Bukka White: the Country Blues
di
Guido Sfondrini
“Perhaps on some quiet night the tremor of far-off drums, sinking, swelling,
a tremor vast, faint ; a sound weird, appealing, suggestive, and wild.”
Joseph Conrad, Heart Of Darkness.
Un
gigante del country blues, un chitarrista slide dallo stile atipico e
apparentemente sgangherato e percussivo, una voce profonda e emozionante, un
interprete del blues più puro nello stile del Delta, origine di tutto il blues
passato, presente e futuro. Nativo anche lui dello stato del Mississipi, vera
zona D.O.C. del blues d’inizio del XX secolo, il suo nome era Bukka White
(acronimo di Booker T.Washington White), da Aberdeen, anno domini 1909. Il padre
ferroviere, è un musicista impegnato, suona il violino, il mandolino e anche il
sax, ed è lui che lo avvicina al blues. Sotto la sua guida impara a suonare il
violino e la chitarra (quella che suo padre gli aveva procurato per studiare,
una Stella, che in seguito regalerà ad un suo cugino… tale Riley B. King, poi
più noto universalmente come BB King…). E’ inizialmente influenzato dallo stile
di Charlie Patton, che sente suonare in qualche rent party nella zona dove vive
e, verso i 15 anni, si trasferisce prima da uno zio a Clarksdale e in seguito a
St.Louis. Da giovane si esibisce come cantante e chitarrista nello stato del
Mississippi e si mette anche a fare il pugile semi-professionista. La boxe,
popolarissima negli USA degli anni 20, garantiva interessanti guadagni. In
seguito, negli anni 30, BW arriva a fare alcune registrazioni per la Victor mai
poi, nel paese travolto dalla crisi economica, tutte le strade alla musica come
professione si chiudono. Solo nel '37 torna ad incidere, sotto l’ala protettrice
di Big Bill Broonzy, alcune tracce con il produttore Lester Melrose a Chicago.
Ma ancora una volta la sfiga si presenta a chiedere il conto a Bukka che viene
coinvolto in un tentativo di omicidio durante una rissa e, dopo un periodo
passato in libertà vigilata sotto cauzione, viene condannato a 3 anni di
prigione che sconta nel penitenziario di Parchman Farm (ben noto a tutti gli
appassionati di Blues per essere stato più volte citato nei testi dell’epoca).
Durante la carcerazione registra alcuni brani per i fratelli Lomax (analogamente
questo avvenne anche per Leadbelly), celebri ricercatori di folk e blues, che
per
primi
contribuirono alla diffusione del blues a livello di massa con il loro lavoro
minuzioso e appassionato per la Library of Congress. Di questo periodo sono
brani come: Don’t Shake Em On Down, Parchman Farm Blues e Fixin To Die
Blues. Uscito di galera, suona per un periodo con Jack Kelly, girando tra
Cleveland, Chicago e St.Louis. Alcuni dei suoi brani diventeranno dei classici
del Delta blues; Don’t Shake Em On Down fu interpretata da Tommy McLellan,
Fred McDowell. RL Burnside e Furry Lewis e in anni recenti ne hanno reso un
bella versione rock blues i North Mississipi All Stars. Negli anni 60 le songs
di Bukka avranno le loro belle covers da parte dei musicisti folk e rock
bianchi, in primis Bob Dylan. Durante gli anni 40 e la II guerra mondiale, Bukka
è in forza alla Marina degli Stati Uniti, dove svolge il suo servizio militare.
Tornato in patria, alla fine degli anni 40 e nei seguenti anni 50, Bukka White
va a vivere a Memphis dove lavora in fabbrica come operaio ritirandosi
completamente dalla scena blues (con un breve ritorno nel periodo '52/'53 quando
suona la chitarra in alcune band R'n’B). Poi per molti anni si esibirà
esclusivamente nelle feste private e per gli amici. Bukka White torna alle scene
nei 60, con l’esplosione del folk/ blues revival e dopo che Dylan canta e suona
la sua Fixin To Die nel suo primo storico lp per la CBS. Viene riscoperto
e aiutato da John Fahey e Ed Denson e così un Bukka White ormai non più giovane
viene messo a contratto prima dalla Takoma e poi dalla Arhoolie di Chris
Strachwitz. Ultracinquantenne re-inizia la sua carriera musicale che lo renderà
immortale nel panorama blues degli anni 60 e 70 e sino ai giorni nostri.
E’ difficile districarsi nella discografia di White fatta soprattutto di
partecipazioni a compilations di Delta blues prodotte in gran numero da una
moltitudine di etichette dagli anni 60 in poi. Infatti registra molto materiale
per la Blue Thumb, la ASP (un disco insieme al vecchio amico Furry Lewis), la
tedesca Blues Beacon, la Blue Horizon di Mike Vernon (con cui da alle stampe lo
splendido lp Memphis Hot Shot), sino all’italiana Albatros di Lucio
Maniscalchi e Gianni Marcucci, con cui nel 72 registra alcuni brani per la
raccolta: Tennessee Blues vol.1. Pressato sul vinile anche l’lp Furry
Lewis, Bukka White and Friends at Home, registrato live nella casa di Lewis
nel luglio 68. La sua attività si fa sempre più
intensa,
con un lungo tour USA e in Canada e la partecipazione all’American Folk Blues
Festival del 67, insieme a Little Walter, Koko Taylor, Hound Dog Taylor e Skip
James (con il relativo lp registrato il 15 ottobre 67 alla Kongress Halle di
Berlino). La sua voce calda e potente, lo stile particolare con cui “perquote”
la sua chitarra National, il coinvolgimento totale nell’esprimere la
drammaticità dei suoi blues, lo rendono molto popolare in Europa e ne fanno uno
dei maestri riconosciuti del Delta blues. Per un assaggio di qualità dell’opera
di White è consigliabile la recente cd-r The Complete Blue Horizon Sessions,
che raccoglie: Memphis Hot Shot (a cui partecipano anche: Harmonica Boy,
il chitarrista Bill Barth e il pianista Trevor Koheler) e 1968 Memphis
Country Blues Festival, live album con Mississipi Joe Callicott, Furry Lewis
e Robert Wilkins. Due dischi in cui si ha modo di ascoltare del grande blues,
suonato senza la minima concessione al business e alle mode. Da segnalare anche
l’lp Country Blues registrato dal vivo a Brema nel 1975. Nel 1976
partecipa alla registrazione del documentario per la BBC: The Devil’s Music,
forse la sua ultima apparizione pubblica.
