglia di suonare e di groove e improvvisazione, di un modo di vita libero
e creativo legato a quella musica , una grande novità per la vecchia Europa”.
1979 - “The List”, Andy J. Forest
Avendo raccontato dei i primi tre dischi
italiani di blues e dei
primi due di musicisti “italiani d’adozione”, sarebbe un peccato non menzionare il terzo… Si tratta di un personaggio che, come i precedenti, ha dato
vita alla propria produzione discografica in Italia, supportato da una band di
strumentisti italiani. Stiamo parlando del poliedrico artista di New Orleans Andy J. Forest e
del suo primo LP “The List” (Italian Records) con The Stumblers (tra i quali, un anno
dopo, avrebbe militato brevemente anche Tolo Marton), una vera e propria miscela
esplosiva per allora.
In Italia dal gennaio del 1979, Andy era già stato amico
di Roby Zonca ed aveva “ereditato” la band di Joe Galullo che nel medesimo
periodo lasciava Bologna per gli USA. Per questo primo lavoro discografico,
oltre ad Andy all’armonica, al canto e alle “blues shoes”, c’erano Roby Zonca
alla chitarra, voce e basso, Fabio Sorti alla batteria, Carlo “Milano Slim”
Landini alla chitarra, Silvio “Cheeta” Limonta al sax alto, Tino Tracanna al sax
tenore e baritono e Tao Ravao alla chitarra. I brani erano tutti inediti di Andy
J.
tranne due, uno firmato da Zonca e l'altro da Andrew Hog.
Il ritorno del vinile?
Domanda: “Negli ultimi anni c'è stata una
riscoperta del vinile. E' vero?” risposta: "Del vinile se ne parla più di quello
che realmente si compra. E' vero che anche i giovani, per moda, si avvicinano a
questo formato, però rimane un mercato da collezionisti. Ci sono alcune
produzioni nuove che decidono di stampare ancora in vinile, ma sono solo una
piccola parte. Rimane comunque un fenomeno di nicchia con un interesse
limitato". Da un’intervista di Amanda Sirtori a Mario Buscemi, gestore e
fondatore del Buscemi Dischi (da milanodabere.it).
Concludendo il nostro percorso sulla produzione del vinile italiano di blues non
potevamo tralasciare quella che è la tendenza del momento: il suo
ritorno.
Sì, perché vinile è bello e lo dimostrano i numeri dichiarati dalla Nielsen.
Negli USA le vendite dei vinili sono passate dalle 858mila copie del 2006 a più di un
milione e mezzo previste per la fine del 2008. Sarà la rivalutazione di
esperienze sonore più qualitative, sarà per il “sex appeal dell'inorganico”
(come lo definisce il filosofo Mario Perniola), sarà… ma nelle aste i prezzi dei
vecchi vinili sono lievitati di molto. Intanto grandi artisti come Bob Dylan,
Springsteen, Elvis Costello, Vasco Rossi e Zucchero, tornano a pubblicare su
vinile. Per quanto riguarda il Blues, da qualche mese è stato pubblicato dalla Banksville un LP+CD degli Mhmm, band formata da: Paolo Baltaro, Gianni Opezzo,
Sandro Marinoni e Boris Savoldelli. Il progetto di pubblicare un LP+CD non è
nuovo al mercato, tuttavia questo caso svela aspetti tecnici lodevoli e
brevettati dagli stessi Mhmm. Per maggior chiarezza abbiamo chiesto a Paolo
Baltaro il perché della scelta di proporre anche l’ellepi: “Abbiamo capito che
sarebbe stato un peccato rovinare il suono analogico che stavamo tirando fuori
per questo disco comprimendolo con il consueto mastering da CD. Da qui l'idea
del vinile e di un CD allegato che suonasse il più possibile simile al vinile
stesso. Dopo intere notti di esperimenti con vecchi outboards analogici abbiamo
deciso di passare i mix su registratori a bobine ad alta velocità utilizzando
compressori analogici in particolare successione e taratura. Abbiamo poi
effettuato il mastering specifico per vinile alla "vecchia maniera" (tagli e
trattamento della fase sulle basse frequenze per evitare il salto della puntina)
al Das Ende Der Dinge di Mauro Andreolli. Il materiale ottenuto, destinato all'
incisione della lacca per l'LP (transfer), è stato copiato sul CD senza
trattamenti ulteriori e unito alla confezione sotto l'incelofanatura. […] Non so
se questa sarà mai una rivoluzione tecnologica ma sicuramente è un bel gioco […]
* “Big City Lights” (uno dei brani del
primo disco di Guido) è dei Savoy Brown, la band in cui militavano anche Dave
Peverett e Tony Stevens
Down in the Delta -
In viaggio cercando il blues
di Bertrando Goio
Premessa
Il Mississippi Delta è la pianura alluvionale compresa grossomodo tra Memphis e
Vicksburg, delimitata dal fiume Mississippi e dallo Yazoo, suo confluente
proprio all’altezza di Vicksburg.
