Matt Leddy & Rico Blues Combo - Brazen Head, Fragagnano (TA)
17.12.2004
Ho conosciuto Riccardo Migliarini “Rico” e il suo blues
combo diversi anni fa. Leggevo una rivista specializzata, IL BLUES, e fui
colpito dalla recensione del loro disco appena uscito “White Whiskey”. Nel 1997
non erano poi tante le blues band italiane che si facevano conoscere in giro,
 escludendo
chiaramente i soliti noti. Il blues era radicato nel sottobosco di ogni regione
e i canali di informazione latitavano. Come ora. Internet era agli albori. Presi
il telefono, chiamai Riccardo… e diventammo grandi amici. Quando mi arrivò per
posta il cd e lo ascoltai, rimasi davvero colpito. "Mamma mia" esclamai tra me e
me!!! "questi suonano sul serio". E un po’ mi vergognai di avergli spedito il
mio cd uscito in contemporanea al loro. Da allora sono cambiate in meglio molte
cose… per loro. Hanno realizzato altri due dischi eccellenti, partecipato ai
migliori blues festival italiani, tenuto diversi tour trionfali in tutta Europa
(Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, ecc). Cosa che nella storia e tradizione
delle blues band italiane in pochi hanno saputo fare. E ancora, collaborazioni
prestigiose con Tab Robinson, Popa Chubby, Mick Turk, culminate con la tournèe
della scorsa estate con il grande Sugar Ray Norcia, diventando la sua band
ufficiale per L’Europa. Invitati dal sottoscritto altre tre volte nel corso di
questi anni, alla quarta esibizione tenuta nello storico Brazen Head a
Fragagnano (TA), si sono portati dietro anche… la ciliegina. Matt Leddy,
cantante-chitarrista ritmico texano che negli ultimi tempi occupa un posto di
riguardo nel moderno texas-blues. Anche per lui collaborazioni di tutto rispetto
(Jimmy Vaughan, Rod Piazza, Mike Morgan, …) e ottimi dischi all’attivo come il
pluripremiato “Prime Cuts” ed il live ultimo “Texas Tomfoolery”. Apro una
piccola parentesi: ”questo disco è stato registrato dal vivo in Houston-Texas
con i Meat Cutters… che ha di strano?!! Appena parte il cd, la presentazione
viene fatta in italiano. Roba da sballo!!! Viva l’Italia". Chiusa parentesi.
In occasione di questo tour invernale con Matt Leddy, la band ha completamente
approntato per l’occasione una set-list nuova di zecca. Si parte
“sorprendentemente” con lo slow-blues di Walker “Stormy Monday”. Una versione
secca e concisa, senza tanti fronzoli, con Rico impegnato solo al canto e
chitarra-basso-batteria a sorreggere le emozioni di questo brano epocale. A
seguire ”Before You Accuse Me” di Bo Diddley con l’armonica che entra in gioco
su un tempo mid-shuffle che strappa applausi al numeroso pubblico presente. La
terza cover lascia il segno per davvero. ”Last
Call
For Alcool” è una mazzata terrificante. Il quartetto, in serata di grazia, si è
riscaldato e l’armonica di Rico sputa un solo davvero pregevole, tecnicamente
perfetto, giocato anche su note alte e cambi di posizione con la solita pulizia
sonora che lo contraddistingue dai normali suonatori di armonica. A questo punto
Rico invita sul palco Matt, finora seduto ad ascoltare i suoi amici, e il
repertorio si colora di texas/blues. Si comincia con la piacevole “Light to Las
Vegas” composizione dello stesso Matt che canta e diverte il pubblico con la sua
simpatia pur non conoscendo una sola sillaba di italiano. Godibile e ritmata
”Teeny Weeny Bit” e ancora “Good Woman”, sicuramente dedicata alle donne
italiane, e “Got Loaded” con Matt impegnato al canto e alla chitarra ritmica e
la Rico Blues Combo davvero incontenibile nel creare un tappeto sonoro sempre ad
altissimi livelli. Hanno una marcia in più, non c’è nulla da fare. Il concerto
