Fabio
Treves (a cura di Amedeo
Zittano)
Aveva
ventisei anni quando, nel 1975, la Red Record produsse un suo disco dal titolo
“Treves Blues Band”: si trattava del primo disco di Blues in
assoluto della discografia Blues made in Italy ovvero dello Spaghetti Blues.
Ha passato gli ultimi trent’anni a spasso tra le strade del Blues americane ed
europee realizzando 12 lavori discografici e due editoriali; il primo a fare una
trasmissione di Blues alla radio (Radio Popolare - anno 1975) e l'unico artista
italiano ad aver suonato con Frank Zappa. Tra le collaborazioni più importanti
spiccano nomi stranieri quali Cooper Terry, Mike Bloomfield, James Cotton,
Stevie Ray Vaughan, Canned Heat, Frank Zappa, Peter Tosh, e italiani come Mina,
Celentano, Cocciante, Bertoli, Branduardi, Baccini, Finardi, Panceri, Ferradini
e Graziani.
Ha partecipato ai più importanti Blues festival: Chicago, Memphis, Tennessee,
St.Chamond, Valence, e praticamente a tutti quelli Italiani. Tra i passaggi
televisivi spiccano quelli di "L'altra domenica", "Quelli della notte", "D.O.C.",
"Good Vibrations", "Showcase", "Crossroads" e “Zelig”. Conduce inoltre da dieci
anni "Blues Express", un programma radiofonico su Radio Rock FM a Milano.
Parallelamente all’attività di musicista e scrittore, svolge da sempre quella di
fotografo e “predicatore” Blues: sono famose le sue gallerie fotografiche e le
conferenze tenute in tutta Italia. La caparbietà e l’assoluta dedizione nel
dedicare l'intera esistenza al verbo del Blues, rendono Fabio uno dei personaggi
più rappresentativi e significativi del Blues Italiano.
Intervista
SB: “È il Blues a scegliere il musicista e non viceversa”. A fronte di questa
idea popolare, quando e come il Blues ti ha scelto?
FT: Tanti anni fa, da ragazzino, ascoltavo con mio padre, grande amante di tutta
la buona musica, i classici standard jazz ed anche Blues. Nei primi sessanta, mi
sembra fosse il 1963, ascoltai i mitici Ray Charles e Muddy Waters al Tetro
Lirico di Milano, fino ad arrivare alla prima ondata del British Pop o Beat che
non era nient'altro che l'inizio del Blues revival inglese. Ascoltai al Palalido
il gruppo dei Primitives: sì quelli capitanati da Mal (Paul Bradley)! Suonavano
un energico Pop, venato di quel Blues bianco che allora era una miscela
energetica per noi giovani. Subito dopo, quella stessa sera, arrivarono gli Who
ed incominciai a vedere la luce. Arrivarono i primi dischi, cominciai a fare
foto in giro per l'Europa e diventai un cultore della musica del diavolo.
SB: Avendo conosciuto personalmente Johnny Shines (amico e compagno di
avventura di Robert Johnson) ed avendolo accompagnato nel suo unico tour in
Italia nel 1978, cosa ti è rimasto più impresso da tale esperienza a distanza di
25 anni? e qual'è il messaggio che, secondo te, Shines ha voluto lasciare al
popolo del Blues Italiano?
FT: Beh, su Johnny Shines potrei scrivere anche un libro, tanto è stato
forte poter aver avuto la possibilità di conoscerlo. Erano anni in cui il Blues
cominciava a fare i primi passi importanti, anche per merito del Milano Blues
Club creato dal sottoscritto con Marco Pastonesi (autore con me della prima
“Guida Al Blues”, ed. Gammalibri) e Marino Grandi, direttore della rivista “Il
Blues”. C'erano le prime feste autogestite con sottofondo di musica blues, feste
di piazza dove si tentava di introdurre un po' di musica nuova ed aggregante,
povera ma ricca di valori. Insomma il Blues sembrava andare alla grande ed
allora si decise di chiamare i primi grandi nomi. Shines fu uno dei primi, si
esibì per una settimana, tutte le sere, al cineteatro Ciak, da poco rilevato dal
grande impresario (amico mio) Leo Wachter - quello che aveva portato a Milano i
Beatles, gli Stones e Jimi Hendrix -. Fu per noi una gioia infinita coccolare e
trasportare in giro per Milano Johnny; ci parlava di Robert Johnson e dei locali
malfamati degli anni trenta. Ha lasciato un grande insegnamento: “Ama il
blues ed il blues ti ripagherà' di questa passione”. Ripeto, a distanza di
anni è ancora fortissima l'emozione che provo al solo pensiero della mia
conoscenza diretta con uno dei miei grandi miti di sempre. Ho conosciuto
personalmente Muddy e John Lee Hooker, Hendrix e B.B, ma Shines era veramente la
Pietra Miliare del Blues acustico e quando guardo l'autoscatto che feci insieme
a lui ancora non mi sembra vero, eppure è capitato!
