Fabrizio Poggi
a cura di Amedeo Zittano
Semplice,
essenziale e diretto, sono solo alcune delle virtù che caratterizzano uno dei
personaggi fulcro dello Spaghetti Blues. Fabrizio Poggi è stato uno dei primi a
creare un legame concreto con il Blues made in USA. Nel 1991 decise per la prima
volta di oltrepassare l'Oceano fisico per scoprire qell'Oceano culturale che divide
l'Europa dalla culla della musica afroamericana. Scopriremo però che le
motivazioni di questo viaggio erano già sbocciate diversi anni prima...
Fabrizio nasce a Voghera nel 1958, comincia a lavorare come operaio in una
fabbrica alla tenera età di quattordici anni. Privato della propria
fanciullezza e costretto a diventare "grande" senza passare per l'adolescenza,
vede in una chitarra la sua più intima amica alla quale confidare ogni suo
segreto, ogni suo sogno. Tra i generi musicali conosciuti, la musica nera è
quella in cui più si rispecchia ed i suoi eroi sono i Rolling Stones, i
Bluesbreakers di John Mayall ed i Cream di Eric Clapton (anche perché all'epoca era
difficilissimo trovare altro); tuttavia l'elemento folgorante che da una
svolta decisiva alla ricerca del proprio modo di esprimersi in blues è la
visione nel '74 del film "The Last Waltz": "Non avevo mai sentito quello
strumento suonare in quel modo così emozionante" afferma Fabrizio riferendosi
all'armonica di Paul Butterfield, "fu allora che compresi che il Blues era
la musica che più rappresentava i miei sentimenti, ma soprattutto la
mia rabbia di operaio sfruttato". Così, l'istintiva intuizione diventa
solida certezza di avere qualcosa in comune con i neri che suonano
l'armonica. Con il passare del tempo, la ricerca discografica ed
editoriale diviene l'attività più importante, se non una vera e propria
ossessione, che nasconde una ricerca molto più profonda: quella di se
stesso, di una propria identità e di un proprio stile musicale.
Dopo più di dieci anni di studi ed esperienze, i "soffiatori d'anima" a
cui si ispira maggiormente sono Sonny Terry e James Cotton, le due
facce della stessa medaglia, l'acustico e l'elettrico per eccellenza, a
significare una consapevole maturità tecnica. Forma vari laboratori
musicali tra cui si distinguono le formazioni Stormy Monday e
Bluesnakers (cacciatori di serpenti tristi), due gruppi palesemente
ispirati al Chicago Blues.
Il 1990 si rivela un'ottima annata per Fabrizio Poggi, sia per il musicista che
per l'uomo (ammesso che ci sia differenza). Si realizzano due grandi eventi: la
formazione dei "Chicken Mambo" (termine che Howlin' Wolf usava per incitare il
chitarrista a fare "il verso della gallina" con il suo strumento) e il
matrimonio con Angelina. Mio padre dice sempre che dietro ogni grande uomo c'è
sempre una grande donna e mai ha avuto ragione come in questo caso. Quello che
ho potuto constatare nel realizzare questa intervista è che Fabrizio e
Angelina sono un tuttuno. "Con Lei ho condiviso, con affetto e passione, tutte
le esperienze, le fatiche, le soddisfazioni, le delusioni che la strada, al di
là e al di qua dell'Atlantico, mi ha fatto provare... Niente di quello che mi è
successo in questi anni sarebbe potuto accadere senza Angelina" confida
serenamente Fabrizio, ed aggiunge "lei non è solo mia moglie ma anche la compagna
che mi aiuta a gestire le cose musicali, la mia migliore amica, una delle
poche donne in Italia che in macchina ascolti solo ed esclusivamente BLUES.
Angelina è anche colei che (come ho scritto in una canzone che da il titolo ad
un mio vecchio disco) mi riporta sempre a
casa
quando mi capita di perdermi nei buchi neri della vita, e non è poco...".
