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Matt Leddy & Rico Blues Combo - Brazen Head, Fragagnano (TA) 17.12.2004

Ho conosciuto Riccardo Migliarini “Rico” e il suo blues combo diversi anni fa. Leggevo una rivista specializzata, IL BLUES, e fui colpito dalla recensione del loro disco appena uscito “White Whiskey”. Nel 1997 non erano poi tante le blues band italiane che si facevano conoscere in giro, escludendo chiaramente i soliti noti. Il blues era radicato nel sottobosco di ogni regione e i canali di informazione latitavano. Come ora. Internet era agli albori. Presi il telefono, chiamai Riccardo… e diventammo grandi amici. Quando mi arrivò per posta il cd e lo ascoltai, rimasi davvero colpito. "Mamma mia" esclamai tra me e me!!! "questi suonano sul serio". E un po’ mi vergognai di avergli spedito il mio cd uscito in contemporanea al loro. Da allora sono cambiate in meglio molte cose… per loro. Hanno realizzato altri due dischi eccellenti, partecipato ai migliori blues festival italiani, tenuto diversi tour trionfali in tutta Europa (Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, ecc). Cosa che nella storia e tradizione delle blues band italiane in pochi hanno saputo fare. E ancora, collaborazioni prestigiose con Tab Robinson, Popa Chubby, Mick Turk, culminate con la tournèe della scorsa estate con il grande Sugar Ray Norcia, diventando la sua band ufficiale per L’Europa. Invitati dal sottoscritto altre tre volte nel corso di questi anni, alla quarta esibizione tenuta nello storico Brazen Head a Fragagnano (TA), si sono portati dietro anche… la ciliegina. Matt Leddy, cantante-chitarrista ritmico texano che negli ultimi tempi occupa un posto di riguardo nel moderno texas-blues. Anche per lui collaborazioni di tutto rispetto (Jimmy Vaughan, Rod Piazza, Mike Morgan, …) e ottimi dischi all’attivo come il pluripremiato “Prime Cuts” ed il live ultimo “Texas Tomfoolery”. Apro una piccola parentesi: ”questo disco è stato registrato dal vivo in Houston-Texas con i Meat Cutters… che ha di strano?!! Appena parte il cd, la presentazione viene fatta in italiano. Roba da sballo!!! Viva l’Italia". Chiusa parentesi.
In occasione di questo tour invernale con Matt Leddy, la band ha completamente approntato per l’occasione una set-list nuova di zecca. Si parte “sorprendentemente” con lo slow-blues di Walker “Stormy Monday”. Una versione secca e concisa, senza tanti fronzoli, con Rico impegnato solo al canto e chitarra-basso-batteria a sorreggere le emozioni di questo brano epocale. A seguire ”Before You Accuse Me” di Bo Diddley con l’armonica che entra in gioco su un tempo mid-shuffle che strappa applausi al numeroso pubblico presente. La terza cover lascia il segno per davvero. ”Last Call For Alcool” è una mazzata terrificante. Il quartetto, in serata di grazia, si è riscaldato e l’armonica di Rico sputa un solo davvero pregevole, tecnicamente perfetto, giocato anche su note alte e cambi di posizione con la solita pulizia sonora che lo contraddistingue dai normali suonatori di armonica. A questo punto Rico invita sul palco Matt, finora seduto ad ascoltare i suoi amici, e il repertorio si colora di texas/blues. Si comincia con la piacevole “Light to Las Vegas” composizione dello stesso Matt che canta e diverte il pubblico con la sua simpatia pur non conoscendo una sola sillaba di italiano. Godibile e ritmata ”Teeny Weeny Bit” e ancora “Good Woman”, sicuramente dedicata alle donne italiane, e “Got Loaded” con Matt impegnato al canto e alla chitarra ritmica e la Rico Blues Combo davvero incontenibile nel creare un tappeto sonoro sempre ad altissimi livelli. Hanno una marcia in più, non c’è nulla da fare. Il concerto continua con la spumeggiante cover di “Born Under A Bad Sign” e, a seguire, ancora un brano, “Butchman”, firmato da Matt. Giusto, ora, elogiare Maurizio “maestro” Pugno, a mio modesto parere uno dei chitarristi più preparati in ambito blues. Tutta la serata regge sul suono sempre ispirato della sua Fender alternata alla Gibson. Il fraseggio è potente e, allo stesso tempo, pulito, concreto. Durante tutto lo spettacolo snocciola una padronanza di linguaggio espressivo davvero invidiabile. Gli applausi sono ampiamente meritati nei brani “Kidney Stew” e soprattutto nello strumentale “Watch Your Step”, composizione scritta di suo "pugno". Un brano in cui il sound chitarristico esplode in modo prepotente, fra tecnica e feeling, rispecchiando le sue influenze swing-shuffle con straordinaria eloquenza. Il chitarrista che tutte le vere blues band vorrebbero avere. Ancora ritmo con la superba “Cotton Boogie” e, senza un attimo di tregua, “I Got Love If You Want It” e “No Daddy” (Matt) a riscaldare ulteriormente l’ambiente. Chiude il concerto “Rico Shuffle” col ritmo trascinante dell’armonica, scandito dal pubblico, che porta il tempo con le mani. "E la sezione ritmica?" direte voi!!! Semplicemente eccellente. L’intesa è praticamente perfetta. Affrontano la variabilità dei temi e dei tempi proposti con precisione assoluta, segno di grande affiatamento, tanto affiatamento. Basta dire che difficilmente si cercano con gli sguardi. L’intesa è nella loro mente. Giuliano Bei suona la batteria con l’esperienza di un “grande vecchio” e il bassista Mirco Capecci si vede lontano un miglio che la sa lunga. Vecchio marpione silenzioso. Quando tutto sembra finito, arrivano a richiesta i bis. E si riparte alla grande. Tutti insieme sul palco per due abrasivi e potenti shuffleoni “To Many Girlfriend” e la sempreverde “Baby What You Want Me To Do”, che risaltano il lato umano-goliardico di Matt Leddy impegnato ai cori e ad aizzare il pubblico e con Riccardo Migliarini che, dopo un intero concerto misurato e lirico, imbocca il suo strumento e finalmente dà filo da torcere al suo Bassman inanellando 4,5,6, giri di armonica da “orgasmatron”. Non so se ho reso l’idea! Applausi. "E finita la benzina…" dice Giuliano… baci - abbracci - strette di mano - pacche sulle spalle - birretta alla spina - odore di fumo - buone vibrazioni. Doveroso ringraziare Enzo del Brazen, Pasquale Romano di Spazio Casa e, permettetemi, la neonata Associazione Culturale “FareBlues” fondata dal sottoscritto con Renato, Nicchio, Bob, Pino, Cos. Si è fatto maledettamente tardi. Una buona ora di macchina mi attende, sotto la pioggia battente, per arrivare a casa. Mi ripeto come sempre, da solo, la stessa frase: ”Non ho più l’età… mo’ basta”.