continua con la spumeggiante cover di “Born Under A Bad Sign” e, a seguire,
ancora un brano, “Butchman”, firmato da Matt. Giusto, ora, elogiare Maurizio
“maestro” Pugno, a mio modesto parere uno dei chitarristi più preparati in
ambito blues. Tutta la serata regge sul suono sempre ispirato della sua Fender
alternata alla Gibson. Il fraseggio è potente e, allo stesso tempo, pulito,
concreto. Durante tutto lo spettacolo snocciola una padronanza di linguaggio
espressivo davvero invidiabile. Gli applausi sono ampiamente meritati nei brani
“Kidney Stew” e soprattutto nello strumentale “Watch Your Step”, composizione
scritta di suo "pugno". Un brano in cui il sound chitarristico esplode in modo
prepotente, fra tecnica e feeling, rispecchiando le sue influenze swing-shuffle
con straordinaria eloquenza. Il chitarrista che tutte le vere blues band
vorrebbero avere. Ancora ritmo con la superba “Cotton Boogie” e, senza un attimo
di tregua, “I Got Love If You Want It” e “No Daddy” (Matt) a riscaldare
ulteriormente l’ambiente. Chiude il concerto “Rico Shuffle” col ritmo
trascinante dell’armonica, scandito dal pubblico, che porta il tempo con le
mani. "E la sezione ritmica?" direte voi!!! Semplicemente eccellente. L’intesa è
praticamente perfetta. Affrontano la variabilità dei temi e dei tempi proposti
con precisione assoluta, segno di grande affiatamento, tanto affiatamento. Basta
dire che difficilmente si cercano con gli sguardi. L’intesa è nella loro mente.
Giuliano Bei suona la batteria con l’esperienza di un “grande vecchio” e
il bassista Mirco Capecci si vede lontano un miglio che la sa lunga.
Vecchio marpione silenzioso. Quando tutto sembra finito, arrivano a richiesta i
bis. E si riparte alla grande. Tutti insieme sul palco per due abrasivi e
potenti shuffleoni “To Many Girlfriend” e la sempreverde “Baby What You Want Me
To Do”, che risaltano il lato umano-goliardico di Matt Leddy impegnato ai cori e
ad aizzare il pubblico e con Riccardo Migliarini che, dopo un intero concerto
misurato e lirico, imbocca il suo strumento e finalmente dà filo da torcere al
suo Bassman inanellando 4,5,6, giri di armonica da “orgasmatron”. Non so se ho
reso l’idea! Applausi. "E finita la benzina…" dice Giuliano… baci - abbracci -
strette di mano - pacche sulle spalle - birretta alla spina - odore di fumo -
buone vibrazioni. Doveroso ringraziare Enzo del Brazen, Pasquale Romano di
Spazio Casa e, permettetemi, la neonata Associazione Culturale “FareBlues”
fondata dal sottoscritto con Renato, Nicchio, Bob, Pino, Cos. Si è fatto
maledettamente tardi. Una buona ora di macchina mi attende, sotto la pioggia
battente, per arrivare a casa. Mi ripeto come sempre, da solo, la stessa frase:
”Non ho più l’età… mo’ basta”.
Martino Palmisano
Let the people boogie: Paolo Bonfanti allo Jarmush club - Caserta
E’ la seconda volta che vedo in azione Paolo Bonfanti, uno dei più importanti ed
apprezzati chitarristi blues italiani. Nell’estate 2002 avevo assistito ad una
sua performance a supporto di Roy Rogers. In quell’occasione il chitarrista
genovese si “era… limitato” a fornire la giusta cornice al furioso
slider
americano in un concerto davvero entusiasmante.
L’esibizione di domenica 5 dicembre ci ha restituito un Bonfanti nudo e crudo
che, pur di fronte alla spietatezza della dimensione solo-acoustic, ha dato vita
ad un live-act aderente alla fama che lo accompagna. Con la chitarra a tracolla
ha attraversato in lungo e largo diversi stili musicali. Finger-style, slide e
accordature aperte d’ogni tipo sono stati gli elementi usati per ridefinire i
confini dell’american music, collocandola in un ambito stilistico più generale e
vicino alla musica etnica.