Muore dopo una lunga malattia nel 1977 all’età di 68 anni.
C’è un fantastico sito americano. American Music, che riporta la discografia
completa (?) di Bukka White e di molti altri artisti blues/folk americani e non:
http://www.wirz.de/music/whitbfrm.htm... da passarci un po' di tempo in maniera
gradevole!!!
Per concludere, Bukka White è stato un musicista blues fondamentale, uno che ha
raccontato le radici musicali e culturali del Blues nella sua forma più pura e
incontaminata; sentirlo cantare e sentire suonare la sua slide guitar è come
immergersi nella tiepide acque limacciose del Mississippi mangiando a colazione
un piatto a base di catfish, uno degli elementi base dell'american southern
cooking. Buon appetito…
ABERDEEN MISSISSIPI BLUES
I was over in Aberdeen
On my way to New Orleans
I was over in Aberdeen
On my way to New Orleans
Them Aberdeen women told me
Will buy my gasoline
Hey, two little women
That I ain't ever seen
They has two little women
That I ain't never seen
These two little women
Just from New Orleans
Ooh, sittin' down in Aberdeen
With New Orleans on my mind
I'm sittin' down in Aberdeen
With New Orleans on my mind
Well, I believe them Aberdeen women
Gonna make me lose my mind, yeah
(slide guitar & washboard)
Aber-deen is my home
But the mens don't want me around
Aberdeen is my home
But the men don't want me around
They know I will take these women
An take them outta town
Listen, you Aberdeen women
You know I ain't got no dime
Oh-oh listen you women
You know'd I ain't got no dime
They been had the po' boy
All up and down.
(guitar & washboard to end)
SHAKE’ EM ON DOWN
Yes, you're a nice girl, mama
And little girl
Night before day
We gonna
Shake 'em on down
I need some time holler, now
Oh, must I shake 'em on down
I done shout hollerin', now
Must I shake 'em on down
Too much is debted to me
Through the week
Save these chili peppers
Some ol' rainy day, here
Best I'm hollerin', now
Ooh, must I shake 'em on down
I done shout hollerin', now
Must I shake 'em on down, now
Fix my supper
Let me go to bed
This white lightnin' done gone
To my head
Oh, must I holler now
Ooh, must I shake 'em on down
I done shout hollerin', now
Must I shake 'em on down
I ain't been in Georgia, babe
I been told
Georgia women got the best
Jellyroll
These nights time holler, now
Oh, must I shake 'em on down
I done shout hollerin', mama
Must I shake 'em on down
See See mama, heard
You, done-done
Made me love you, now I know
Man done coming
Best I'm hollerin', now
Oh, must I shake 'em on down
I done shout hollerin', mama
Must I shake 'em on down
Pretty girl's got
They don't know
What it is
Make me drunk at that old
Whiskey still
It's best I'm hollerin', now
Oh, must I shake 'em on down
I done shout hollerin'
Must I shake 'em on down.
Jimmy Witherspoon di
Guido Sfondrini.
Ascoltare
la sua voce cantare un brano splendido come Ain’t Nobody Business, non
può che dare delle forti emozioni; una voce baritonale calda, sensuale e
puramente blues come la sua è di quelle che non si dimenticano facilmente. Di
chi sto parlando? ma certamente di Jimmy Witherspoon, interprete importante del
blues e del jazz dagli anni 40 sino agli anni 90, uno che ha prodotto anche
un'ampia discografia, con alcuni acuti indimenticabili. Nel solco della
tradizione dei grandi shouters come Jimmy Rushing e Big Joe Turner, JW alterna
il blues e il jazz nelle sue corde interpretative e anche nell’uso delle sue
corde vocali, con una particolare versatilità ed un innato senso dello swing.
Proveniente dall’Arkansas (Gurdon) dove nasce nel 1923 figlio di un ferroviere,
si avvicina alla musica cantando nel coro della chiesa battista locale di cui
sua madre è la pianista. In seguito, nel 1939, si trasferisce in California, a
Los Angeles, dove entra nel giro dei locali jazz. E' di moda il jumpin jive,
Duke Ellington con il suo musical Jump for Joy, che ha per interprete Big Joe
Turner, influenza il suo stile ed un JW alle prime esperienze canta e comincia a
farsi le ossa con l’orchestra di Buddy Collette. Negli anni 40, durante la II
guerra mondiale viene arruolato in Marina; effettua il servizio militare sui
mercantili che riforniscono le truppe in Asia come cuoco e viene congedato nel
'43 In questo periodo segna un'esperienza come vocalist dell’orchestra di Teddy
Weatherford, pianista americano espatriato a Calcutta, in India. Con il volgere
al termine della guerra si avvicina al mondo della musica professionale e
rimpiazza il vocalist Walter Brown nella band di Jay McShann; in questo periodo
canta anche con Big Joe Turner e T.Bone Walker, correva l’anno 1944. Nel '49
registra brani come Money’s Gettin Cheaper, Skidrow Blues e Ain’t
Nobody Business Quest'ultima è l'arrangiamento di un vecchio brano di Leroy
Carr ed è stata già cantata da un'altra voce mitica del blues, quella di Billie
Holiday. E' un grande successo, interpretata da Jimmy in una versione slow e
meditativa con grande espressività e feeling, il brano rimane nella classifica
di Billboard per 34 settimane ed è uno dei maggiori hits del blues post bellico.