Martino Palmisano


Let the people boogie: Paolo Bonfanti allo Jarmush club - Caserta 


E’ la seconda volta che vedo in azione Paolo Bonfanti, uno dei più importanti ed apprezzati chitarristi blues italiani. Nell’estate 2002 avevo assistito ad una sua performance a supporto di Roy Rogers. In quell’occasione il chitarrista genovese si “era… limitato” a fornire la giusta cornice al furioso slider americano in un concerto davvero entusiasmante.
L’esibizione di domenica 5 dicembre ci ha restituito un Bonfanti nudo e crudo che, pur di fronte alla spietatezza della dimensione solo-acoustic, ha dato vita ad un live-act aderente alla fama che lo accompagna. Con la chitarra a tracolla ha attraversato in lungo e largo diversi stili musicali. Finger-style, slide e accordature aperte d’ogni tipo sono stati gli elementi usati per ridefinire i confini dell’american music, collocandola in un ambito stilistico più generale e vicino alla musica etnica.
La song list della serata ha previsto diversi strumentali come l’iniziale “Valley Jam” ed il bluegrass “Funky Mountain Special”. Immancabili alcuni classici blues come la versione quasi spettrale di “Me And The Devil” di Robert Johnson e l’esilarante “Running Shoes” di Juke Boy Bonner. Gli episodi più interessanti sono stati comunque i brani composti dal chitarrista ligure, in particolare quelli della più recente produzione discografica, cantata in italiano e dialetto genovese. “Io Non Sono Io” è un brano teso a definire la sottile linea di demarcazione fra follia e sanità mentale. “De Longo In Giò (Sempre In Giro)” rappresenta il destino del musicista che passa raramente attraverso i consueti canali promozionali (tv, radio, giornali), costruendosi la notorietà con il perpetuo viaggiare. “Baixinn-a (Pioviggina)” è una bossa dialettale, interpretazione di un brano del repertorio di Natalino Otto, il capostipite dei crooner italiani. Infine vanno ricordate “Route One”, elegia della Statale 1 Aurelia, svagata come solo “Il Sorpasso” di Dino Risi può essere e una versione incendiaria di “The Misgovernment Blues”, affilato acoustic funk che ha strappato un’ovazione a tutti i presenti.
Grande artista e grande performance. Se capita dalle vostre parti non perdetevelo assolutamente, non avreste giustificazioni!