La song list della serata ha previsto diversi strumentali come l’iniziale
“Valley Jam” ed il bluegrass “Funky Mountain Special”. Immancabili alcuni
classici blues come la versione quasi spettrale di “Me And The Devil” di Robert
Johnson e l’esilarante “Running Shoes” di Juke Boy Bonner. Gli episodi più
interessanti sono stati comunque i brani composti dal chitarrista ligure, in
particolare quelli della più recente produzione discografica, cantata in
italiano e dialetto genovese. “Io Non Sono Io” è un brano teso a definire la
sottile linea di demarcazione fra follia e sanità mentale. “De Longo In Giò
(Sempre In Giro)” rappresenta il destino del musicista che passa raramente
attraverso i consueti canali promozionali (tv, radio, giornali), costruendosi la
notorietà con il perpetuo viaggiare. “Baixinn-a (Pioviggina)” è una bossa
dialettale, interpretazione di un brano del repertorio di Natalino Otto, il
capostipite dei crooner italiani. Infine vanno ricordate “Route One”, elegia
della Statale 1 Aurelia, svagata come solo “Il Sorpasso” di Dino Risi può essere
e una versione incendiaria di “The Misgovernment Blues”, affilato acoustic funk
che ha strappato un’ovazione a tutti i presenti.
Grande artista e grande performance. Se capita dalle vostre parti non
perdetevelo assolutamente, non avreste giustificazioni!
Max Pieri
Poggio Murella blues festival - IV edizione,
14/15
agosto 2004
Il ferragosto è, da sempre, argomento di discussione tra amici su come e dove
passarlo. A me accade inevitabilmente di rimanere da solo nelle mie scelte
orientate più verso eventi blues piuttosto che alla “conforme” soluzione
pizza-bagno di mezzanotte-discoteca-colazione.
Quest’anno,
puntualmente, opto per un festival che sembra fatto apposta per chi, come me, ha
di queste esigenze. Decido così di recarmi al Poggio Murella Blues Festival IV
edizione 2004 (www.poggiomurellablues.com).
Poggio Murella è un paesino frazione di Manciano, in provincia di Grosseto,
immerso nella Maremma Toscana a circa due chilometri da Saturnia (famosa per le
omonime terme). Si respira aria pura, si mangia da Dio e la gente è cordiale con
i forestieri.
Franco Rubegni, il direttore artistico (www.bluesandblues/rubegni), ci dà
appuntamento per una intervista, al campo sportivo dove si tiene la
manifestazione. Sono le 12:30 circa ed un gruppo di tecnici effettua gli ultimi
controlli prima di pranzo. La cosa che da subito mi colpisce oltre agli stands
allestiti per l’occasione, è il Blues Restaurant, una sorta di sagra a menù
fisso con circa 200 posti a sedere dove è possibile gustare la gastronomia
locale durante l’esibizione degli artisti, ben quattro gruppi a serata per un
totale di oltre dodici ore di puro Blues.
Come si evince dalla locandina, la direzione artistica non ha certo risparmiato
sui nomi; dice Franco Rubegni: “…ho voluto ricostruire il percorso
storico-culturale dello Spaghetti Blues coinvolgendo alcune delle band più
rappresentative e che hanno segnato l’evoluzione del blues in Italia. Ti dico,
in verità, che non è stato affatto facile far coincidere i nostri obbiettivi con
le disponibilità degli artisti.” ed aggiunge “La scaletta è stata studiata nei
minimi particolari per proporre al pubblico il risultato di decenni di attività
bluesistiche live tra artisti italiani e americani. Non è casuale infatti la
presenza di nomi come Aida Cooper e Lillo Rogati che hanno lavorato per più di
venti anni con il compianto Cooper Terry; Andy J. Forest che lavora in Italia
dagli inizi degli ‘80; Tito, storico chitarrista di Nick Becattini nelle tournee
in Europa ed a Chicago; Phil Guy e Dario Lombardo che con la Blues Gang è stato
il primo italiano a supportare un musicista di Chicago (sia in Italia che negli
USA); in buona sostanza, ogni artista in programma è stato protagonista dei
movimenti più rappresentativi del Blues Italiano”.
Alle 20:20 in punto il direttore artistico presenta il primo gruppo, il toscano
Tito Capaccioni, chitarra e voce, insieme ad Alessandro De Maio al basso e
Riccardo Focacci alla batteria, fanno gli onori di casa dedicando al pubblico
alcuni dei più bei classici del Blues elettrico. Essenziale nella forma e
accattivante nei contenuti, la musica della Tito Blues Band sembra una perfetta
colonna sonora per aprire, immersa in un tramonto rosso sangue, una delle
manifestazioni più riuscite di agosto.