Da qui JW sarà protagonista di più di 200 incisioni per molte labels come la
Federal, la Chess, la RCA, la Down Beat e la King. Nel '56 registra per l’Atlantic
con la Wilbur De Paris New Orleans Jazz Band alcune sessions di Dixieland; canta
su molti palcoscenici tipicamente jazz come la Carnagie Hall e il Monterey Jazz
Festival; collabora con Count Basie, Roy Eldridge, Buck Clayton All Stars, Ben
Webster
e Earl Hines. Negli anni 50 registra con T.Bone Walker e il sassofonista Gerry
Mulligan (avevo un disco della Joker, di quelli venduti a 1000 lire negli anni
70, con una fantastica registrazione live di Mulligan e Witherspoon, risalente
al 1959, se qualcuno riesce a trovarlo…). Il suo è un successo mondiale ed i
suoi tours sono frequenti e spesso sold out. Nel '61 è in Europa con Buck
Clayton; nel '62 da alle stampe Hey, Mrs. Jones; l’anno dopo Baby,
Baby, Baby con il chitarrista jazz Kenny Burrell. Nel 63 registra Evenin
Blues con T.Bone Walker e il sassofonista Clifford Scott; nel '64 per la
Prestige, Blues For Easy Livers, con Pepper Adams; nel 1966 in GB
registra l’lp Spoon Sing and Swings con il tenor sassofonista inglese
Dick Morrissey, che negli anni 70 sarà noto come leader della prog jazz band If;
nel '68 The Blues Is Now con il fratello, l’organista Jack McDuff, poi
To Seek A New Home e Spoon In London per la Blue Note con esponenti
del jazz inglese come Terry Smith e lo stesso Dick Morrissey; quindi Hunh!!,
per la Bluesway, con Charles Brown e Earl Hooker. Nel 1970 da alle stampe per la
MGM Guilty, disco parzialmente live registrato nel penitenziario di San
Quintino con l’ex vocalist degli Animals, Eric Burdon e la Ike White S.Q. Prison
Band: un disco emozionante, carico di feeling e di significati politici e anti
razzisti ma che fu un flop dal punto di vista commerciale Nella track listing
del disco brani da brivido come il medley I’ ve Been Drifting/Once Upon A
Time, la mayalliana The Laws Must Change e Fuck Me…I Tought He Was
Dead tratta dai concerti al Whiskey a Gò Gò di L.A. tenuti da Burdon e
Witherspoon con la John Sterling Band nei mesi precedenti le registrazioni di
S.Quintino (presente solo nella cd-r). A questo lavoro, poco conosciuto ma di
grande qualità, collaborarono inoltre l’armonicista Lee Oskar e Harold Brown dei
War.
L’attività di JW non ha soste, all’inizio degli anni 70 conosce un giovane
chitarrista bianco dal futuro promettente, Robben Ford, con cui inizia una
proficua collaborazione: cercate il cd postumo Live At Monterey Jazz Festival
del 72, eccitante registrazione con protagoniste assolute la voce di
Witherspoon
e la solista di Ford. Dello stesso periodo sono anche il 33 gg. Spoonful,
con Robben Ford, Cornell Dupree e Thad Jones e The Black Caucus Concert Live,
sempre con uno strepitoso Ford alla lead guitar. Nel '75 registra per la Capitol
un altro titolo di successo: Love Is A Five Letter Words, disco prodotto
da Mike Vernon, patron della Blue Horizon e con qualche concessione al business,
con Pete Wingfield, ex Jellybread, alle keyboards ed il sassofonista Johnny
Dankworth, con un abbondante utilizzo di strings arrangements. Il disco arriva
al 26° posto di Billboard nella categoria Black Music. JW è molto popolare, la
sua attività live è intensa e le sue registrazioni sempre numerose, ancora per
la Blue Note e la Fantasy. Negli anni 80 gli viene diagnosticato un cancro alla
gola ma, nonostante ciò, le sue produzioni discografiche continuano anche se
dopo le cure a cui viene sottoposto la sua voce subisce inevitabilmente dei
danni. Da segnalare: Midnight Lady Called The Blues, prodotto da Doc
Pomus e Dr.John; nel '90 Live At Notodden Blues Festival con un ormai
affermatissimo Robben Ford; nel '92 The Blues, The Whole Blues and Nothin But
The Blues per la Indigo Records e la sua ultima fatica discografica
Spoon’s Blues per la Stony Plain, special guest Duke Robillard e Long John
Baldry. Il live Jimmy Witherspoon & Junior Mance Jazz Trio è uscito dopo
la sua dipartita.
JW scompare a Los Angeles il 18 settembre del 1997. La discografia di
Witherspoon comprende molti altri titoli oltre a quelli da me citati e numerose
raccolte con inediti e outtakes uscite in formato cd negli anni seguenti la sua
morte. Senz’altro la sua è stata una delle voci più accattivanti del blues e del
jazz, per un italiano come me che tenta di canticchiare il blues con buona
volontà e risultati un po’ pecorecci, ascoltare quella voce è come intingere un
croissant francese in una miscela di caldo chocolate caribe venezuelano, da
leccarsi le dita insomma. Assaporate anche voi l’arte sublime di Jimmy
Witherspoon tramite le sue numerose testimonianze discografiche… ne vale la
pena!!!
Per una discografia completa e particolareggiata vi rimando al sito:
http://www.jimmywitherspoon.com/discography4.htm
Ain’t Nobody Business
There ain't nothing I can do
Or nothing I can say
That folks don't criticize me
But I'm going to do
Just as I want to anyway
And don't care just what people say
If I should take a notion
To jump into the ocean
Ain't nobody's business if I do
If I go to church on Sunday
Then cabaret all day Monday
Ain't nobody's business if I do
If my man ain't got no money
And I say "take all mine, honey"
Ain't nobody's business if I do
If I give him my last nickel
And it leaves me in a pickle
Ain't nobody's business if I do
But I'd rather my man would hit me
Than follow him to jump up and quit me
Ain't nobody's business if I do
I swear I won't call no copper
If I'm beat up by my papa
Ain't nobody's business if I do
Nobody's business
Ain't nobody's business
Nobody's business if I do
Walter “Shakey” Horton:
The Harmonica Wizard
di Guido Sfondrini.