Max Pieri


Poggio Murella blues festival -
IV edizione,
 14/15 agosto 2004 

Il ferragosto è, da sempre, argomento di discussione tra amici su come e dove passarlo. A me accade inevitabilmente di rimanere da solo nelle mie scelte orientate più verso eventi blues piuttosto che alla “conforme” soluzione pizza-bagno di mezzanotte-discoteca-colazione.
Quest’anno, puntualmente, opto per un festival che sembra fatto apposta per chi, come me, ha di queste esigenze. Decido così di recarmi al Poggio Murella Blues Festival IV edizione 2004 (www.poggiomurellablues.com).
Poggio Murella è un paesino frazione di Manciano, in provincia di Grosseto, immerso nella Maremma Toscana a circa due chilometri da Saturnia (famosa per le omonime terme). Si respira aria pura, si mangia da Dio e la gente è cordiale con i forestieri.
Franco Rubegni, il direttore artistico (www.bluesandblues/rubegni), ci dà appuntamento per una intervista, al campo sportivo dove si tiene la manifestazione. Sono le 12:30 circa ed un gruppo di tecnici effettua gli ultimi controlli prima di pranzo. La cosa che da subito mi colpisce oltre agli stands allestiti per l’occasione, è il Blues Restaurant, una sorta di sagra a menù fisso con circa 200 posti a sedere dove è possibile gustare la gastronomia locale durante l’esibizione degli artisti, ben quattro gruppi a serata per un totale di oltre dodici ore di puro Blues.
Come si evince dalla locandina, la direzione artistica non ha certo risparmiato sui nomi; dice Franco Rubegni: “…ho voluto ricostruire il percorso storico-culturale dello Spaghetti Blues coinvolgendo alcune delle band più rappresentative e che hanno segnato l’evoluzione del blues in Italia. Ti dico, in verità, che non è stato affatto facile far coincidere i nostri obbiettivi con le disponibilità degli artisti.” ed aggiunge “La scaletta è stata studiata nei minimi particolari per proporre al pubblico il risultato di decenni di attività bluesistiche live tra artisti italiani e americani. Non è casuale infatti la presenza di nomi come Aida Cooper e Lillo Rogati che hanno lavorato per più di venti anni con il compianto Cooper Terry; Andy J. Forest che lavora in Italia dagli inizi degli ‘80; Tito, storico chitarrista di Nick Becattini nelle tournee in Europa ed a Chicago; Phil Guy e Dario Lombardo che con la Blues Gang è stato il primo italiano a supportare un musicista di Chicago (sia in Italia che negli USA); in buona sostanza, ogni artista in programma è stato protagonista dei movimenti più rappresentativi del Blues Italiano”.
Alle 20:20 in punto il direttore artistico presenta il primo gruppo, il toscano Tito Capaccioni, chitarra e voce, insieme ad Alessandro De Maio al basso e Riccardo Focacci alla batteria, fanno gli onori di casa dedicando al pubblico alcuni dei più bei classici del Blues elettrico. Essenziale nella forma e accattivante nei contenuti, la musica della Tito Blues Band sembra una perfetta colonna sonora per aprire, immersa in un tramonto rosso sangue, una delle manifestazioni più riuscite di agosto.
Anche il secondo gruppo è un trio ed è formato da Donnie Romano, chitarra e voce, Martin Jotti al basso e Oscar Abelli alla batteria. Il sound è sincero ed esprime la ricerca costante di nuovi colori.
È quindi il momento di Aida Cooper & The Nite Life, con Lillo Rogati al basso, Pablo Leoni alla batteria, Heggy Vezzano alla chitarra, Roberto Perego al sax tenore e Daniele Moretto alla tromba.
Suonano un travolgente R&B ed alternano brani classici e inediti. La voce di Aida Castagnoli esprime a pieno tutto il suo carattere, impetuoso e sensuale a tratti dolce e ingenuo. La sezione ritmica è l’essenza del loro groove ed i due fiati sostengono il sound e danno quello slancio tipico del R&B pur senza essere troppo invadenti. La chitarra elettrica di Heggy rievoca i suoni più puri della musica nera e dà quel tocco aspro, tipico di certo blues, come pochi sanno fare, esaltando soprattutto le ballate e rendendole fluide e accattivanti.