Anche se vittima e in un certo senso prodotto di tanti luoghi comuni, resta una
solida realtà il fatto che il Delta è stata una delle zone (non la sola, si badi
bene) in cui il blues ha preso forma ed è nato, per poi svilupparsi nelle forme
che conosciamo oggi.
Quello che segue è il resoconto del viaggio che ho compiuto nel Delta tra il 2 e
il 16 giugno del 2008, più il 17, che però è stato il giorno della partenza. Ho
cercato di raccontare ricordando e pescando nella memoria ancora fresca, tutto
ciò che ho visto e che ho vissuto.
E' stata un'esperienza indimenticabile. Nei pur pochi (quindici giorni) passati
in quei posti che ho girato in lungo e in largo, ho scoperto un mondo intero,
dai luoghi del paesaggio alle persone, dai modi di vivere al cibo, dal modo di
gestire i rapporti umani alla musica che, in ultima analisi eral'obbiettivo
principale, anche se non l'unico, del mio viaggio.
Nella musica sono entrato fino al collo, ascoltando, suonando tantissimo insieme
alla gente del posto, partecipando come spettatore a quei festival che durano
dodici ore e anche di più, dal mattino a sera, tra birra, catfish e ali di pollo
fritte. Ho avuto l'onore e ho sentito tutta l’emozione di suonare ai microfoni
della KFFA radio al celebre programma KING BISCUIT TIME. Ho visto leggende
viventi del blues come Honeyboy Edwards e B.B. King, ho conosciuto tantissime
persone che hanno arricchito la mia conoscenza di un mondo di cui, in sostanza,
ho respirato l'aria e in cui mi sono immerso.
Con la macchina presa a noleggio a Memphis ho esplorato quelle terre
incredibili, rendendomi conto di cosa sia il Delta oggi, nel XXI secolo, vedendo
ciò che ancora c'è e quello che invece è solo memoria e che tuttavia si ritrova
nei musei, come è nell'usanza e nella psicologia americana del "guardare avanti"
e conservare in bacheca ciò che è passato.
Certo qui non ho potuto rendere le sensazioni e riprodurre il ricordo di ogni
singola minima cosa che mi è passata vicino, di ogni parola ascoltata e di ogni
nota che ho sentito suonare, tutte cose che girano nella mia memoria magari
senza un ordine preciso. Ma ho comunque cercato di rendere con le parole il
significato di un viaggio che terrò tra i miei ricordi più preziosi e che spero
di poter ripetere in futuro.
Nota: il racconto segue fedelmente l’ordine cronologico giorno per giorno, come
un diario, in quanto deriva dagli appunti che ogni sera prendevo sugli eventi
della giornata. Tuttavia l’esposizione, che è spesso al presente, si muta
sovente in una narrazione al passato, e a tratti ha richiesto piccole
anticipazioni, per esigenze dettate dalla difficoltà di trasformare un quaderno
di semplici annotazioni in un testo vero e proprio, senza però al tempo stesso
alterarne la natura di “giornale” di viaggio.
continua
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