Andrea Scagliarini
(a cura di Amedeo Zittano)
SB: “... è il Blues a scegliere il musicista e non viceversa”. A fronte di
questa idea popolare, quando e come il Blues ti ha scelto?
AS: Sono nato e cresciuto a Torino. Il blues non può avermi scelto. Sono io che, come armonicista, sono andato a cercarlo anche in Italia, ovviamente. SB: Non avevi ancora 18 anni di età quando, nel 1979, realizzasti il tuo primo lavoro discografico. Oggi, a distanza di 25 anni, con l’esperienza e la saggezza di una età matura e di una vita vissuta in nome del Blues, come ricordi quei primi passi e cosa ti senti di consigliare alle giovani leve di oggi che aspirano a percorrere le strade del Blues?
AS: Ricordo, ad esempio, di non essere stato pagato per quella seduta di
registrazione, né di aver mai visto il mio nome sulla copertina del disco.
Questo fatto mi ha insegnato che suonare per piacere e divertirsi è una bella
cosa, ma non bisogna regalare la propria musica, le armoniche si cambiano spesso
e costano sempre di più.
Quanto ai consigli per i più giovani posso raccontare quello che ho fatto
realmente. Ad esempio, io ho trascorso anni a studiare nota per nota i passaggi
più impegnativi di Little Walter, Walter Horton, Sonny Terry o Sugar Blue, ma
oggi non sono sicuro che sia la strada giusta. Quando ho cominciato a suonare mi
mancava tutto, dalle conoscenze tecniche alla cultura musicale, dagli
amplificatori ai microfoni adatti. Ho dovuto imparare partendo da zero. Oggi i
giovani sono un po’ più svegli, ci sono scuole musicali, seminari, acquisti on
line, Mp3, tablature, armoniche customizzate, oltre a diversi armonicisti bravi
e meno bravi da cui poter imparare. Forse oggi esistono vie più facili per
crescere più velocemente sullo strumento.
SB:L’esperienza negli U.S.A. ed il confronto con realtà blues diverse dalle nostre, ha in qualche modo influito nel tuo “fare” il blues all’italiana? C’è un episodio in particolare che ti ha colpito? AS: Non capisco bene cosa voglia dire fare blues all’italiana. Io canto in inglese con la consapevolezza di quello che sto cantando e possibilmente curando la pronuncia. Se non rammento un testo piuttosto non lo canto, ma non mi invento parole o suoni inesistenti, anche se conosco alcuni colleghi che cantano il blues come lo canterebbe Celentano. Negli USA ho imparato ad essere un po’ più professionale nel rapporto con gli altri musicisti e con il pubblico, ma ho anche imparato a saper stare sul palco o su quello altrui, ad esempio durante le jam session o accompagnando un solista. Ho anche imparato che esistono delle gerarchie sul palco e fuori dal palco, così come ho verificato che la buona conoscenza dello strumento da sola non basta; anzi, talvolta ho notato che può anche infastidire gli altri. Ricordo una volta al Rosa’s di Chicago. Ero tra il pubblico e doveva suonare Carey Bell, ma lui era in ritardo. Il proprietario mi chiese di suonare qualcosa al posto suo, cosa che immediatamente feci fino a quando non arrivò Carey Bell in persona che, senza dire nulla e con l’aria visibilmente seccata, mi strappò letteralmente il microfono di mano. La colpa era solo mia, non avrei dovuto cercare di sostituirlo nemmeno per pochi minuti. Ero stato un ingenuo. In quel frangente io ero accompagnato dalla sua band, mentre tutti si chiedevano che fine lui avesse fatto. A ripensarci, forse è questo che lo ha fatto incazzare. SB: 1988, formi la LITTLE RED & THE ROOSTERS, parlaci di quel periodo… AS: Durò circa 10 anni. Con essa ad es. ho aperto il concerto di Sugar Blue al Nave Blues Festival (BS) nel 1993 e sono presente su due antologie di blues italiano. Ho un cd di registrazioni live che per vari motivi non è stato stampato, ma è stato largamente impiegato come demo e che presto vi manderò. Non ho usato il mio nome nella band perchè... credo che non suoni così bene come Rooster che invece è diventato il mio nickname. A dire il vero, dopo circa 10 anni ero stufo di suonare solo in Piemonte e Liguria. In Italia spesso si suona nei grandi festival accompagnando gli artisti americani. Così divenni l'armonicista della Dario Lombardo Blues Gang e cominciai a lavorare su palchi e festival più prestigiosi e, di conseguenza, a registrare dischi veri. SB: Nel numero di maggio di JAM vi è una intervista a Charlie Musselwhite nella quale gli si chiede cosa significa suonare blues ed essere un bianco… Al di là della sua risposta, secondo te, cosa significa suonare blues ed essere un bianco italiano? AS: Penso che se fossi un afroamericano avrei avuto, di sicuro, successo in Italia. Mettendola sul ridere posso dire che ho la carnagione scura. Negli USA alcuni pensavano fossi messicano mentre qui mi è capitato di essere scambiato per un extracomunitario. Poiché qui siamo tutti bianchi non vedo differenze. Le uniche differenze che vedo sono tra chi fa solo il musicista e chi no. Il primo al mattino dorme, io invece mi alzo e vado a fare un altro lavoro. SB: Cos’è per te il Blues ? AS: In termini culturali considero il Blues un patrimonio dell’umanità altrettanto importante quanto l’Opera Lirica. Tutti possono ascoltarlo e tutti possono suonarlo in qualsiasi parte del mondo. Non credo sia una questione di pelle. SB: Grazie e spero di rincontrarti presto.
Discografia: 1979 Paul Kelly Band, Counting Chickens, Mu Rec 1996 Artisti Vari, This is my story - Blues in Italia vol.2, Larione 1998 Dario Lombardo & Blues Gang, I don't want to lose, Jazz Mobile 1998 Artisti Vari, 2120 Michigan Ave. Chicago - Italia vol.1, Il Manifesto 1999 Artisti Vari, 2120 Michigan Ave. Chicago - Italia vol.2, Il Manifesto 2003 Dario Lombardo & Blues Gang, Searchin’ for gold, Il Popolo del Blues Riconoscimenti: Blues harpist hits big time in Torino, Italy (American Harmonica Newsletter/ 1994) One of Europe's finest harmonica players (Blue Notes, July 1997) Fiendish harp sound (Blues Revue, Jan-Feb 1999) Third Harmonica Player at the Italian Blues Awards 2002
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