La prima serata del festival si conclude con la performance del “diavolo di Bywater”, Andy J Forest, accompagnato da Sergio Cocchi alle tastiere, di nuovo Heggy Vezzano, Luca Tonani al basso e di nuovo Pablo Leoni. Heggy e Pablo sono rimasti sul palco per “economizzare” come scherzosamente afferma poi Andy J. Che, come di consueto, si mostra l’abile showman di sempre. Con le sue armoniche parla diretto al pubblico che per il terzo anno di seguito lo acclama a Poggio Morella. Brillante è la prestazione di Sergio Cocchi che a dispetto di un grave handicap alla mano sinistra, ed a dimostrazione che la musica supera ogni barriera, incanta tutti. Con l’occasione Andy J. presenta il suo ultimo CD dal titolo “Deep Down Under (in The Bywater)”. Conclude la serata con una Jam a sorpresa invitando sul palco gli armonicisti Mauro “Plunz” Ponzio e Deo Blues Harp (io!). Ad aprire la seconda serata è l’emiliano Oracle King, chitarra e voce, con Paul Boss alla chitarra, Giampaolo Vago all’organo, Martin Jotti al basso e Oscar Abelli alla batteria. La sessione ritmica è la stessa di Donnie Romano. Esegue anche brani del suo CD “Forget The Guitar”. Lo stile è personale, una specie di Albert King grunge (per dirla alla Rubegni).
In seguito tocca al britannico Papa George e “tutte” le sue chitarre, accompagnato da Gigi Tedesca al basso e Vincenzo Barattin alla batteria. Lo stile è blues rock ma Gorge presenta anche brani del suo ultimo lavoro discografico “Being free… ain’t no crime” in una emozionante esibizione acustica che spezza opportunamente l’elettricità della serata facendo immergere l’ascoltatore in un’atmosfera che sa di Mississippi. Direttamente da Los Angeles, l’ambidestro (credo l’unico al mondo) L. A. Jones & The Blues Messenger ripercorre un po’ tutti gli stili del blues sempre in modo personale, sincero quasi ad esprimere una sorta di intimità, come se confidasse al pubblico i propri segreti. La sessione ritmica è la stessa di Papa Gorge e dimostra un alto livello professionale in grado di seguire qualunque intenzione musicale; con loro Jones registra il suo ultimo CD, non a caso un live dal titolo “Live at Pink Panther”.
L’onore di chiudere il Poggio Morella Blues Festival 2004 è affidato ad onorem a Phil Guy con Dario Lombardo & The Blues Gang. La collaborazione è storica, nasce nel 1987. La Blues Gang è composta, oltre che da Phil e Dario, da Andrea Scagliarini all’armonica, Massimo Pavin al basso e Massimo Bertagna alla batteria. Sembra di essere al Rosa’s di Chicago... è proprio vero, la classe non è acqua! Con Phil e la Gang di Lombardo il pubblico raggiunge l’apoteosi, il loro Chicago funky blues rapisce tutti soprattutto quando Phil invita sul palco L. A. Jones per una Jam imperdibile. Tra i classici, Phil propone brani suoi e del fratello Buddy e tanta è l’euforia che le oltre sei ore di blues non bastano a saziare il pubblico che non smette di acclamare fino a costringere i musicisti a risalire sul palco per chiudere il festival con il classico Sweet Home Chicago (in stile funky Guy).
Durante il Festival tutto fila liscio come l’olio, sia dal punto di vista organizzativo che di affluenza e gradimento da parte del pubblico. Le performance dei vari artisti si susseguono in perfetta armonia rispettando i gusti sia dei tradizionalisti che dei progressisti.
Concludo ringraziando la cittadina di Poggio Murella per l’ottima accoglienza, il direttore artistico Franco Rubegni, tutto lo staff organizzativo e… le forze dell’ordine (che hanno avuto modo di apprezzare sia l’ottima musica che l’eccellente senso civico del popolo del blues).