L'anno successivo la decisione di partire per gli States. Ovviamente i coniugi
Poggi non immaginano minimamente tutto ciò che questo primo viaggio
significherà per la loro vita, sanno solo che esiste un'altra America, un'America invisibile ai
mass media, quella della gente semplice, dei disperati, dei loosers, tra cui
tanti musicisti che spesso non hanno voce e non arrivano fino a qui... Certo non
è facile, i costi dei voli non si pagano con le caramelle, ma vedere come
"vive" la musica che ami diventa una sorta di dovere morale. Vogliono
assolutamente guardare negli occhi il Blues e così volano a New Orleans. A
distanza di quindici anni Fabrizio ricorda: "In quel periodo ero attratto dalla
musica afroamericana che si suonava in quella città piena di stimoli e
contaminazioni. E lì (come nelle altre zone che ho visitato e dove ho avuto la
fortuna di suonare più tardi) ho visto che l'America che avevo sempre in qualche
modo immaginato, visto o sentito, era diversa: non meglio o peggio,
semplicemente diversa. Una volta "vissuta" l'America come ho avuto l'opportunità
di fare io, cioè "dal di dentro", suonare il Blues, o comunque la musica
americana, diventa tutta un'altra cosa. Non sempre l'America del blues è quello
che ti aspetti. A volte ti delude, ti ferisce nell'anima, ma anche questo fa
parte del "crescere dentro". Molti appassionati di blues preferiscono avere una
loro idea di come sia quel mondo guardandolo da qui. E' un atteggiamento
sicuramente di tutto rispetto, bisogna però anche rispettare chi dice che non si
può ascoltare, né tanto meno suonare, una musica se non si è ben capito da dove
questa musica arriva. Per spiegarmi meglio: per me c'è la stessa differenza che
c'è tra frequentare un corso di educazione sessuale e andare in un prato con la
propria ragazza. La teoria è uguale, ma la pratica è molto più divertente...
anche se - magari - più faticosa". Anche nel suo modo di suonare l'armonica
risalta la sottile ricerca di quel modo "negro" di soffiarci dentro; una tecnica
limpida e precisa ma non in contrasto con la propria istintività, che lascia
intuire una sorta di rispetto stilistico personale. La dialettica ed il carisma
di Fabrizio completano il quadro di un altro italiano cresciuto a suon di Blues.
Come accennato prima, questa esperienza segna l'inizio di un forte legame tra
gli States, i Chicken Mambo e il Blues Italiano. Durante i successivi quindici
anni suona il suo "infuocato" repertorio esibendosi nei più prestigiosi Blues
clubs Americani. Per quanto riguarda le riviste internazionali che gli hanno
dedicato recensioni ricordiamo
"Blues Revue", "Blues Access", "Real Blues" e "Harmonica World" (la rivista
ufficiale della Hohner Harmonicas americana). Inoltre, ha pubblicato nel 2003 il
libro + CD "L'armonica a Bocca: il violino dei poveri" e nel 2005 "Il soffio
dell'anima: armoniche e armonicisti blues". Quest'ultimo lavoro, caldo caldo di
tipografia, rappresenta un notevole contributo culturale sia per gli
appassionati che per i profani del settore: una narrazione sui vari stili di
Blues ed una vastissima biografia di armonicisti in cui non manca un
interessantissimo dizionario; una sorta di piccola enciclopedia
aggiornata al 2005 che racchiude il frutto di anni di scrupolose ricerche. La
lettura è scorrevole e intrigante. Bellissima la copertina disegnata da Michela Zelaschi.
Intervista
S&B: "È il Blues a scegliere il musicista e non viceversa", a fronte di quest'idea
popolare, quando e come il Blues ti ha scelto?
FP: Quando nel 1972, a quattordici anni, ho lasciato la scuola e ho cominciato a
lavorare in fabbrica; quando ho avuto la fortuna di incontrare personalmente e
di parlare con Sonny Terry e James Cotton capendo davvero perché...
S&B: Lo Spaghetti Blues
nasce, in modo concretamente documentato, agli inizi degli anni 70; cosa
ricorda di quegli anni l'appena quindicenne Fabrizio? E quali sono le
sostanziali differenze che riscontri tra gli ambienti "bluesistici" di allora e
quelli di oggi?