Anche il
secondo gruppo è un trio ed è formato da Donnie Romano, chitarra e voce, Martin
Jotti al basso e Oscar Abelli alla batteria. Il sound è sincero ed esprime la
ricerca costante di nuovi colori.
È quindi il momento di Aida Cooper & The Nite Life, con Lillo Rogati al basso,
Pablo Leoni alla batteria, Heggy Vezzano alla chitarra, Roberto Perego al sax
tenore e Daniele Moretto alla tromba.
Suonano un travolgente R&B ed alternano brani classici e inediti. La voce di
Aida Castagnoli esprime a pieno tutto il suo carattere, impetuoso e sensuale a
tratti dolce e ingenuo. La sezione ritmica è l’essenza del loro groove ed i due
fiati sostengono il sound e danno quello slancio tipico del R&B pur senza essere
troppo invadenti. La chitarra elettrica di Heggy rievoca i suoni più puri della
musica nera e dà quel tocco aspro, tipico di certo blues, come pochi sanno fare,
esaltando soprattutto le ballate e rendendole fluide e accattivanti.
La prima serata del festival si conclude con la performance del “diavolo di
Bywater”, Andy J Forest, accompagnato da Sergio Cocchi alle tastiere, di nuovo
Heggy Vezzano, Luca Tonani al basso e di nuovo Pablo Leoni. Heggy e Pablo sono
rimasti sul palco per “economizzare” come scherzosamente afferma poi Andy J.
Che, come di consueto, si mostra l’abile showman di sempre. Con le sue armoniche
parla diretto al pubblico che per il terzo anno di seguito lo acclama a Poggio
Morella. Brillante è la prestazione di Sergio Cocchi che a dispetto di un grave
handicap alla mano sinistra, ed a dimostrazione che la musica supera ogni
barriera, incanta tutti. Con l’occasione Andy J. presenta il suo ultimo CD dal
titolo “Deep Down Under (in The Bywater)”. Conclude la serata con una Jam a
sorpresa invitando sul palco gli armonicisti Mauro “Plunz” Ponzio e Deo Blues
Harp (io!). Ad aprire la seconda serata è l’emiliano Oracle King, chitarra e
voce, con Paul Boss alla chitarra, Giampaolo Vago all’organo, Martin Jotti al
basso e Oscar Abelli alla batteria. La sessione ritmica è la stessa di Donnie
Romano. Esegue anche brani del suo CD “Forget The Guitar”. Lo stile è personale,
una specie di Albert King grunge (per dirla alla Rubegni).
In seguito tocca al britannico Papa George e “tutte” le sue chitarre,
accompagnato da Gigi Tedesca al basso e Vincenzo Barattin alla batteria. Lo
stile è blues rock ma Gorge presenta anche brani del suo ultimo lavoro
discografico “Being free… ain’t no crime” in una emozionante esibizione acustica
che spezza opportunamente l’elettricità della serata facendo immergere
l’ascoltatore in un’atmosfera che sa di Mississippi. Direttamente da Los
Angeles, l’ambidestro (credo l’unico al mondo) L. A. Jones & The Blues Messenger
ripercorre un po’ tutti gli stili del blues sempre in modo personale, sincero
quasi ad esprimere una sorta di intimità, come se confidasse al pubblico i
propri segreti. La sessione ritmica è la stessa di Papa
Gorge e dimostra un alto livello professionale in grado di seguire qualunque
intenzione musicale; con loro Jones registra il suo ultimo CD, non a caso un
live dal titolo “Live at Pink Panther”.