Amedeo Zittano


La Notte delle Armoniche

Diciassette agosto 2004, Brazen Head Fragagnano (TA). Si svolge li una delle iniziative di Spaghetti & Blues dedicata alle armoniche. Dopo la riuscitissima serata di Beinasco (TO – dir. Art. Luigi Tempera), questa volta è lo “spaghettaro” Martino Palmisano che organizza, con la partecipazione straordinaria di Peppe “Harmonica Slim” Semeraro, la Notte delle Armoniche. Gruppo di supporto storico di Slim in Puglia è la Complanare Blues Band di Fasano, capitanata da Palmisano, che invita gli armonicisti pugliesi presenti in sala. A rotazione, si esibiscono: Nicola Cardellicchio, Amedeo Zittano, Peppe Semeraro e ovviamente Martino Palmisano. Non mancano le sorprese, infatti viene invitato sul palco Renato Petrelli, chitarrista e leader della tarantina No Situation Blues Band.
Per i fortunati presenti l’impatto è un crescente, travolgente ed indimenticabile show, caldo e, sotto certi aspetti, anche intimo in quanto i musicisti danno davvero il massimo mettendo a nudo i propri stili senza competizione, proprio come una cena tra amici dove ognuno racconta la propria storia semplice, intrigante, erotica, ma soprattutto densa di emozioni.
Il pubblico apprezza molto riscoprendo le intenzioni più pure del Blues. Magistrale è la performance di “Harmonica Slim” Semeraro (lo spaghettaro anziano della serata) che sbalordisce tutti dando dimostrazione di una raffinata tecnica in perfetta simbiosi con le più personali delle improvvisazioni. In finale la classica Jam a culmine di quella che è stata sicuramente la più singolare serata blues in Puglia.
Un particolare ringraziamento va a Enzo Antonucci (ormai spaghettaro convinto) gestore del locale che, nonostante tutto, persevera nel darci sempre nuovi spazi a dispetto del “commerciale” e del karaoke. Quando, un giorno, gli chiesi il perché mi disse che alla base del suo successo come gestore di Pub e nella vita vi è proprio la passione per il Blues.
W il Blues dunque e tutti i suoi discepoli.

Amedeo Zittano

 

King Biscuit Time in Abruzzo

Finalmente questa Band arriva in Abruzzo per suonare al "Je Sò Blues..." festival di Atessa. E' stata per me un'immensa gioia conoscere personalmente Michele Lotta e la sua band. Colpisce immediatamente la maturità con cui questa band affronta un vasto repertorio, tra l'acustico e l'elettrico, (Jive, R&B, Chicago blues). Maturità, padronanza tecnica e feeling, per immergersi in una storia, quella del blues per l'appunto, ricca di immagini anche personali. Una band che sa raccontare, una band compatta, una ritmica serrata ed un chitarrista fantasioso come Nino Fazio. L'armonica di Michele ci porta lontano, a quei tempi dove il blues è nato per riapparire ovunque ed in qualsiasi momento. Queste sono le mie impressioni ma quello che resta di più è il calore che questi siciliani sanno infondere nel cuore.