Nato nel
1917 a Horn Lake nello stato del Mississippi, Walter “Mumbles/Shakey” Horton (i
nickname sono alternativi) sarà ricordato come uno dei più importanti
armonicisti blues americani, assieme ai due Sonny Boy Williamson I e II, a
Little Walter, Junior Wells e James Cotton. Comincia a biascicare la sua blues
harp intorno ai cinque anni e adolescente va a vivere a Memphis. Qui frequenta
la scena di Beale Street e Handy Park dove, alla fine degli anni 20, è
popolarissima la Memphis Jug Band. Ascolta più volte l’armonicista di quella
band, il leggendario Will Shade, da cui trae ulteriori stimoli a suonare il
blues e utili insegnamenti nel perfezionare il suo stile all’armonica. Si fa
notare da Nat Williams primo dj nero per la WDIA, che lo convince a partecipare
ai contest tra musicisti che si svolgevano nei bar e negli house rent parties
della zona di Beale Street riuscendo a farsi notare anche dal pubblico. Negli
anni 30, in una America segnata dalla recessione economica e dalla segregazione
razziale, suona in giro per lo stato del Mississippi e segna le sue prime
registrazioni per le etichette Okeh e Vocalion, accompagnato dal chitarrista
Little Buddy Doyle, prendendo come ispirazione il fortunato duo acustico formato
da Sleepy John Estes (chitarra) e Hammie Nixon (armonica), di grande successo
tra la gente di colore in quel periodo. Poi va a New Orleans dove suona con
anche con il mitico Robert Johnson, con Homesick James e Big Joe Williams, con
cui sosteneva di avere registrato la prima versione di un brano strafamoso come
Baby Please Don’t Go (cosa che non è mai stato provata realmente). Suona anche
in duo con un ancora sconosciuto BB King, che nella sua autobiografia “Blues All
Around Me”, definisce la sua esperienza musicale con Horton, importante e molto
formativa per il prosieguo della sua carriera. Il suo stile è ancora acerbo e
Horton negli anni 40 suona l’armonica occasionalmente lavorando come venditore
di ghiaccio e poi come operaio nell’industria discografica, già fiorente in
quegli anni a Memphis; la sua è comunque un’esistenza segnata dall’indigenza e
dalla precarietà, compagne di vita che non lo lasceranno mai completamente, e da
un amore eccessivo per qualsiasi tipo di sostanza alcoolica che lo porterà
inevitabilmente alla dipendenza. All’inizio degli anni 50 torna nel giro
musicale con più continuità e registra alcune tracce (Cotton Patch Hootfoot
e
Blues In The Morning) per la Sun di Sam Phillips, registrazioni minimali ed
essenziali con i chitarristi Joe Hill Louis e Calvin Newborn (queste recordings
si possono ascoltare nell’album Mouth Harp Maestro, pubblicato dalla Ace nel
1988). Nel suo repertorio sono presenti anche brani estranei al blues, come La
Cucaracha e Careless Love, che Horton trasforma in originali strumentali per
armonica. In seguito registra con il pianista Jack Kelly e con Jimmy Deberry lo
strumentale intitolato Easy, un brano di successo ancora per l’etichetta Sun.
Si
trasferisce quindi a Chicago dove inizia una proficua attività come session men
al servizio di: Koko Taylor, Tampa Red, Jimmy Rogers, Floyd
Jones, Jimmy
Launceford e molti altri grandi nomi del blues urbano dell’epoca. Il suo stile è
scarno, essenziale e ritmico, poche note ma sempre incisive e piene di sano
feeling (la sua armonica preferita era la Hohner Marine Band). A mio parere, i
moderni armonicisti dal solismo debordante e dai suoni ipertrofici, tipo Sugar
Blue o John Popper, dovrebbero farsi un esame di coscienza ascoltando il groove
di Walter Horton. In seguito suona con la band di Eddie “Playboy” Taylor e con
il grande chitarrista slide Johnny Shines. In questo periodo suona da dio
lasciando tracce memorabili (Evening Shuffle, Walking By Myself, No Name Blues
per la label Joy, 1953), le registrazioni per la Cobra e la States del periodo
54/56 con Willie Dixon, il pianista Lafayette Leake, Fred Below alla batteria e
vari sassofonisti, caratterizzate da un ottimo e tenebroso sound, tipico delle
songs di Dixon (un titolo particolarmente riuscito è l’intensa Southern Woman) e
quelle con il cantante/pianista Mose Vinson (Worry You Off My Mind, nell’estate
'53). Continua a suonare nel giro di Chicago fino a quando approda alla corte di Muddy Waters per sostituire Junior Wells chiamato al servizio militare dallo zio
Sam. Ma Waters, giudicandolo poco affidabile, dopo un anno lo licenzia e lo
sostituisce con Herry “Pot” Strong, sfortunato armonicista, in seguito morto
assassinato. Continua come session men con Honey Boy Edwards e Johnny Young.
Suona molto dal vivo con la sua blues harp elettrificata, tipicamente Chicago
style. Siamo ormai negli anni 60, con l’esplosione del blues revival, il
coinvolgimento di molti musicisti bianchi e lunghi tours attraverso gli USA e
l’Europa, in particolare con The Willie Dixon Chicago Blues All Stars. Nel ‘64
il primo disco solista della sua scarna discografia: The Soul Of Blues Harmonica
per la Chess, con Willie Dixon, Buddy Guy e Sam Meyers, un disco con risultati
piuttosto alterni tra un brano e l’altro. Tra il ‘67 e il ‘68 incide in GB l’ellepì
Southern Comfort per la Decca, con il chitarrista inglese Martin Stone (già con
Savoy Brown, Stones Masonry e poi Mighty Baby) e la sezione ritmica Jerome
Arnold/Jesse Lewis, uno strano e poco riuscito lavoro che sembra sia stato
registrato sotto l’effetto di abbondanti dosi dell’omonimo bourbon da cui prende
il titolo, un prodotto (forse involontariamente…) molto psichedelico in linea
col periodo dell’allora imperante flower power. Partecipa alla leggendaria Blues Jam At Chess con i Fleetwood Mac della coppia Peter Green/Jeremy Spencer e i
vecchi pards Honey Boy Edwards, Buddy Guy, Otis Spann e il sassofonista J.T.
