Non si selezionano solo le veline
(a cura di Michele Lotta)
Con l’affacciarsi della
primavera ritorna, inesorabile, il tormentone dei festival Blues in Italia. Si
riscopre l’amore per la musica (sopita in inverno all’interno dei club) e per le
sagre ad essa collegate. Sarebbe un periodo felice se non fosse rovinato dalla
nuova moda dei “toto-festival” che incombono su quei musicisti che hanno
lavorato per tutto l’anno (sovente in condizioni umilianti) in attesa di una
consacrazione estiva, magari al fianco di nomi più illustri. I “toto-festival”,
chiamati in maniera più subdola “selezioni” (mi soffermerò più avanti sul
significato di questo termine), sono direttamente mutuati dal festival di
Pistoia che – ad onor del vero - ha fatto scuola con il suo Bluesin. Adesso
quasi tutti annunciano concorsi pseudosanremesi per assegnare un posticino sui
loro palchi. La promessa è, quasi sempre, quella di un rimborso spese, della
partecipazione alla
solita
compilation che verrà fatta, e dell’onore di “calcare lo stesso palcoscenico”
degli artisti stranieri portatori del verbo delle dodici battute nel mondo.
Selezione significa letteralmente: “scelta degli elementi migliori o che
presentano determinate caratteristiche o che appaiono più adatti per un
determinato scopo” (dal Dizionario Garzanti della lingua italiana). Non credete
che una scelta da effettuare sulle qualità di qualcuno o di qualcosa, richieda
assoluta competenza e, nel campo dell’arte, di una conoscenza più profonda di
quella che può essere evinta da una breve esibizione? Chi sceglie e… cosa cerca?
Permettetemi di essere del tutto scettico sulla qualità delle cosiddette giurie
(leggi anche condizioni tecniche) approntate nei locali di provincia che
prestano i loro spazi per questo scopo. Ne abbiamo avuto conferma in questi anni
con il Bluesin constatandone l’inefficacia se non la dannevolezza.
Si vuol far credere che un processo, a prima vista, democratico ed aperto a
tutti, possa dare la possibilità a giovani sconosciuti di guadagnare orizzonti
più luminosi. Io non credo che sia così per tutta una serie di incertezze che si
affollano nella mia mente: perché, per le selezioni, si fa riferimento a bands
emergenti? e quelle che nel frattempo sono "maturate"? devono accodarsi agli
insormontabili soliti noti del Bel Pese? dov’è il ricambio? Considerate giusto
che basti il giudizio di una giuria (non meglio identificata) per sancire il
diritto di una band ad avere degli spazi importanti? E poi, non credete che sia
fondamentale fornire del Blues le facce più interessanti, moderne, che esprimano
freschezza e voglia di ricerca, piuttosto che mostrare sempre le stesse icone o
– peggio ancora – artisti che non suonano il Blues? Ed ancora... tenendo conto
che il Blues non è un fenomeno di massa e che gli artisti noti a livello
popolare sono poco più di una decina, è così indispensabile esibire nomi
"esotici"?
Gli "stranieri", canalizzati dalle varie agenzie, si riversano in Italia per
partecipare a tutte, o quasi, le manifestazioni: in base a quali criteri vengono
ingaggiati dai festival? Sono le agenzie che decidono per tutti chi sarà in
Italia in un dato periodo, propinando musicisti che la critica ha spesso
stroncato e dalle dubbie qualità artistiche (immagine e nome altisonante a
parte) o sono le direzioni dei festival che effettuano delle scelte artistiche
ponderate?
Infine, dando per scontato che i bluesmen di oggi (americani, italiani, russi,
cinesi, spagnoli, bianchi, neri e gialli) vivono in un mondo omologato ed in
condizioni certamente diverse da quelle che hanno “creato” il Blues, credete
esista ancora una differenza significativa tra americani e non?