FP: In quegli anni c'era sicuramente meno blues in giro. Per noi ragazzi di
provincia trovare dischi di "musica del diavolo" era davvero un'impresa. Non era
neanche semplice trovare strumenti come l'armonica ed era praticamente
impossibile trovare un libro che ti spiegasse i primi rudimenti per imparare a
suonare il blues. Nelle grandi città tutto era diverso, lì tra l'altro vivevano
musicisti inglesi e americani che, in qualche modo potevano essere una specie di
"faro" per i giovani musicisti italiani che si avvicinavano al blues. Erano
infatti piuttosto diffuse, in quegli anni, le band che avevano una formazione
mista (formata cioè da musicisti stranieri e musicisti di casa nostra). A me
sembrava che, all'epoca, ci fosse maggiore possibilità di farsi ascoltare: le
blues band "professionali" erano davvero poche e quindi le possibilità per loro
di suonare alle feste di partito o alle feste di piazza, così diffuse in quegli
anni, erano, a mio avviso, maggiori. Oggi la situazione è totalmente diversa.
Innanzi tutto, con l'avvento delle nuove tecnologie avere informazioni sulla
musica, le tecniche e quant'altro è diventato davvero un gioco da ragazzi. Io ho
impiegato dieci anni, per imparare cose sull'armonica a bocca che, oggi,
qualsiasi armonicista impara in un paio di mesi. Sembra impossibile eppure è
così. Naturalmente il livello medio dei musicisti sia artisticamente sia
tecnicamente è aumentato molto, ai giorni nostri, è possibile affermare che nel
nostro paese ci sono musicisti blues davvero eccellenti che nulla hanno da
invidiare ai loro colleghi che abitano altre parti del mondo. Le band di blues
quindi sono aumentate ma, paradossalmente, dato che il "piccolo stagno" chiamato
Italia è molto piccolo, sono diminuite, purtroppo, le occasioni per farsi
sentire. C'è però un "trucco" per arginare il problema che consiglio ai
musicisti più giovani: allargare i propri orizzonti e provare ad entrare,
naturalmente in punta di piedi, nella scena blues europea che, secondo me, offre
spazi ancora inesplorati.
S&B: la critica italiana ha quasi sempre etichettato i "bluesmen" italiani
(tranne qualche rara eccezione legata ai nomi più noti del panorama nazionale)
come coloro che "scimmiottano" i padri americani, accusandoli di non dare alcun
"valore aggiunto". Qual'è la tua opinione?
FP: In effetti, i grandi padri del Blues afroamericano ci hanno sempre invitato
a prendere come esempio le esperienze da loro già fatte in precedenza, e cioè,
trovare un proprio modo per cantare il blues. Questo non è sempre facile,
soprattutto oggi che con videocassette, DVD e metodi si possono davvero
"imitare" i più grandi musicisti blues e, forse, questo "impigrisce" qualche
musicista che preferisce navigare in acque sicure piuttosto che cercare nuove
rotte "inventandosi" un proprio stile. Per suonare il blues, bisogna davvero
sapere "di cosa si sta parlando". Il blues non è solo una musica fatta da assoli
di chitarra e di armonica ma è soprattutto una musica che racconta storie. Se si
lascia perdere questo lato importantissimo del blues, allora si possono eseguire
fantastici assoli con gli strumenti ma non si coglie l'essenza di questa musica,
quelle emozioni che hanno fatto del blues una delle musiche più comunicative al
mondo, al di là di ogni lingua o difficoltà espressiva. Questo però non vale
solo per i musicisti di casa nostra ma per chiunque nel mondo si avvicini alla
"musica del diavolo". Quello che di solito dico ai musicisti più giovani magari
anche più preparati tecnicamente di me, è che la musica, e il blues in
particolare, sono come una lingua: una volta imparate le parole ognuno deve
trovare quelle adatte per esprimere le proprie emozioni che naturalmente non
possono, e non potranno mai, essere le stesse, perché tutti noi parliamo in
maniera assolutamente unica e originale.
S&B: Parlaci del "Rosa's" di Chicago, un importantissimo ponte USA/Italia di cui
molti ignorano la storia. Come nasce questo sodalizio?
FP: Il Rosa's è, probabilmente, oggi, il locale blues di Chicago più famoso tra
gli appassionati del genere. Di questo affascinante club hanno parlato i
giornali di mezzo mondo. La sua, è una storia commovente ed esemplare. Tony
Mangiullo abitava a Rho vicino a Milano ed era un apprezzato batterista "blues"
nell'ambiente musicale milanese della fine anni 70 e l'inizio degli anni 80.