Brown. I brani firmati da Horton fanno la loro bella figura: gli strumentali South Indiana 1 & 2, I Got The Blues, I Need Your Love e Horton Boogie Woogie,
in cui si fa apprezzare l’ottimo interplay tra l’armonica di Big Walter e le
chitarre di Peter Green, Spencer e Danny Kirwan Il doppio album è e rimarrà un
capolavoro assoluto del blues revival. In Inghilterra registra anche alcuni
brani con i Chicken Shack di Stan Webb. Suona con il chitarrista slide
J.B.Hutto
& His Hawks (con cui dal vivo eseguiva una versione della sua Hard Hearted Woman
lunga più di 15’ (cit. Ash Grove, Los Angeles dicembre 66) ed in seguito
partecipa a due interessanti lp di Johnny Young, raccolti nella cd-r Chicago
Blues per la Arhoolie. Da segnalare inoltre la registrazione del brano Slow Down
Woman, con il grande bluesmen J.B. Lenoir, in Germania nel 1965. Negli anni 70
realizza An Offer You Can’t Refuse per la Red Lightning con Robert Nighthawk,
con una side dedicata a Paul Butterfield preso dal vivo al Big John’s di Chicago
nel 63, e la jam con i mediocri canadesi Hot Cottage: Walter “Shakey” Horton
with Hot Cottage per la Stony Plain. Per la Alligator di Bruce Iglauer incide
nel ‘72 Big Walter Horton with Carey Bell, un gran disco, forse l’unico a suo
nome veramente valido, con alla chitarra solista uno splendido Eddie Taylor,
impegnato in furibondi dialoghi solistici con le blues harp di Horton e Bell. Da
citare l’lp postumo Can’t Keep Lovin You con John Nicholas alla solista, il
pianista Ron Levy e il sassofonista Mark Kazanoff, registrato per la Blind Pig
alla metà degli anni 70 e stampato nel ’84, un buon disco in cui suona anche con
il semi sconosciuto cantautore bianco Chuck Weiss (ispiratore di Tom Waits nel
suo album Rollin Rock del ’77) Nel '78 esce Fine Cuts per la Blind Pig, ultimo
disco a suo nome. Postumi i live: Walter Horton Live at Knickerbocker, con
Ronnie Earl e Sugar Ray Norcia e i suoi Bluetones (JSP 2006), e Toronto 73 (Live
At El Mocambo). Nel 1981 Shakey Horton muore all’età di 64 anni, alcolizzato e
con il peso di una vita disagiata sulle spalle. Horton non è stato un bandleader,
ne è stato capace di lasciare una traccia definitiva nella storia del blues, la
sua attività non ha avuto la continuità necessaria, la sua discografia è fatta
soprattutto di partecipazioni a dischi di altri musicisti come: Muddy Waters,
Big Mama Thornton, Sunnyland Slim, Johnny Young, Johnny Shines, John Littlejohn.
Ha dato ai lavori di questi protagonisti del Chicago blues un contributo
fondamentale con il suono della sua bluesharp. Ha partecipato alle registrazioni
delle versioni originali di brani poi diventati standard del blues come: I’m
Ready con Muddy Waters, Walking By Myself con Jimmy Rogers o Wang Dang Doodle
con Koko Taylor, ma la sua vita musicale è stata caratterizzata soprattutto da
una intensissima attività live. I suoi dischi da solista sono in alcuni casi
poco esaltanti e un po’ raffazzonati ma il suono della sua armonica (Willie
Dixon diceva: "Horton was the best blues harmonica player in the world” e Johnny
Shines: "This harmonica blowing is really a mark for Walter, it's not something
he picked up. He was born to do it.") rimane - eccome - nella storia del blues e
lascia alcune tracce indimenticabili. Anche la sua voce è di quelle che hanno
lasciato il segno, ruvida e sofferta come il vero blues comanda. Una curiosità:
nel film The Blues Brothers, è Shakey Horton che suona l’armonica nella scena in
cui John Lee Hooker è ripreso a suonare on the road al mercato di Maxwell
Street. Ovviamente sono in commercio numerose cd compilation con il meglio della
produzione musicale di Horton, quella dei periodi migliori e anche le ristampe
digitali di alcuni dei suoi lavori solisti, le sue collaborazioni sono infinite
e in rete con un paziente lavoro di ricerca c’è la possibilità di farsi un idea
di quali titoli possono essere fondamentali per conoscere il suo blues… e poi:
basta cercarli… R.I.P. Mr.Horton
Hard Hearted Woman
Hard hearted woman, she studies evil all the time
Hard hearted woman, she studies evil all the time
Well she must have been mistreated, to have evil on her mind
Well if you be my baby, I tell you what I would do
I would work hard for ya' darlin', and bring my dough to you
Oh she is a, hard hearted woman, who studies evil all the time
Well you must have been mistreated, to have the same thing on your mind
We Gonna Move To Kansas City
T for Texas, T for Tennessee
The womens got me sippin' man ya' know, and everything wasn't me
We gonna move to Kansas City
We gonna move to Kansas City
We gonna move pretty baby, ah honey where they don't like you
Started up Beale street
ya know, walkin' down main
I'm lookin' for the girl that they, call Lucille
We gonna move to Kansas City
We gonna move to Kansas City
We gonna move pretty baby, ah honey where they don't like you
Went to Texas once ya know I'm goin', back again
The peoples always hollerin' out for more, Kansas City man
We gonna move to Kansas City
We gonna move to Kansas City
We gonna move pretty baby, ah honey where they don't like you
The Memphis Jug Band
di Guido
Sfondrini
Tornando
indietro nel tempo, agli albori del Blues, ritroviamo suoni ormai
dimenticati: suoni semplici, ritmati, acustici, corali e trascinanti nella loro
spontaneità e immediatezza; suoni che fanno “battere il piede” e muovere i
fianchi e che portano al ballo e alla spensieratezza; suoni creati proprio per
dimenticare per qualche ora la vita di stenti, di duro lavoro, di emarginazione
e di continui soprusi tipici della schiavizzata minoranza afro-americana negli
Stati Uniti d’inizio XX secolo. In questo senso andava la musica suonata dalla
Memphis Jug Band, mix di blues, folk, canti rurali, ballads, jazz, ed
espressione di energia primitiva permeata di negritudine, che ebbe il suo
momento di fulgore tra la fine degli anni 20 e la metà degli anni 30 in quel di
Memphis, Tennessee.
Se vogliamo, la particolarità della loro musica stava proprio dalla
strumentazione impiegata, fatta di strumenti musicali poveri e spesso
autocostruiti: washboard, kazoo, jug, washtub bass, violini rudimentali (bullfiddle),
armonica, … integrati da più tradizionali chitarre, mandolini e piano, con un
frequente utilizzo corale delle voci dalla coloritura gospel molto evidente.