Personalmente, ed alla luce di queste riflessioni, temo che si stia perpetrando
un grave danno nei confronti del Blues in generale e dei gruppi italiani in
particolare.
Voi che ne pensate? Fatecelo sapere.
Naturalmente, saranno molto graditi gli interventi da parte delle direzioni
artistiche dei festivals italiani che riterranno opportuno far conoscere il loro
punto di vista ad artisti ed appassionati.
Interventi
Max Pieri
(musicista,
critico musicale) 12.5.2005
Sembra impossibile! Non è da tanto che abbiamo chiuso il forum di discussione
“A.A.A. Cercasi Blues a Pistoia” che già siamo costretti ad aprirne un altro di
medesimi contenuti. Inutile ribadire che condivido in pieno le osservazioni di
Michele Lotta, ma non credo di poter aggiungere molto oltre quanto già detto in
passato o nei precedenti interventi.
Indubbiamente il concetto di selezione è difficilmente digeribile e già in bocca
assume un sapore amaro. Tuttavia il panorama blues sembra giunto ad un così
elevato livello di sovra saturazione che, pur sollevando dubbi sui criteri, “la
scelta” diventa obbligata. In Italia si possono stimare intorno a 1200-1400
blues band attive che licenziano da 50 a 100 titoli l’anno. Questa babele
sulfurea se, da una parte, crea movimento, dall’altra rende plausibile pensare
che si suoni più blues di quante orecchie siano realmente disposte ad
ascoltarlo. E’ molto probabile che ci siano troppe “…cover band che copiano gli
stili, i soli, ecc...” come afferma Andrea Mizzau. Quando poi l’offerta diventa
così elevata i criteri di scelta diventano più labili e multiformi. Questo
accade in tutti i settori, quindi, perché dovrebbero essere esenti le direzioni
artistiche dei Blues Festival? Da una parte ci sono quelle illuminate che
rischiano su sconosciuti di valore ma devono lo stesso far quadrare i conti.
Dall’altra sono sempre in agguato avventurieri e subdoli mestieranti che
vogliono riempire i cartelloni, giocando al ribasso sui cachet.
La definizione di “band mature” mi rammenta una discussione avuta, qualche tempo
fa, con un mio amico negoziante di dischi che mi disse: “…la maggior parte dei
miei clienti sono ragazzi fino a 26/27 anni. Poi li rivedo sotto i 40 che
cominciano a ricomprare quei dischi che ascoltavano da giovani…“. La fruizione
della musica è, quindi, un fenomeno generazionale con la tendenza alla
contrazione della forbice d’età e l’appiattimento verso fasce sempre più
“verdi”. In buona sostanza non c’è più tempo né spazio (figuriamoci i soldi!)
per aspettare le “band mature”. Un dato oramai consolidato nel rock e nel pop
mentre il blues, pur avendo un “mercato” svincolato da certi meccanismi
generazionali, soggiace ugualmente alle leggi anagrafiche. In uno dei migliori
blues club della mia città ho visto suonare musicisti maturi e di gran classe di
fronte a 20 persone e giovani band di fronte a 200. Pur rappresentando le facce
di due estremi con numerose situazioni intermedie, questo fenomeno non può
sfuggire alle direzioni artistiche dei blues festival. Di fronte alle
opportunità d’ingaggio di “band mature”, alternative ai soliti noti, diventa
quasi legittimo bilanciare rischi e creare interesse, ricorrendo a specchietti
per le allodole attraverso il reclutamento di giovani band emergenti e artisti
pop e rock fuori contesto.
Il segreto di tutto, alla fine, sta nel trattare con distacco questi fenomeni.
Stigmatizzarli, evidenziandone la vacuità. Organizzare noi stessi alternative
credibili, magari effimere, ma brucianti. Aprire parentesi intense nei nostri
percorsi e mantenere intatto il fascino naif di una vita sull’orlo delle dodici
battute. Non sarà semplice rimanere professionisti suonando il blues. Il
contatto con la realtà costringerà i più a cercare altri spazi di sopravvivenza.
