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Melizzano in Blues 2007   2 - 5 agosto 2007
 
Quattro notti per sognare…
Quattro notti per parlare…
Quattro notti per suonare …
Quattro notti come quattro persone che si incontrano e non si lasciano più…


Quattro è proprio il numero delle strade che servono per creare un incrocio, di arte, musica, passione e costume.
Questo sono state le quattro notti di “Melizzano in Blues”, un piccolo centro del beneventano che ogni anno, d’estate, si trasforma in una succursale di Chicago. Tutti i tratti di questo paesino a valle del Taburno ne danno conferma: le strade polverose e la campagna stepposa, contornata di macchia mediterranea. Certamente mancano le piantagioni di cotone ma, di sicuro, non manca la passione per il blues e il buon vino.
Da sempre m'è piaciuto raccontare storie, forse perché non accetto di buon grado l’asetticismo o la mancanza di passione riguardante, in molti casi, gli articoli giornalistici. D’altra parte non si può parlare o descrivere questa nona edizione del festival se non con un racconto. Ergo, la recensione di questo festival la scriverò in quattro atti mescolando un po’ di verità e un po’ di fantasia (nel racconto la fantasia, ma nelle recensioni solo verità). Un po’ come dare un colpo al cerchio e l’altro alla botte...

Preambolo
 
Siamo in aperta campagna, dieci ragazzi si sono allontanati da casa in cerca della strada maestra che li conduca verso la meta dei propri sogni. Sono ragazzi come tanti, che decidono di riprendere in mano una tradizione iniziata anni orsono dai loro avi: il festival blues.
Per Bessie e i suoi amici il blues era uno stile di vita. Era la gioia e la malinconia che nasceva dentro di loro. Dopo aver percorso tanti chilometri ed aver visitato tante città, in un crocicchio della loro vita incontrarono Giò, un uomo albino con in mano un’armonica e alla sua destra una bottiglia di whisky; barcollava e a tratti, per non cadere, si appoggiava ad un albero. “Lo sai cos’è il Blues?” domandò Giò… I ragazzi fermi e impietriti davanti alla sagoma del vecchio, non sapevano cosa rispondere, ma allo stesso tempo non riuscivano ad andare via, attratti da quella strana figura. “Ora ve lo dico io! - disse Giò biascicando - Il blues è un viaggio attraverso terre di confine, attraverso strade polverose, cercando di trovare la propria meta”. I ragazzi erano ancora più straniti da quell’uomo adagiato lì per terra davanti a loro. Jack timidamente chiese: “Tu hai trovato la tua meta? insomma, la tua strada?”. Giò prima digrignò i denti mostrando un’espressione che avrebbe impaurito anche il più duro dei pirati, poi si rabbonì. “No, ma stavo aspettando qualcuno per intraprendere il mio viaggio… voi mi sembrate le persone giuste”. Bessie e il suo gruppo ripresero il loro cammino. Adesso però non erano più soli, una luce li seguiva: era Giò. Egli non proferiva parola. Dopo tre giorni di cammino il vecchio si fermò sotto un tiglio secolare: erano giunti nella città di Mele, meglio conosciuta come Melizzano. Bessie allora chiese: “Vecchio, perché ti fermi? È successo qualcosa? Hai forse bisogno di aiuto, stai male?”. Giò, anche se stanco e spossato, non prima di aver suonato con la sua armonica un riff blues, si volse e disse: “è questo il posto, credetemi ho la giusta esperienza per capirlo anche per voi; è qui la meta, non c’è altro luogo dove vorrei sostare.”