SB: le ultime news del tuo sito web (www.trevesbluesband.it) annunciano una
nuova produzione discografica che vede importanti collaborazioni straniere.
Parlaci di questa ennesima esperienza che conferma l’internazionalità dello
Spaghetti Blues.
FT: Per scaramanzia non ne parlo ancora ma ti posso dire che anche il mitico
Chuck Leavell, durante la sua permanenza a Milano (suona con gli Stones in
tour..), mi ha garantito la sua presenza nel prossimo CD. Poi ci sarà una
grossissima sorpresa, la cui autorizzazione o liberatoria come la si vuol
chiamare è arrivata da poco: si tratta di una incisione molto vecchia, inedita,
con il compianto chitarrista Mike Bloomfield. Ci saranno anche altri ospiti
illustri, spero di poter fare uscire il CD a Natale ma, essendo rigorosamente
autoprodotto e seguendo sempre il mio stesso motto "Chi fa da se fa per TRE-ves..",
a volte si possono verificare dei rallentamenti.
SB: “Di Blues non si è mai arricchito nessuno…”. A tutela del mestiere di
musicista e a garanzia di più figure professionali, e di conseguenza più posti
di lavoro, cosa vorresti cambiare e/o correggere in una ipotetica proposta
legislativa?
FT: La più importante per la diffusione del Blues è, per me, la TV.
Richiedere spazi, pochi ma significativi, per parlare e diffondere nonché far
ascoltare il Blues sotto tutte le sue diverse sfaccettature. Stessa cosa per i
locali. Il problema non lo si risolve inasprendo le normative peraltro già
esistenti o - per le discoteche - mobilitandola Polizia. Basterebbe “obbligare”
i gestori a cambiare tendenza, ma questa è solo fantascienza. Il business è il
business e oggi troppo spesso ci sono troppe facce della stessa medaglia.
SB: L’armonica a bocca è da molti considerata poco più di un giocattolo
soprattutto la “10 fori”, nonostante ciò sempre più giovani si avvicinano a tale
strumento musicale ed il panorama Blues Italiano trova un numero sempre
crescente di nuove leve, anche se l’entusiasmo e la passione vengono spesso
soffocati dalla mancanza di una vera e propria scuola. Cosa consigli agli amanti
dell’armonica Blues che vogliono approfondire lo studio dello strumento?
FT: Scuole ne conosco poche, a volte chi ha passione è un pessimo insegnante e
viceversa, conosco però diversi armonicisti che danno lezioni un pò in tutta
Italia. Poi ci sono i metodi e Internet ti offre innumerevoli possibilità di
procurarsi manuali e video didattici; ma quello che consiglio è ascoltare e
suonare, ascoltare e suonare, senza mai scoraggiarsi.
SB: Cosa è per te il Blues?
FT: Il Blues è la vita, con i suoi chiaroscuri, i momenti di gioia e
depressione, gli incontri, le perdite, gli affetti più cari e la voglia di
credere sempre nella possibilità di cambiare qualcosa all'interno di se stessi,
della propria famiglia o del mondo in cui si vive e si lavora. Blues è amicizia
e solidarietà, avere voglia di ascoltare e capire, dare una mano a chi è più
sfortunato, voglia di non omologarsi, passione per una musica che ha centinaia
d'anni. Blues è ridere nei momenti brutti e fermarsi a pensare nei momenti di
gioia. Il Blues è gioire della fortuna che si ha nell'avere come compagni di
strada Robert Johnson e Muddy Waters.
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