Per rimanere invisibili e certificare comunque l’esistenza in vita - in barba a
qualunque selezione festivaliera - è necessario alimentare la determinazione nel
compiere quel viaggio verso un altrove, alla ricerca della propria identità!
Aldo Betto
(musicista) 3.5.2005
In materia di concorsi posso definirmi un quasi esperto: tante sono le
esperienze, da Castrocaro a Sanremo Rock, passando per Veneto Rock e così via.
Rimangono utili per una band di ragazzi che ha la necessità di uscire dalla
cantina e confrontarsi con altre band. L'emozione del palco per la prima volta,
il doversi adattare ad una situazione sonora di palco non ottimale,
l'espressione del pubblico ad un tuo brano originale. Questi ed altri aspetti
valgono l'iscrizione. Di negativo c'è l'assoluta inadeguatezza dei "premi" e
spesso la capacità e trasparenza delle giurie.
Purtroppo si è fatta strada negli ultimi 2 o 3 anni l'equazione pubblico=giuria,
cioè il voto dei presenti in sala senza intervento di giuria (Emergenza
Festival) con ovvio vantaggio di chi abita nei pressi del locale o ha capacità
di affabulatore invitando alla serata parenti, colleghi e condomini, il tutto a
discapito della qualità.
Concludo con una breve riflessione sulla globalizzazione della musica.
Certo, ora non è impossibile trovare un coreano suonare dell'ottimo blues,
oppure un russo la bossanova. Questo sicuramente è un bene, il mescolarsi di
stili, origini e gusti è la condizione fondamentale per uno sviluppo creativo in
assenza di purezza. (per purezza intendo la condizione irripetibile che avevano
i Beatles a Liverpool negl ultimi anni '50, oppure Muddy Waters quando attaccò
le chitarre all'amplificatore e creò la prima band della storia...).
Ma da spettatore di Festival Blues preferisco vedere sul palco un ambasciatore
americano, un padre del blues. L'elenco dal quale attingere è sterminato,
rattrista semmai vedere sempre gli stessi nomi. Peggio ancora lo spazio concesso
al fratello di.....al figlio di........Anche se il sangue è lo stesso è la Vita
che crea il suono di un musicista, c'è prima l'Uomo e le sue esperienze. Che
senso ha cercare un surrogato?! meglio rivolgere altrove l'attenzione, fare
ricerche più accurate e non rimanere in balia delle agenzie (ambasciatore
americano non esclude musicista inglese...non ci dimentichiamo dei Peter Green o
Rory Gallagher....).
Non c'è musica peggiore del Blues suonato male...gli accordi sono 3 e le battute
spesso dodici, ma smangiucchiare una pentatonica non vuol dire saper suonare.
Nel Belpaese sono davvero troppe le cattive band di Blues, con scaletta in
fotocopia, vibrati fuori tempo e bending stonati...Anche loro hanno la
responsabilità di aver creato l'erosione del pubblico Blues.
E poi mica al Montreaux Jazz Festival suonano solo Ornett Coleman o Keith
Jarrett? Parola di devoto a B.B.King.
Peo Recchia
(musicista) 23.04.2005
Aggiungo volentieri la mia voce a quelle da voi già raccolte in quanto ho avuto
modo di vivere l'esperienza "selezioni" sia da dentro che da fuori.