Un giorno decide che la sua vita di musicista e appassionato di blues sarebbe
stata sicuramente diversa negli Stati Uniti, a Chicago dove molto probabilmente
(come gli avevano detto Buddy Guy e Junior Wells) avrebbe avuto più possibilità
di suonare. La signora Rosa, originaria di Bisceglie, però è preoccupata per il
figlio lontano da casa (ah, le mamme italiane...), così decide di lasciare la
sua casa nei dintorni di Milano e di trasferirsi non più giovanissima e senza
sapere una parola d'inglese nella città del blues, a Chicago, per stare
maggiormente vicino al figlio. Ma anche così le sue preoccupazioni di mamma non
si placano. Tony è sempre in giro a suonare, torna tardi la notte e i giornali
sono pieni di notizie che riportano incidenti stradali dove spesso sono
coinvolti musicisti che tornano da un concerto. Rosa quindi ha l'idea che darà
un'ulteriore svolta alla sua vita. Pensa: "Se io apro un blues club per mio
figlio, lui non dovrà più andarsene in giro per suonare ma avrà un posto fisso
dove esibirsi, ed io sarò finalmente tranquilla". Con i risparmi di una vita e
il ricavato della vendita della loro abitazione in Italia, Rosa e Tony comprano
una casa a Chicago che trasformano nel mitico Rosa's che, grazie proprio alla
spontaneità e alla semplicità di questa donna è diventato davvero uno dei locali
blues più amati al mondo, non solo dal pubblico, ma anche dai musicisti stessi
che adorano questa simpatica signora e il suo affascinante locale. E' ovvio che
anche per un musicista "navigato" come me, suonare al Rosa's accompagnato dal
grande James Wheeler alla chitarra, è stato un evento davvero emozionante, da
aggiungere alle tante esperienze che ho avuto la fortuna di fare in questi anni
sui palchi di leggendari juke joints americani suonando con umiltà, semplicità e
spontaneità con grandissimi musicisti blues.
S&B: Nella prefazione di "Il soffio dell'anima: armoniche e armonicisti blues"
racconti le modalità che hai adottato al fine di allestire un'opera quanto più
completa ed aggiornata possibile; ma qual'è stato il fattore scatenante, ovvero
la scintilla che ti ha permesso concretamente di realizzarla?
FP: Il libro che ho scritto è quello che avrei voluto leggere quando un po' di
anni fa mi sono avvicinato all'armonica. Piano piano gli anni passano anche per
me, e volevo lasciare ai ragazzi più giovani che spesso mi scrivono per
sostenermi nei momenti difficili, qualcosa di utile. Sono tanti i giovani e
bravissimi musicisti che mi contattano per avere informazioni, e se è vero che
oggi le notizie girano maggiormente, è anche vero che in Italia fino ad oggi non
esisteva un volume totalmente dedicato all'armonica blues. Bisognava spulciare
qua e là tra libri, metodi, riviste e internet. Sul mio volume tutto è
concentrato lì. Questo non è però solo un libro per gli armonicisti blues,
perché io l'ho scritto, almeno per quanto riguarda la prima parte, come se fosse
un romanzo, quindi può essere una piacevole lettura anche per chi non suona
l'armonica, o non suona per niente, ma è curioso di saperne di più su di un
mondo estremamente affascinante come è quello del blues.
S&B: Questa tua ultima opera colma un vuoto esistente nell'editoria italiana
sull'American Blues. Per quanto riguarda invece lo "Spaghetti Blues", hai in
mente qualcosa?
FP: Chi lo sa dove mi porterà la strada del blues. Molto dipenderà anche dal
riscontro che avrà il mio libro sugli appassionati di Blues.
S&B: Senza voler fare pubblicità gratuita a nessuno e solo a beneficio dei
lettori, quali sono le armoniche che preferisci e per quali caratteristiche?
FP: La maggior parte dei grandi armonicisti che ho conosciuto mi hanno sempre
detto che non conta lo strumento ma chi lo suona. In teoria ma anche in realtà
cambiando lo strumento il suono del musicista non dovrebbe differire più di
tanto. Sono ancora alla ricerca delle mie armoniche preferite o meglio ogni
tanto c'è una Marine Band in La che mi piace, o una Proharp in DO che mi da
soddisfazione, oppure una Golden Melody in RE che mi sembra abbia un bel suono.