Le prime jug band nascono agli albori del 900 nella zona di Louisville,
Kentucky. La Memphis Jug Band viene formata nel 1927; non è chiaro chi e quale
sia l’origine del gruppo, si sa di certo che l’elemento più rappresentativo, e
vero leader, è l’armonicista, chitarrista, violinista, cantante e songwriter,
Will Shade (aka Son Brimmer, nickname derivato dal cognome di sua nonna Annie).
Già attivo nel 1925 con una formazione chiamata Dixieland Jug Blowers, Shade
sarà una presenza costante nella gestione della band in tutta la sua vicenda
artistica. L’organico del gruppo non è definibile in maniera chiara, in quanto
soggetto a continui avvicendamenti da parte di svariati musicisti: Jab Jones (lead
vocal), Charlie Burse (chitarra., mandolino, voce), Tee Wee Blackman (chitarra),
Charlie Pierce (violino), Johnny Hodges (piano), Casey Weldon (chitarra),
Memphis Minnie (voce, chitarra), Ben Ramey (voce, kazoo), Charlie Polk (jug),
Hattie Hart (voce), sono solo alcuni di quelli che hanno girato, negli anni,
intorno al marchio MJB.
Lo strumento che da il nome alla band ed al particolare genere da essa suonato,
il jug appunto, è una bottiglia di whiskey di grosse dimensioni entro cui viene
soffiata ritmicamente l’aria, generando così un suono basso e sincopato. Il
gallon jug aveva, in pratica, il ruolo di propulsione ritmica oggi svolto da
basso elettrico o contrabbasso. Qualcosa di simile al jug si ritrova anche in
altre culture, come nel folk dell’Italia meridionale.
La
MJB ha avuto un’audience entusiasta nella “black people” dell’epoca. I concerti
spesso si trasformano in rumorosi happening con danze sfrenate ed abbondante
consumo di alcoolici, costumi tipici del quartiere del vizio di Beale Street
nella Memphis degli anni 30. L’attività musicale della band si svolgeva in
locali come il Chickasaw Country Club o l’Hunt Polo Club, in feste private, nei
ristoranti e alle convention professionali al Peabody Hotel. Il loro repertorio
svariava dal blues alle ballate, dalle dance song a veri e propri numeri
cabarettistici (propri del repertorio dei minstrels shows di fine 800), al
ragtime.
La MJB ha registrato varie sessions e più di 100 brani per etichette come la
Victor di Atlanta, la Okeh/Vocalion di Chicago e la Champion Gennetts di
Richmond, nel periodo 1927-1934. Alcuni brani hanno avuto un buon successo al
tempo: Lindbergh Hop, On The Road Again, Stealin, Stealin, I Can’t Beat You
Plenty, sono un esempio di alcuni loro titoli particolarmente popolari.
Ma come spesso accade, nuove sonorità si affacciavano all’orizzonte; le grandi
swing band si avviavano a vivere il loro periodo più fulgido e
l’elettrificazione del blues compiva i primi passi dando luogo a suoni molto più
duri e aggressivi, più in linea con la durezza dei tempi.
La recessione economica, infatti, rendeva ancor più difficile e precaria la vita
dei neri d’America; gli USA andavano lentamente verso la tragedia della II
Guerra Mondiale ed anche i gusti musicali cominciavano ad orientarsi altrove.
Will Shade non riesce a tenere insieme il gruppo (alcuni elementi si dirigono
verso proprie carriere) e negli ultimi anni orienta i suoni della band verso una
forma di jazz swing, ma senza fortuna: del sound della MJB si cominciava a
perdere il ricordo che rimaneva purtroppo legato ad un passato
ormai lontano.
Shade
lavora ancora in seguito con i Sanctified Church della cantante gospel Bessie
Johnson e con i suoni innovativi della sua bluesharp ispira futuri grandi
armonicisti come i due Sonny Boy Williamson e Big Walter Horton.
Viene riscoperto nel 1956 dal ricercatore musicale Samuel Charters ed in seguito
torna in studio di registrazione Nel 1963 in pieno folk revival (dopo un break
durato quasi trentenni) registra, con Gus Cannon, leader degli altrettanto noti
Cannon’s Jug Stompers, un album per la Stax Record intitolato Walk Right In.
Will Shade (che era nato nel 1898) scompare a causa di una broncopolmonite nel
1966.
Per un ascolto della loro musica, unica e originale, sono consigliati gli
album: Memphis Jug Band Double Album (Airmail Japan 2007), The Best Of The
Memphis Jug Band (Yazoo 2001), Complete Recorded Works vol.1-3 (Testament 1990)
e He’s In The Jailhouse Now (ABM 2003).
Il Jug Blues ha avuto degli eredi “moderni”. Negli anni 60 grazie a bands come
gli psichedelici texani 13 th Floor Elevators ed i più commerciali inglesi Mungo
Jerry (quelli della hit single In The Summertime … chi se la ricorda?); nel
decennio successivo con la Panama Limited Jug Band, gli inglesi Brett Marvin &
The Thunderbolts, gli americani Jim Kweskin Jug Band e la Incredible Broadside
Brass Bed Band, gli australiani The 69’ers. Questi gruppi hanno voluto
recuperare quei suoni semplici e coinvolgenti mischiandoli con rock
semi-acustici e folk/blues psichedelici, ottenendo spesso dei risultati
piuttosto interessanti.
Il Jug costituisce parte integrante della cultura musicale afroamericana, della
storia arcaica del Blues, ed andrebbe - per questo - riascoltato e rivalutato.
Nell’era del digitale, dell’elettronica e di tutte le sofisticazioni possibili e
immaginabili, un po’ di suoni semplici ma suonati con il cuore e con l’anima,
non possono che fare bene!!!
