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Mario “Blue Train” Insenga  (a cura di A. Zittano)

“Partenope” è sempre stata fertile di grandi talenti, tra questi c’è Mario Insenga. L’incondizionata passione per il blues lo ha condotto ad uno scrupoloso studio sulle sue origini collezionando migliaia tra LP, CD e libri che trattano questa “superba espressione musicale”, come egli stesso la definisce. Nasce a Napoli nel 1951, ascolta Blues sin da ragazzino e si appassiona alla batteria sul finire degli anni ’60. Tra un esame universitario e l’altro, trova il tempo di formare un trio (chitarra, basso e batteria) dal nome “La Tristezza Del Rospo”, traduzione un po’ maccheronica di “Bullfrog Blues”. Nel ’72, insieme a Enzo Caponetto e Guido Migliaro, dà vita ai “Twilla Blues Band” (due chitarre, basso e batteria) le cui evoluzioni successive saranno i “Blues Bag”, quartetto acustico ancora a due chitarre ed i “Blue Box”, con l’aggiunta del pianoforte di Renato Federico e con i chitarristi Guido Migliaro e Alfredo Vitelli. Nel 1982, con il ritorno di Caponetto al posto di Vitelli, nascono i “Some Blue Stuff”, ben presto semplicemente “Blue Stuff”. La band è il risultato di oltre dieci anni di laboratorio concentrato sulla profonda ricerca del Blues, della sua massima espressione attraverso l’ideale chiave di lettura, la più significativa: il LINGUAGGIO. Propongono così brani inediti rigorosamente in vernacolo napoletano. L’impatto con il pubblico è così positivo ed immediato che diventano in poco tempo la blues band napoletana per eccellenza.
Nel 1992 Joe Sarnataro (alias Edoardo Bennato) coglie nei Blue Stuff la soluzione ideale per la realizzazione di un importante progetto discografico dal nome “È Asciuto Pazzo Ò Padrone”. I Blue Staff sono allora: Enzo Caponetto alla chitarra, Guido Migliaro chitarra e armonica, Roberto D’Aquino al basso, Renato Federico al piano, special guest Giorgio Savarese all’Hammond e, naturalmente, Mario Insenga. Con il passare degli anni le cose cambiano un po’ con l’inserimento di Lino Muoio e Gennaro Porcelli alle chitarre e Francesco Miele al contrabbasso.
Da diverso tempo ormai, Mario conduce laboratori di Blues e seminari per associazioni musicali (And.J., C.F.M.), istituti scolastici, librerie, festival e ovunque venga richiesto. Stranamente, pur avendo conseguito la laurea in ingegneria meccanica, Mario ha deciso di vivere da musicista.
Nel corso della sua carriera si è esibito in migliaia di concerti in Italia ed all’estero (Europa e U.S.A.); ha effettuato jam session con bluesman come Willie Mabon, Jimmy Dawkins, Blind John Davis, Little Pat Rushing (a Maxwell Street, Chicago – 1981), Magic Slim, Sammy Lawhorn, Albert Collins, Billy Preston, Sarasota Slim, Billy C. Farlow, Little Willie Littlefield, Charlie Musselwhite, Luisiana Red, Sunnyland Slim e tanti altri.
Da qualche tempo Mario Insenga scava ancora più in fondo nella cultura Blues proponendo il progetto Dr. Sunflower Jug Band, un vero e proprio medicine show.
Come potete capire, sono molti gli elementi che fanno di Mario un'istituzione per lo Spaghetti Blues.
 


Intervista:

S&B: “È il Blues a scegliere il musicista e non viceversa”, supponendo vera quest’idea popolare, quando e come il Blues ti ha scelto?

Mario: Nella seconda metà degli anni ’60, ascoltando alla radio (era una cosa seria allora! Trasmetteva di tutto, ricordo perfino un concerto live di John Mayall), i gruppi di British Blues e da oltre oceano, i Canned Heat: On The Road Again, prima e Goin’ Up The Country poi… fecero sì che Io scelsi il Blues o viceversa.
Ero già in un gruppo che suonava un po’ di tutto da Elvis al Beat Italiano, ma i Canned Heat segnarono in me il cambiamento: da quell’estate avrei suonato Blues.

S&B: Considerando che il Blues in Italia esiste ormai da circa quarant’anni, è facile ritenere che sia prossimo un primo cambio generazionale. Diventa fondamentale a questo punto conservare il patrimonio culturale ed anche stilistico da lasciare in “eredità” alle nuove leve di musicisti. Quali sono, a tuo parere, i principali obbiettivi culturali e manageriali da adottare al fine di preservare lo Spaghetti Blues, rendendolo competitivo rispetto anche ad altre culture musicali quali, ad esempio, il Latino/americano o addirittura la Tecno?

Mario: Per “rivitalizzare” il Blues c’è bisogno che Radio, Televisione e Stampa si accorgano di Esso, ne parlino, lo trasmettano con sistematicità e con buona frequenza, così da farlo conoscere alle nuove generazioni di ascoltatori. Altrimenti rimarrà appannaggio di una elite di appassionati, sempre più esigua senza ricambio generazionale. Radio e Televisioni potrebbero aiutarci se solo volessero, ma in realtà sembrano orientate soltanto all’omologazione del gusto e del pensiero.
Competività? Latino-Americano? Tecno? Che cos’è? Parliamo di Blues per Favore!