Joe Caruso 

 

 
 IV  Beinasco Blues Jazz Festival

Una serata che inizia come tante altre: gli strumenti vengono accordati, tra una sigaretta e quattro risate vengono scambiati gli ultimi suggerimenti. La gente del pubblico sta chi a chiaccherare seduto, chi in piedi a fare l'in bocca al lupo ai musicisti. Un po' prima dell'inizio mi allontano dalla sala per andare a prendere degli amici, così mi perdo la presentazione della "Down Town Blues Band". Un peccato, ma una giustizia divina esiste, e infatti al mio ritorno mi ritrovo tutto d'un tratto trascinato in un'orgia di note, colpi di batteria, battiti di mani di spettatori a scandire e amplificare lo shuffle della chitarra, cori di voci ad accompagnare il cantante. Il cuore batte a ritmo delle 12 battute, sobbalza al suono degli acuti di Scagliarini sull'armonica. Sembra voler inseguire l'onda delle note che si allontanano dal palco per inspirarle quanto più profondamente possibile. Ma loro non scappano via: rimbalzano e tornano, si mischiano alle altre in una fusione perfetta di passato e presente che solo il Blues riesce a realizzare. Magnifico vedere la passione del batterista, sentire le note sinuose del basso, quasi nascoste nel frastuono generale; ma basta guardare a terra e le vedi passare sotto di te per incorniciare quelle degli altri strumenti, impedendo loro di scappare. Ma attenzione al chitarrista: vuole imitare Ritchie Blackmore ("Deep Purple") nello storico concerto di Osaka, quando fece l'assolo di "Smoke on the water" con la chitarra sulla schiena. Non ce la farà mai, penso dentro di me, ma la Musica è magia e ancora una volta il miracolo è compiuto: le corde vibrano alla frequenza giusta e gli amplificatori continuano a diffondere armonia! Applausi, standing ovation accompagnano l'ultima canzone della "Down Town Blues Band": semplicemente indimenticabile il treno di Scagliarini!!!
La serata poteva concludersi qua, e sarebbe già stata perfetta. Invece no, il tempo che gli applausi finiscano e sul palco sale Amedeo Zittano a presentare "Spaghetti & Blues". Un po' impacciato all'inizio, prende coraggio e parte sparato come un missile. Sembra uno spettacolo di cabaret (mitica la storia dei panini da 10 euro con le sottilette ancora incartate)...
Ma ecco che sul palco sale Luigi Tempera insieme alla sua "T-James BB". Poeta del Blues, Luigi inizia la performance con una sua bellissima canzone, "Come on my train". Ancora una volta il tema del treno, che riserverà ancora un'altra sorpresa con la venuta sul palco di Giò Vescovi e il suo "Spaghetti Blues": “... la metrica italiana applicata al ritmo delle 12 battute...”, per dirla con lui. Ma anche nella tematica le sue canzoni si adattano ai temi tipici del Blues: l'emigrante meridionale, con le sue valigie di cartone, in viaggio su un treno diretto verso il nord. Quindi treno simbolo di allontanamento dalla Terra Natia, ma anche di speranza del ritorno...
Finalmente ci si ricorda che è la serata delle armoniche, e sul palco sale Amedeo Zittano, che con la sua Hohner accompagna la "T-James BB" nel viaggio attraverso grandi classici come "Route 66" o "Got my mojo working" (ancora una volta pubblico in festa sotto il palco a ballare e cantare); e mentre applaudi non ti accorgi di quello che sta succedendo: ti ritrovi sul palco di nuovo Giò Vescovi, Andrea Scagliarini, Fabio "Lopez" (come l'ho battezzato io, vista la somiglianza) e ancora una volta la "Down Town BB", per un'esplosione finale di gioia, divertimento, voglia di stare insieme uniti nel Blues.
Come dimenticare gli assoli di Michelangelo Di Gioia all'Hammond o la batteria di Paolo Narbone (sulle sue battute puoi regolare l'orologio) o il basso di Giorgio Fiorini?
Grazie Ragazzi, grazie a tutti per questa serata fantastica, irripetibile. Grazie a chi ha reso possibile tutto questo, e a chi l'ha immortalato. Grazie al Blues....