Suono in una blues band da diversi anni e allo stesso tempo collaboro
all'organizzazione di concerti in un prestigioso locale del quale preferisco non
fare il nome per evitare eventuali polemiche. Innanzitutto vorrei rispondere
alle domande da voi esposte: "Gli "stranieri", canalizzati dalle varie agenzie,
si riversano in Italia per partecipare a tutte, o quasi, le manifestazioni: in
base a quali criteri vengono ingaggiati dai festival? Sono le agenzie che
decidono per tutti chi sarà in Italia in un dato periodo, propinando musicisti
che la critica ha spesso stroncato e dalle dubbie qualità artistiche (immagine e
nome altisonante a parte) o sono le direzioni dei festival che effettuano delle
scelte artistiche ponderate?". La filiera è questa: le agenzie italiane sono in
contatto con gli artisti (o con le relative agenzie straniere) e decidono chi
far venire in Italia in base alle disponibilità ed al relativo rapporto qualità
prezzo (dove "qualità" deve essere letto come "richiamo di pubblico" e non come
qualità artistica vera e propria). Successivamente le direzioni dei festival
vengono informate dalle agenzie sui nomi dei vari artisti disponibili per la
stagione e si ritrovano a scegliere il cartellone in base alle proposte
ricevute. In definitiva chi organizza un festival, spesso è costretto a
scegliere tra una ristretta rosa di artisti che non sempre rispettano il giusto
rapporto tra nome altisonante e qualità dello spettacolo. Alla fine della
filiera c'è il pubblico che va a vedere i concerti ed è proprio qui che secondo
me sta il vero problema. Chi organizza un festival (o un concerto in genere) si
espone con investimenti importanti e cerca giustamente di pararsi il culo sulla
buona riuscita della manifestazione. Ciò significa che se per far venire gente
c'è bisogno di mettere in cartellone qualche cadavere dal nome altisonante lo si
fa! Purtroppo il pubblico italiano veramente competente e preparato è molto
scarso e chi organizza un evento non può fare i propri conti solo sulla base
dello zoccolo duro di veri appassionati perché ci rimetterebbe anche le mutande
(i costi sono quasi sempre sproporzionati rispetto al potenziale reale degli
artisti). E' triste dirlo ma gli amanti del blues sono pochi e quindi
ininfluenti nel "mercato". Vi faccio un esempio: secondo me sarebbe fantastico
vedere Hubert Sumlin o Ronnie Earl ad un festival ma in quanti saremmo li sotto
a guardare?! Pochi, troppo pochi, probabilmente non abbastanza da poter ripagare
i biglietti aerei per tutta la band! Per quanto riguarda dunque la questione
"selezioni e concorsi" mi viene da dire che purtroppo questo fenomeno vergognoso
e umiliante per i gruppi più "maturi" e meritevoli (e ce ne sono tanti, cazzo!)
è figlio del poco interesse che c'è tra il pubblico nei confronti della musica
dal vivo e del blues in particolare. Finché i gruppi blues italiani
continueranno ad avere così poco richiamo ci sarà ben poco da fare per
contrastare il dilagare dei concorsi... l'unico rimedio a mio avviso è
boicottarli. "O bere o affogare" dice il proverbio, molti di noi hanno già
bevuto abbastanza, ora forse è meglio affogare.
Andrea Mizzau
(organizzatore Pordenone Blues Festival) 22.04.2005
A mio avviso non ho mai fatto distinzione per la scelta di gruppi stranieri o
meno. Io scelgo tendenzialmente gran parte del casting cercando gruppi che
abbiano da dire qualche cosa di nuovo e non le solite quattro battute trite e
ritrite che hanno smarronato le palle.
Si, lo so il blues è il blues ma è anche vero che alla fine gran parte di questi
gruppi non sono altro che delle cover band che copiano gli stili, i soli,
ecc.ecc. Ben vengano i gruppi italiani e non ma che abbiano la voglia di esibire
qualche cosa di nuovo. Io organizzo un festival da quattordici anni e sono
pochissimi gli artisti veramente famosi che vi si sono esibiti. Ho cercato di
portare gruppi minori ma che comunicassero cose diverse e anche con uno spirito
diverso. Mi saranno arrivati una cinquantina di cd di gruppi italiani......sono
tutti uguali.
Ah dimenticavo che oltre 6.000 persone, la Rai, ecc ecc erano presenti
all'ultima edizione del Pordenone Blues Festival, che sia perché propongo
qualche cosa di diverso????