S&B: Napoli si può, senza alcun dubbio, definire la “Chicago d’Italia” in quanto fu il primo corridoio culturale (soprattutto durante il secondo conflitto mondiale) del Blues in tutta la penisola. Come ti spieghi il fatto che le principali manifestazioni Blues (che sono fonte culturale ed economica) ormai da decenni fanno parte di altre realtà (vedi Pistoia, Alcamo, Aventino, etc. etc.) mentre a tutt’oggi, nonostante i grandi sforzi fatti, non esiste un vero e proprio Festival Blues a Napoli?

Mario: Probabilmente perché Napoli è, da sempre, culla di problemi irrisolti quali Disoccupazione, Camorra, Microdelinquenza, Alloggi, Traffico-Viabilità-Trasporti Pubblici. Gli interlocutori presso gli Enti preposti sono attanagliati da una realtà quotidiana rovente, di sicuro ben più pesante che una manifestazione musicale di Blues, fanno quello che possono… naturalmente dopo aver devoluto corposi contributi alle varie feste Neo-Melodiche, costose e dannose per la cultura dei napoletani.
C’è da dire, comunque, che è giunto nel 2004 alla IV edizione il “Napoli Blues Festival”, voluto e diretto da Francesco Sorrentino e Lillo Concordo. Iniziato nel 2001 con Animals, Commitments, Jartd Booty e Carvin Jones, pur con qualche variante di percorso, ha portato a Napoli Benny Turner con Dick Heckstall Smith, Procol Harum, Mick Taylor e, l’estate scorsa, John Mayall, solo per citarne alcuni. Quindi è cresciuto artisticamente edizione dopo edizione ed aspira a diventare il punto di riferimento per il Blues a Napoli, non solo nel periodo estivo.
Grazie a Franco e Lillo.

S&B: tra le critiche fatte nei confronti di una buona parte dei musicisti Italiani, vi è quella che li accusa di “scimmiottare” gli stili degli originals Americani. Considerando che sei tra i più anziani bluesman d’Italia e che hai vissuto in prima fila la nascita dello Spaghetti Blues, cosa pensi dei diversi modi di interpretare il Blues in Italia?

Mario: Bisogna riconoscere che l’articolo di cui parli colpisce nel segno. Troppi musicisti sono convinti che, per suonare blues basta indossare un cappello e un paio di stivali e non fanno altro che riproporre a vita modelli mediati dai Neri d’America. Tutti prendono dal Blues, pochi sono quelli in grado di dare qualcosa al Blues. Sperimentiamo, suoniamo brani di nostra composizione, utilizziamo magari una strumentazione anomala per i canoni del Blues, riportiamo alla luce cover di bluesman poco conosciuti, scopriamo tutto il White Country Blues, utilizziamo la nostra lingua, soprattutto dissociamoci dai Filologi secondo i quali “questo” è Blues, “Quest’altro” non è Blues. I Filologi sono il vero danno per il Blues, alla stessa stregua di quelli che “scimmiottano” i musicisti americani.

S&B: nel brano “Impiegato” sollevi con ironia le problematiche relative alla tua scelta di dedicare l’intera esistenza al Blues. A conti fatti, quali sono gli aspetti negativi e positivi legati a una scelta così incisiva nella tua vita?

Mario: Quando ho scelto di vivere facendo esclusivamente il musicista di Blues, erano altri tempi, tempi in cui c’erano Club in cui si suonava Blues o Jazz o Rock tutte le sere. Oggi conviene avere un Day Job e suonare Blues per assecondare la passione, cioè come seconda attività. Così puoi scegliere quando, come e dove suonarlo. Per vivere di Blues oggi, bisogna probabilmente rivolgersi all’Europa: Svizzera, Francia, Belgio, Olanda, Germania, hanno una forte richiesta; in Italia è difficilissimo se non impossibile. I festival di Blues non fanno testo, sono per lo più concentrati in un unico periodo: l’estate… e non puoi farli tutti e tutti gli anni! Allora per vivere fai le feste della Birra, feste patronali e quanto altro abbia un minimo di decoro. Comunque pur con le difficoltà odierne di sopravvivenza, devo dire che questa vita mi ha dato soddisfazioni che non avrei mai provato se avessi continuato a fare l’Impiegato (sono laureato in Ingegneria Meccanica), mi fa sentire pieno di forza e stimoli, con la voglia di fare… da impiegato sarei in pensione… Pensione!!… che bella parola! Soldi per starsene a casa, a coltivare le proprie passioni!!!

S&B: cosa è per te il Blues?

Mario: È Verità, innanzitutto, come mi hanno insegnato i Grandi; È Magia; è la storia del popolo Nero d’America; è una lingua a parte; infine, è una forma musicale totalmente coinvolgente e bellissima, difficile nella sua semplicità. LUNGA VITA AL BLUES!

 

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