Andrea Stabile


"Ci stavo!" - Blue Stuff in concerto

Dopo tre anni di “riflessione”, il Brazen Head di Fragagnano (TA) ha riaperto le porte al blues. Un locale storico che (con il precedente “Ombra Blues” sempre gestito da Enzo Antonucci) ha ospitato negli anni scorsi - ed in tempi non sospetti - gente come Lynwood Slim, Dirty Hand, Michael Coleman, Roberto Ciotti, Tolo Marton, Andy Forest, Treves blues band, James Thompson, Rudy Rotta… voglio dire: mica bruscolini! Per dare inizio alla rassegna intitolata “A febbraio ritorno al blues” la scelta, non casuale, è caduta sui napoletani BLUE STUFF, tanto per andare sul sicuro. Che raccontare del concerto? Il pubblico era quello delle grandi occasioni. Attento, partecipe e predisposto a lasciarsi affascinare dall’istrionico maestro Mario Insenga, divulgatore di storie, gags, aneddoti simpatici e divertenti: ”roba blues” come titola il loro ultimo cd. Alle 22,45 si parte alla grande con Insenga che sul primo brano (un traditional) si esibisce contemporaneamente alla batteria, alla voce, al kazoo, e al… bottiglione. Il sound è pieno e granitico. Il merito è da condividere con il resto della banda. Francesco Miele al basso sa essere essenziale e preciso senza cazzeggiamenti vari. Lino “possa campa’ 100 anni” Muoio alla chitarra elettrica, già da cinque anni nel gruppo, non ha bisogno di presentazioni. Il suo approccio sulla sei corde è pulito ed incisivo, e quando c’è da darci dentro non perde un colpo. Davvero bravo. La sorpresa arriva dal nuovo innesto della seconda chitarra, ovvero Gennaro Porcelli che col suo look alla “vogliamoci bene”, unito alla sua giovane età e ad un fisico “slim”, si rende subito simpatico alla platea. Suona anche slide, armonica e canta pure. Voi direte: ma e’ forte? Si, è proprio forte. Suona il ragazzino. Sa il fatto suo. Al pubblico viene servita una “Higway 61” di un certo Bob Dylan tosta tosta, lunga, rabbiosa e rockata. Gran bella versione con le due chitarre a duellare tra loro. E poi ci sono i classici della band: ”Compagno di strada” dedicata al furgone che macina chilometri in giro per le strade e che non dice mai di no quando si inserisce la chiave nel cruscotto; ”E’ asciuto pazzo ‘o padrone”, un omaggio al più grande calciatore di tutti i tempi, indovinate voi chi; ”L’acqua è poca”, dove Mario senza tanti sforzi fa capire al pubblico che il coretto è facile facile, basta dire “la papera non galleggia”. E il pubblico partecipa, divertendosi e applaudendo vigorosamente al termine di ogni brano. C’è anche tempo, a metà concerto, per una jam. Mario invita sul palco alcuni componenti della Complanare blues band: Cristina Liuzzi alla voce, Franco Speciale alla chitarra di Gennaro ed il sottoscritto all’armonica. Che si suona? Partiamo con uno shufflone, “Everyday I have the blues”, e subito dopo lo slow “Stormy Monday”. Bella storia. Baci e abbracci e la band attacca con uno dei brani più tirati del concerto, la spassosa “Fuje Pascali’”, ancora col pubblico a cantare il ritornello. E poi ancora “Sotto viale Augusto”, “Pienz’ a salute” e la botta finale, affidata a “Johnny B. Goode”, con uno scatenatissimo Gennaro a far urlare le corde della sua "guitar". C’è tempo pure per il bis. Il quartetto non si risparmia. Due ore piene di blues e sudore. La band, dal palco, saluta ed il pubblico applaude soddisfatto per l’ultima volta. Abbiamo respirato aria buona col blues dei Blue Stuff, come quando si va in montagna. Ora è tardi. Sazio, me ne torno a casa… Fuje Pascali’, Fuje Pascali’, Fuje,Fuje, Fuje,Pascali’...

Martino Palmisano
 

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