L’onore di chiudere il Poggio Morella Blues Festival 2004 è affidato ad onorem a
Phil Guy con Dario Lombardo & The Blues Gang. La collaborazione è storica, nasce
nel 1987. La Blues Gang è composta, oltre che da Phil e Dario, da Andrea
Scagliarini all’armonica, Massimo Pavin al basso e Massimo Bertagna alla
batteria. Sembra di essere al Rosa’s di Chicago... è proprio vero, la classe non
è acqua! Con Phil e la Gang di Lombardo il pubblico raggiunge l’apoteosi, il
loro Chicago funky blues rapisce tutti soprattutto quando Phil invita sul palco
L. A. Jones per una Jam imperdibile. Tra i classici, Phil propone brani suoi e
del fratello Buddy e tanta è l’euforia che le oltre sei ore di blues non bastano
a saziare il pubblico che non smette di acclamare fino a costringere i musicisti
a risalire sul palco per chiudere il festival con il classico Sweet Home Chicago
(in stile funky Guy).
Durante il Festival tutto fila liscio come l’olio, sia dal punto di vista
organizzativo che di affluenza e gradimento da parte del pubblico. Le
performance dei vari artisti si susseguono in perfetta armonia rispettando i
gusti sia dei tradizionalisti che dei progressisti.
Concludo ringraziando la cittadina di Poggio Murella per l’ottima accoglienza,
il direttore artistico Franco Rubegni, tutto lo staff organizzativo e… le forze
dell’ordine (che hanno avuto modo di apprezzare sia l’ottima musica che
l’eccellente senso civico del popolo del blues).
Amedeo Zittano
La Notte delle Armoniche
Diciassette
agosto 2004, Brazen Head Fragagnano (TA). Si svolge li una delle iniziative di
Spaghetti & Blues dedicata alle armoniche. Dopo la riuscitissima serata di
Beinasco (TO – dir. Art. Luigi Tempera), questa volta è lo “spaghettaro” Martino
Palmisano che organizza, con la partecipazione straordinaria di Peppe “Harmonica
Slim” Semeraro, la Notte delle Armoniche. Gruppo di supporto storico di Slim in
Puglia è la Complanare Blues Band di Fasano, capitanata da Palmisano, che invita
gli armonicisti pugliesi presenti in sala. A rotazione, si esibiscono: Nicola
Cardellicchio, Amedeo Zittano, Peppe Semeraro e ovviamente Martino Palmisano.
Non mancano le sorprese, infatti viene invitato sul palco Renato Petrelli,
chitarrista e leader della tarantina No Situation Blues Band.
Per i fortunati presenti l’impatto è un crescente, travolgente ed
indimenticabile show, caldo e, sotto certi aspetti, anche intimo in quanto i
musicisti danno davvero il massimo mettendo a nudo i propri stili senza
competizione, proprio come una cena tra amici dove ognuno racconta la propria
storia semplice, intrigante, erotica, ma soprattutto densa di emozioni.
Il pubblico apprezza molto riscoprendo le intenzioni più pure del Blues.
Magistrale è la performance di “Harmonica Slim” Semeraro (lo spaghettaro anziano
della serata) che sbalordisce tutti dando dimostrazione di una raffinata tecnica
in perfetta simbiosi con le più personali delle improvvisazioni. In finale la
classica Jam a culmine di quella che è stata sicuramente la più singolare serata
blues in Puglia.
Un particolare ringraziamento va a Enzo Antonucci (ormai spaghettaro convinto)
gestore del locale che, nonostante tutto, persevera nel darci sempre nuovi spazi
a dispetto del “commerciale” e del karaoke. Quando, un giorno, gli chiesi il
perché mi disse che alla base del suo successo come gestore di Pub e nella vita
vi è proprio la passione per il Blues.
W il Blues dunque e tutti i suoi discepoli.
Amedeo Zittano
King Biscuit Time in Abruzzo
Finalmente
questa Band arriva in Abruzzo per suonare al "Je Sò Blues..." festival di Atessa.
E' stata per me un'immensa gioia conoscere personalmente Michele Lotta e la sua
band. Colpisce immediatamente la maturità con cui questa band affronta un vasto
repertorio, tra l'acustico e l'elettrico, (Jive, R&B, Chicago blues). Maturità,
padronanza tecnica e feeling, per immergersi in una storia, quella del blues per
l'appunto, ricca di immagini anche personali. Una band che sa raccontare, una
band compatta, una ritmica serrata ed un chitarrista fantasioso come Nino Fazio.
L'armonica di Michele ci porta lontano, a quei tempi dove il blues è nato per
riapparire ovunque ed in qualsiasi momento. Queste sono le mie impressioni ma
quello che resta di più è il calore che questi siciliani sanno infondere nel
cuore.