STEALIN, STEALIN
Stealin', stealin', pretty mama
Don't you tell on me
I'm stealin' back to my
Same old used to be
Now, put your arms around me
Like the circle round the sun
I want ya to love me, mama
Like my easy rider done
If you don't believe I love ya
Look what a fool I've been
If you don't believe I'm sinkin'
Look what a hole I'm in
Stealin', stealin', pretty mama
Don't ya tell on me
I'm stealin' back to my
Same old used to be
I'm stealin', stealin', pretty mama
Don't you tell on me
I'm stealin' back to my
Same old used to be
(jug & instrumental)
The woman I'm lovin'
She just my heigh-th and size
She's a married woman
Come to see me sometimes
If you don't believe I love you
Look what a fool I've been
If you don't believe I'm sinkin'
Look what a hole I'm in
I'm stealin', stealin', pretty mama
Don't you tell on me
I'm stealin' back to my
Same old used to be
I'm stealin', stealin', pretty mama
Don't you tell on me
I'm stealin' back to my
Same old used to be
(kazoo & instrumental)
Stealin', stealin', pretty mama
Don't you tell on me
I'm stealin' back to my
Same old used to be.
COCAINE HABITS BLUES
Cocaine habit's mighty bad
It's the worst old habit that I ever had
(Hey, hey, baby (honey) take a wiff on me)
I went to Mr. Lehman's in a lope
Saw a sign on the window
Says 'No More Dope'
(Hey, hey, honey take a wiff on me)
If ya don't believe cocaine is good
Ask Alma Rose down in Minglewood
(Hey, hey, baby (honey) take a wiff on me)
I love my whiskey an I love my gin
But the way I love my coke is a doggone sin
(Hey, hey, honey take a whiff on me)
(harmonica)
Since cocaine went out of style
You can catch 'em shootin' needles all the while
(Hey, hey, honey take a whiff on me)
Well, it takes a little coke to give me ease
Strut yo' stuff long as you please
(Hey, hey, honey take a whiff on me)
(harmonica)
'Let's all take a wiff on that account'
(And let's, S-H-A HAY-AY, HA-AY-ARE.)
Koko Taylor: The Voice of Chicago Blues
di Guido Sfondrini foto di Michele
Lotta
Penso
che per qualsiasi appassionato di Blues sia doveroso dedicare una breve
retrospettiva e un ricordo a questa immensa cantante, voce femminile, monstre
del blues urbano dagli anni 60 ai giorni nostri, recentemente scomparsa in modo
improvviso e inatteso. Nonostante l’età avanzata, ha continuato fino all'ultimo
la sua attività musicale sia a livello concertistico che discografico con
successo e con un appassionato seguito di pubblico diffuso a livello mondiale.
Vera icona del blues di Chicago, è stata per anni una protagonista assoluta e
una presenza costante del prestigioso blues festival.
Nata Cora Walton a Shelby County, Tennessee nel settembre del 1928, figlia di un
mezzadro si avvicina al blues tramite i canali tipici di quell’epoca come la
WDIA che, con giovani dj come B.B. King e Rufus Thomas, trasmetteva musica blues
nella zona di Memphis e dal sud del Missouri alla Gulf Coast. Nell'ambiente
stesso in cui viveva, la musica (blues, spiritual e gospel) era protagonista
quotidiana della vita della comunità afro americana, inoltre due dei suoi
fratelli suonavano la chitarra e l’armonica a livello amatoriale. Il nickname
che gli fu dato, Koko, derivava dalla sua sfrenata passione per il cioccolato in
tutte le sue forme commestibili.
Trasferitasi dapprima a Memphis, nel 1952 va a vivere a Chicago con il futuro
marito Robert “Pops” Taylor, camionista e trasportatore di cotone di
professione. Qui Koko per sbarcare il lunario fa le pulizie nelle case dei
bianchi benestanti (diceva di essere arrivata a Chicago "with 35 cents and a box
of Ritz crackers...") e incoraggiata da suo marito (che sarà il suo agente per
35 anni) inizia a cantare in vari piccoli clubs dell’area chicagoana. Presto si
crea un certo seguito da parte del pubblico locale colpito dalla sua voce
possente e dalla notevole presenza scenica che la caratterizza on stage; le
prime canzoni che canta in pubblico sono I Idolize You, vecchio brano di
Tina Turner e Make Me Feel Good Kiddio di Brook Benton.
Koko raccoglie l’eredità di cantanti come Big Mama Thornton, Bessie Smith e
Memphis Minnie e ne reinterpreta modernamente il blues feeling originario ma
sempre con un occhio attento alla tradizione.
Nel 1962 viene notata da Willie Dixon che produce la sua prima incisione, una
canzone intitolata Honky Tonky, per la piccola USA Label. In breve tempo
firma un contratto con la Chess Records, la cui conseguenza immediata è la
registrazione del brano Wang Dang Doodle, scritto da Dixon e interpretato
qualche anno prima da Howlin Wolf. La sua versione è un grande successo, cantato
dalla sua voce rauca e potente, persino l’originale di Howlin Wolf impallidisce
al confronto; il pezzo si caratterizza per la sua carica erotica esplosiva ed il
ritmo travolgente. Raggiunge il numero quattro delle charts R'n’B nel '66 e
vende qualche milione di copie: sarà l’ultimo singolo presente nelle classifiche
R’n’B per la Chess Records. Nel ‘67 è tra i protagonisti dell’American Folk
Blues Festival, dove canta accompagnata da Hound Dog Taylor e Little Walter;
seguiranno negli anni successivi molti tours attraverso gli USA e l’Europa che
le garantiranno per tutti gli anni 70, 80 e 90 un seguito appassionato e grande
popolarità.
Incide il suo primo lp nel ‘69: Koko Taylor (MCA/Chess), con Matt Murphy
e Buddy Guy alle lead guitars e il sassofonista Gene Barge. Nel ‘72
partecipa, accompagnata dalla sua nuova band The Blues Machine, all’Ann Arbor
Jazz and Blues Festival, concerto da cui viene tratto un live album di buon
successo che aumenta la sua notorietà a livello nazionale. Seguono alcuni altri
dischi 33 gg. Dopo il fallimento della Chess, alla metà degli anni 70, firma e
registra per la Alligator di Bruce Iglauer di cui diventa una delle artiste di
punta. Il primo disco per la nuova etichetta è I Got What It Takes,
accompagnata da Sammy Lawhorn e Mighty Joe Young. Su nove lp registrati per
l’etichetta di Iglauer, ben sette ottengono la nomination al Grammy Awards (che
vince nell’84), trionfa inoltre come voce blues solista femminile in ben
quindici edizioni del W.C. Handy Awards.