Mauro "Gion" Celi
(musicista) 22.04.2005
Guarda caso, siamo stati invitati a partecipare alle selezioni per un blues
festival. Chiaramente ci andiamo solo perchè ce la fanno fare in un gran bel
locale. Solo partecipando alle selezioni possiamo avere la possibilità di poter
organizzare in seguito una serata. Altrimenti ci direbbero come al solito..: "vi
faremo sapere..". Noi preferiamo avere l' occasione di potergli dire di
persona..: Vi facciamo sentire..". Ciò non toglie, naturalmente che la gran
parte di queste "serate" siano solo una scusa di vendere gruppi AGGRATIS ai
locali. Chi ci dice che l'associazione che organizza non si pigli almeno un
minimo di soldi dal locale..? Che vuoi fare..? Alle volte si venderebbe il culo
per la gioia di una bella esibizione.
E poi ultimamente, a causa di SIAE e ENPALS, nessuno vuole più cacciare una
cifra decente per una serata, al punto che alle volte ti viene da dire:
"..senti, l'elemosina non la vogliamo, tieniti i soldi e facci fare una buona
mangiata e una buona bevuta, la serata te la facciamo gratis, basta che ci sia
un buon pubblico interessato e che ci divertiamo tutti insieme senza paranoie.
Sennò vaffanculo e dai i tuoi 100 € a qualche coglione di DJ che ti faccia una
bella serata di latino americano, e che ti possa crollare addosso sto cazzo di
locale.."
Quando ce vo',ce vo'... MAY THE BLUES BE IN YOU, AND THE DEVIL TOO
Guido (manager
Jimmy Joe Band) 22.04.2005
Gli organizzatori vedono solamente il profitto in quanto la maggioranza vive sul
pretesto del Blues per ingannare chi di questa è appassionato mettendo sul palco
i soliti nomi americani che di bluesmen hanno ben poco.
Le selezioni sono la scusa per riempire i locali degli amici gestori, offrendo
un palco alle band selezionate, che con votazioni più o meno fasulle, più o meno
truccate, danno l'illusione che una giuria di esperti dia loro il pass per
esibirsi un quarto d'ora al loro festival.
Le serate nei locali sono sempre meno in quanto le cover band spadroneggiano, i
festival sono irraggiungibili, e la maggior parte dei bluesmen italiani, quelli
veri non quelli sponsorizzati da vari partiti, rimangono a casa e trovano sempre
più duro il cammino per dimostrare la loro arte.
Però di tutto questo ti rimane una voglia di palco che ti fa macinare, su tutte
le strade, migliaia di chilometri con la speranza d'incontrare una persona che
ti apprezzi e che tu apprezzerai per tutta la vita.
E' questo che ti fa continuare a suonare questa musica, è questo che ti riempie
il cuore di una felicità e un amore verso la vita fatta di Blues.
Umberto Sirigatti
(musicista) 22.04.2005
ASSOLUTAMENTE D'ACCORDO SU TUTTI I FRONTI !
Andrea Lupo Lupi
(musicista) 22.04.2005
Concordo alla grande con quanto scritto nell'articolo... e ci sarebbe molto
altro da aggiungere... ma è comunque vero che c'è ancora una differenza (che può
essere considerata come una ulteriore ricchezza) tra americani ed
europei/italiani, differenza in buona parte colmabile attraverso i viaggi o il
vivere a periodi laggiù, con il conoscere profondamente cultura, usi e costumi,
quotidianità del loro vivere, e soprattutto approfondendo tutto ciò che, almeno
apparentemente, non riguarda la musica: dalla visita al museo d'arte moderna
alla spesa al supermarket, dall'aspettare l'autobus alla session nei bar... pur
usando un linguaggio comune, è importante cercare di restare italiani/europei e
non scimmiottarli malamente. La nostra lunga storia ci dice che abbiamo molto da
insegnare e molto da imparare.
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