Joe Caruso
IV Beinasco Blues Jazz Festival
Una serata che inizia come tante altre: gli strumenti vengono accordati, tra una
sigaretta e quattro risate vengono scambiati gli ultimi suggerimenti. La gente
del pubblico sta chi a chiaccherare seduto, chi in piedi a fare l'in bocca al
lupo ai musicisti. Un po' prima dell'inizio mi allontano dalla sala per andare a
prendere degli amici, così mi perdo la presentazione della "Down Town Blues
Band". Un peccato, ma una giustizia divina esiste, e infatti al mio ritorno mi
ritrovo tutto d'un tratto trascinato in un'orgia di note, colpi di batteria,
battiti di mani di spettatori a scandire e amplificare lo shuffle della
chitarra, cori di voci ad accompagnare il cantante. Il cuore batte a ritmo delle
12 battute, sobbalza al suono degli acuti di Scagliarini sull'armonica. Sembra
voler inseguire l'onda delle note che si allontanano dal palco per inspirarle
quanto più profondamente possibile. Ma loro non
scappano via: rimbalzano e tornano, si mischiano alle altre in una fusione
perfetta di passato e presente che solo il Blues riesce a realizzare. Magnifico
vedere la passione del batterista, sentire le note sinuose del basso, quasi
nascoste nel frastuono generale; ma basta guardare a terra e le vedi passare
sotto di te per incorniciare quelle degli altri strumenti, impedendo loro di
scappare. Ma attenzione al chitarrista: vuole imitare Ritchie Blackmore ("Deep
Purple") nello storico concerto di Osaka, quando fece l'assolo di "Smoke on the
water" con la chitarra sulla schiena. Non ce la farà mai, penso dentro di me, ma
la Musica è magia e ancora una volta il miracolo è compiuto: le corde vibrano
alla frequenza giusta e gli amplificatori continuano a diffondere armonia!
Applausi, standing ovation accompagnano l'ultima canzone della "Down Town Blues
Band": semplicemente indimenticabile il treno di Scagliarini!!!
La serata poteva concludersi qua, e sarebbe già stata perfetta. Invece no, il
tempo che gli applausi finiscano e sul palco sale Amedeo Zittano a presentare
"Spaghetti & Blues". Un po' impacciato all'inizio, prende coraggio e parte
sparato come un missile. Sembra uno spettacolo di cabaret (mitica la storia dei
panini da 10 euro con le sottilette ancora incartate)...
Ma ecco che sul palco sale Luigi Tempera insieme alla sua "T-James BB". Poeta
del Blues, Luigi inizia la performance con una sua bellissima canzone, "Come on
my train". Ancora una volta il tema del treno, che riserverà ancora un'altra
sorpresa con la venuta sul palco di Giò Vescovi e il suo "Spaghetti Blues": “...
la metrica italiana applicata al ritmo delle 12 battute...”, per dirla con lui.
Ma anche nella tematica le sue canzoni si adattano ai temi tipici del Blues:
l'emigrante meridionale, con le sue valigie di cartone, in viaggio su un treno
diretto verso il nord. Quindi treno simbolo di allontanamento dalla Terra Natia,
ma anche di speranza del ritorno...
Finalmente ci si ricorda che è la serata delle armoniche, e sul palco sale
Amedeo Zittano, che con la sua Hohner accompagna la "T-James BB" nel viaggio
attraverso grandi classici come "Route 66" o "Got my mojo working" (ancora una
volta pubblico in festa sotto il palco a ballare e cantare); e mentre applaudi
non ti accorgi di quello che sta succedendo: ti ritrovi sul palco di nuovo Giò
Vescovi, Andrea Scagliarini, Fabio "Lopez" (come l'ho battezzato io, vista la
somiglianza) e ancora una volta la "Down Town BB", per un'esplosione finale di
gioia, divertimento, voglia di stare insieme uniti nel Blues.
Come dimenticare gli assoli di Michelangelo Di Gioia all'Hammond o la batteria
di Paolo Narbone (sulle sue battute puoi regolare l'orologio) o il basso di
Giorgio Fiorini?
Grazie Ragazzi, grazie a tutti per questa serata fantastica, irripetibile.