Ovviamente Koko rappresenta una fondamentale fonte di ispirazione per molte
female vocals blues bianche e nere dai 60 ad oggi, come Janis Joplin, Bonnie
Raitt, Maggie Bell, Shemekia Copeland o Susan Tedeschi. Partecipa anche alle
soundtrack dei film Wild at Heart di David Linch, Blues Brothers 2000
e Mercury Rising. Nel 1988 viene coinvolta in un incidente
automobilistico riportando gravi ferite mentre suo marito Pops Taylor scomparirà
dopo alcuni mesi di sofferenze. E’ un duro colpo ma lei, per superare il
difficile momento, si butta ancor più nel blues con la grinta che da sempre la
caratterizza. Nel ‘90 torna in studio e registra l’album Jump Of Joy,
dedicato alla memoria di suo marito. Nel 1993 l’allora sindaco di Chicago,
Richard M. Daley dichiara il 3 marzo ‘93 “Koko Taylor’s Day”; nel ‘97 viene
ammessa nella Blues Foundation Hall’s of Fame. La Taylor nel corso della sua
lunga carriera ha condiviso lo stage con Muddy Waters, Buddy Guy, Howlin Wolf,
BB King, Junior Wells, Jimmy Page, Robert Plant e molti altri big del Blues e
del Rock.
Nel 2008 viene coinvolta in una vicenda di tasse non pagate che le procura
parecchi problemi legali: negli USA, si sa, è considerato un grave reato evadere
il fisco (… proprio come in Italia, dove questo è quasi un merito per i furbi di
turno che lo possono fare… paese che vai… nda). Risolta questa faccenda e dopo
un periodo piuttosto negativo per la sua salute, nel 2007 ritorna sulle scene
con un nuovo album intitolato Old School, che viene nominato per un
ennesima volta al Grammy come Best Traditional Blues Album.
Koko Taylor scompare improvvisamente il 3 giugno del 2009 a causa di un
emorragia interna.
Qualcuno dice che il Chicago Blues Festival non sarà più lo stesso senza di lei,
indimenticabili le sue interpretazioni di brani come Wang Dang Doodle, Hey
Mr.Bartender, Let The Good Time Roll, Voodoo Woman e Evil (tra i
tanti…).
Lascia un grande vuoto nel mondo della musica, la sua carica aggressiva e la sua
incredibile voce saranno sempre presenti nel cuore di ogni innamorato del Blues,
la definizione (un po’ scontata..) di Queen of the Blues l’ha ampiamente
meritata per le emozioni che ci ha regalato in più di 40 anni di carriera.
(Chi fosse interessato a leggere la discografia consigliata e commentata del
blues-rock bianco anni 60/70 Keeping The Blues Alive… scriva a:
gusfo_2006@libero.it, gli mando il file gratis… il Blues è una fede!!!)
Discografia consigliata
Koko Taylor. MCA (CHD31271, 1987).
Re-issue of a 1969 collection from Checker Records, a Chess subsidiary, of
material recorded 1965-69, produced by Willie Dixon. "Wang Dang Doodle," "Don't
Mess with the Messer" and other early Koko, with subtle R&B/Motown undertones.
**1/2
South Side Lady. Evidence (ECD26007, 1992).
Material previously released on Black and Blue Records and some unreleased cuts,
recorded in the Netherlands live and in the studio, during the American Folk
Blues Festival tour in 1973. Great back-up musicians. ***1/2
I Got What It Takes. Alligator (ALCD4706, 1975).
The trademark hard-driving, gravel voice begins to emerge in her first album for
Alligator. Songs recorded with sidemen hand-picked by Taylor, including Mighty
Joe Young and Sammy Lawhorn. Standards like "Big Boss Man" and Taylor's own "Voodoo
Woman." ***
The Earthshaker. Alligator (ALCD4711, 1978).
A transitional album, more raucous and energy-filled than previous albums, but
without the confidence and polish of later albums. "Let the Good Times Roll," "Hey
Bartender," "Wang Dang Doodle," and others. ***
Queen of the Blues. Alligator (ALCD4740, 1985).
If you can only afford one Koko Taylor album, go for this one, which features
Taylor at her bar-belting best with special guests Lonnie Brooks, Albert Collins,
Son Seals, James Cotton and Abb Locke. "Evil," "Beer Bottle Boogie," "Come to
Mama" and others. ****
Live From Chicago: An Audience With The Queen. Alligator (ALCD4754,
1987).
Live albums can be annoying, but this one is excellently produced with
studio-quality sound. "Let the Good Times Roll," "I'm a Woman," "Come to Mama,"
"Wang Dang Doodle" and others. ****
From the Heart of a Woman. Alligator (ALCD4724).
R&B fans will love this one, with its gentler songs Ñclearly a change-of-pace
album for Taylor. Includes Louis Jordan's "Sure Had a Wonderful Time Last Night"
and others. ***
Jump for Joy. Alligator (ALCD4784, 1990).
Album dedicated to Robert "Pops" Taylor, Koko's recently deceased husband.
Includes four songs written by Taylor, including title cut. ***1/2
Force of Nature. Alligator (ALCD4817).
Taylor's strongest album in years earned her W.C. Handy Contemporary Blues
Female Artist of the Year. Rockin' songs: "Mother Nature," "Let the Juke Joint
Jump," and strong covers of "Hound Dog" and "Born Under a Bad Sign” the latter
with a little help from guitarist Buddy Guy. ****
Unreviewed recordings:
Koko Taylor. (Chess) Basic Soul. (Chess) Teaches Old Standards New Tricks. (Chess)
What It Take: The Chess Years (Chess)
Appearances:
Blues Summit. B.B. King's duet album (MCA) Blues Deluxe. Live from 1980
Chicagofest (Alligator XRT) Willie Dixon: The Chess Box. (MCA) The Alligator
Records 20th Anniversary Tour. (Alligator) The Alligator Records Christmas
Collection . (Alligator) Blues Explosion (Atlantic Grammy winner) Coast to Coast.
Paul Shaffer (Capitol) Chicago Blues (Spivey).
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