Questo per dire che, soprattutto oggi, in un periodo in cui le armoniche vengono
costruite "industrialmente" non bado più di tanto al modello, ma al fatto che
quel tipo di armonica riesca ad esprimere quello che voglio comunicare con il
blues in quel momento.
S&B: Sappiamo che l'armonica diatonica è lo strumento principe del Blues ed in
tale genere viene adoperata in maniera specifica. Lo strumento però, come tutti
gli altri suoi colleghi più "nobili", non ha confini di genere. Quali pensi
siano le potenzialità espressive in generale?
FP: E' vero che l'armonica ha avuto il suo maggiore sviluppo nel blues, ma ci
sono in giro per il mondo ottimi musicisti che suonano stupende musiche
avvalendosi proprio di questo piccolo ma incredibile strumento musicale, capace
come pochi altri, di dare risalto all'anima degli artisti.
S&B: Credi che un buon microfono influenzi in maniera determinante il suono? Tra
quelli noti e non che hai adoperato quale preferisci?
FP: Per il discorso sul microfono vale più o meno lo stesso discorso che ho
fatto per i modelli di armoniche. Naturalmente nel corso di questi anni ho
provato ogni tipo di microfono e di amplificatore. Un giorno mi sono accorto
però che la gente che mi veniva ad ascoltare sembrava apprezzare maggiormente i
momenti del concerto in cui usavo l'armonica "acustica". Da allora, quindi, mi
sono dedicato maggiormente a quel tipo di suono, e per amplificare lo strumento
uso comunemente un microfono da voce come lo Shure SM 58.
S&B: Come ti poni nei confronti dell'utilizzo degli effetti (pedali, rack,
ecc.). Che consigli puoi dare a chi non resiste di fronte ad un delay o ad un
chorus? E qual'è, a tuo avviso, il miglior abbinamento microfono-ampli?
FP: Beh, come ho già detto in precedenza l'armonica, il microfono,
l'amplificatore sono cose veramente soggettive. E' davvero difficile dare dei
consigli "seri". Ogni armonicista provando, sbagliando, non dormendo di notte
per i dubbi, troverà la propria strada per suonare la sua musica e se per fare
ciò ha bisogno di una particolare strumentazione credo che non ci sia nessun
problema. L'importante, e non mi stancherò di ripeterlo, è trasmettere emozioni,
questo è il compito del musicista. Cosa usare per farlo è solo una questione
tecnica dalla quale passano tutti prima di trovare una situazione che li metta
a proprio agio.
S&B: cosa è per te il Blues?
FP: Il blues per me è rabbia, dolcezza, disperazione, tenerezza; sono tutti quei
sentimenti che provo e che cerco di comunicare quando suono la mia armonica. Il
blues non è una legge o una religione, ma è qualcosa che appartiene all'intimo
dell'essere umano: alla passione. E la passione essendo qualcosa che sta dentro
il cuore di ognuno di noi, non ha regole, e soprattutto non si può spiegare. Il
blues è soprattutto libertà dalla sofferenza. Libertà di scacciare le proprie
malinconie, soffiando dentro ad un'armonica o passando un ditale sul manico di
una chitarra. Il blues e l'armonica mi hanno, davvero, più volte, nei periodi
più bui della mia esistenza, salvato, letteralmente, la vita. Sono stati davvero
il relitto a cui aggrapparsi quando mi sembrava di annegare nel mare della
depressione, quando ti sembra di essere caduto in un buco nero e di non riuscire
a trovare nessuna via d'uscita. Il blues mi ha permesso di avere esperienze
umane ed artistiche al di qua e al di là dell'Atlantico il cui ricordo rimarrà
impresso nella mia anima per il resto della mia vita. Il blues per un musicista
è come la strada per un viaggiatore: una volta che ce l'hai nel sangue non puoi
più farne a meno.
Chi Siamo |
In Primo Piano |
Link |
Le Bands |
Contatti
|
Iniziative Culturali
|
Testi Blues
|
Mailing List
|
Interviste |
Concerti
|
Articoli |
Bacheca Annunci |