Grazie a chi ha reso possibile tutto questo, e a chi l'ha immortalato. Grazie al
Blues....
Andrea Stabile
"Ci stavo!" - Blue Stuff in concerto
Dopo
tre anni di “riflessione”, il Brazen Head di Fragagnano (TA) ha riaperto le
porte al blues. Un locale storico che (con il precedente “Ombra Blues” sempre
gestito da Enzo Antonucci) ha ospitato negli anni scorsi - ed in tempi non
sospetti - gente come Lynwood Slim, Dirty Hand, Michael Coleman, Roberto Ciotti,
Tolo Marton, Andy Forest, Treves blues band, James Thompson, Rudy Rotta… voglio
dire: mica bruscolini! Per dare inizio alla rassegna intitolata “A febbraio
ritorno al blues” la scelta, non casuale, è caduta sui napoletani BLUE STUFF,
tanto per andare sul sicuro. Che raccontare del concerto? Il pubblico era quello
delle grandi occasioni. Attento, partecipe e predisposto a lasciarsi affascinare
dall’istrionico maestro Mario Insenga, divulgatore di storie, gags, aneddoti
simpatici e divertenti: ”roba blues” come titola il loro ultimo cd. Alle 22,45
si parte alla grande con Insenga che sul primo brano (un traditional) si
esibisce contemporaneamente alla batteria, alla voce, al kazoo, e al…
bottiglione. Il sound è pieno e granitico. Il merito è da condividere con il
resto della banda. Francesco Miele al basso sa essere essenziale e preciso senza
cazzeggiamenti vari. Lino “possa campa’ 100 anni” Muoio alla chitarra elettrica,
già da cinque anni nel gruppo, non ha bisogno di presentazioni. Il suo approccio
sulla sei corde è pulito ed incisivo, e quando c’è da darci dentro non perde un
colpo. Davvero bravo. La sorpresa arriva dal nuovo innesto della seconda
chitarra, ovvero Gennaro Porcelli che col suo look alla “vogliamoci bene”, unito
alla sua giovane età e ad un fisico “slim”, si rende subito simpatico alla
platea. Suona anche slide, armonica e canta pure. Voi direte: ma e’ forte? Si, è
proprio forte. Suona il ragazzino. Sa il fatto suo. Al pubblico viene servita
una “Higway 61” di un certo Bob Dylan tosta tosta, lunga, rabbiosa e rockata.
Gran bella versione con le due chitarre a duellare tra loro. E poi ci sono i
classici della band: ”Compagno di strada” dedicata al furgone che macina
chilometri in giro per le strade e che non dice mai di no quando si inserisce la
chiave nel cruscotto; ”E’ asciuto pazzo ‘o padrone”, un omaggio al più grande
calciatore di tutti i tempi, indovinate voi chi; ”L’acqua è poca”, dove Mario
senza tanti sforzi fa capire al pubblico che il coretto è facile facile, basta
dire “la papera non galleggia”. E il pubblico partecipa, divertendosi e
applaudendo vigorosamente al termine di ogni brano. C’è anche tempo, a metà
concerto, per una jam. Mario invita sul palco alcuni componenti della Complanare
blues band: Cristina Liuzzi alla voce, Franco Speciale alla chitarra di Gennaro
ed il sottoscritto all’armonica. Che si suona? Partiamo con uno shufflone,
“Everyday I have the blues”, e subito dopo lo slow “Stormy Monday”. Bella
storia. Baci e abbracci e la band attacca con uno dei brani più tirati del
concerto, la spassosa “Fuje Pascali’”, ancora col pubblico a cantare il
ritornello. E poi ancora “Sotto viale Augusto”, “Pienz’ a salute” e la botta
finale, affidata a “Johnny B. Goode”, con uno scatenatissimo Gennaro a far
urlare le corde della sua "guitar". C’è tempo pure per il bis. Il quartetto non
si risparmia. Due ore piene di blues e sudore. La band, dal palco, saluta ed il
pubblico applaude soddisfatto per l’ultima volta. Abbiamo respirato aria buona
col blues dei Blue Stuff, come quando si va in montagna. Ora è tardi. Sazio, me
ne torno a casa…
Fuje Pascali’,
Fuje Pascali’, Fuje,Fuje, Fuje,Pascali’...
Martino Palmisano
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