I atto: Roby Esposito Trio
Il primo atto tocca al Roby Esposito Trio. È l’inizio, l’apertura per un pubblico ormai divenuto esigente: tocca a loro. Si parte con una viscerale “I Believe You Changed My Mind”. Si capisce subito che lo stile è un misto blues e rock and roll stile anni ’50. Il trio formato da Roby alla chitarra e voce, Umberto Calentini, basso, Fabio Delle Foglie alla batteria, è come un diesel, ma non è negativo perché il concerto è un continuo crescendo e sembra quasi che la loro musica si adatti all’ambiente che li circonda. Si procede con “St. Louis Blues” e qui si nota ancor di più la vena afro-americana che c’è in Roby. In un continuo crescendo vengono esibite prima “Snatch It Back And Hold It” e poi “You Talk Too Much”. Il pubblico non riesce a fermarsi, volgendomi vedo la piazza in movimento. Il finale è spumeggiante. Giò Vescovi (direttore artistico della manifestazione) munito di armonica va verso il palco e fa partire una jam session con “Melizzano Blues”, un blues italiano che lo stesso direttore artistico ha scritto come dedica alla manifestazione. In chiusura, con Giò ancora sul palco, si suona “Lucille”. Applausi a scena aperta per una prima che è andata alla grande…

II atto: Black Cat Bone Blues Band
“Dopo la prima serata sarà difficile ripetersi…” questo era quello che si diceva nei vicoletti del borgo melizzanese. Ma i BCB blues band non sono certo un gruppo di novellini. Gennaro Carrillo e i suoi, dopo aver macinato chilometri in questo venticinquennio tra la Puglia la Lombardia fino ad arrivare in Svizzera (diciamo che hanno girato un po’ tutta Europa), finalmente sono approdati indisturbati, dopo l’ottimo album “Too Blues To Succeed”, in Campania apponendo la bandierina del Risiko anche su Melizzano. Il concerto si apre proprio con la canzone di apertura dell’album in questione “Gimme Back My Wig” con un Carrillo già in forma smagliante all’armonica che fa riscaldare, se già non facesse caldo, l’atmosfera. È palesata l’ottima intesa tra Carrillo e Ruvo alla chitarra in “Un Piccolo Blues”, dove l’uomo delle sei corde cosparge la platea di gocce di emozioni. Si prosegue con "I’m 45"… e ancora una volta l’armonica regna sovrana. Un vero e proprio spettacolo. In chiusura “Crazy About My Baby” coadiuvato, ancora in jam session, da Giò Vescovi.

III atto: Nick Becattini Blues Band
Il terzo atto non delude. Il signor Becattini dopo tanta attesa è qui. Ci ha fatto aspettare ma ne è valsa la pena. Già dal sound chek si fa sentire la ritmica funkeggiante. Ed è bellissimo sentire come le dita striscino su quella chitarra. Sono quasi le 22.00 e lo scenario è stupendo. Il vento dà una mano a creare un’atmosfera stupenda; le fronde del tiglio secolare che è lì nella piazza si muovono in maniera cadenzata: in effetti sembra di stare con Hendrix in Rainbow Six. La piazza è affollata e il pubblico inizia a fremere. Finalmente Becattini sale sul palco e dopo la prima nota si capisce che non sarà una serata qualsiasi. Si parte con “Hey Baby”, un pezzo veramente stupendo, che trasporta. Nick sembra entrato in palla, non si ferma più neanche un secondo e riesce a tenere il palco come pochi; con la sua spada lancia dei fendenti che lasciano il segno più della zeta di Zorro. Tutto il paese balla e canta con lui. Ormai Nick si è trasformato nell’incantatore di serpenti che con il suo piffero (quella Fender strato, maltrattata in tutti i modi) domina il pubblico e lo porta dove vuole. Si passa per “I Got To Pay My Bill” e ancora scroscio di applausi. Ma questo gruppo ha anche un aspetto New Age e l’ottimo batterista Carlos Perez, detto “Don Diego”, lo tira fuori tutto cimentandosi ne “Il Suono della Natura”. Un momento catartico.
In chiusura c’è spazio anche per i nostalgici... e qui anche i sessantottini si fanno avanti. Nick ci regala una versione stupenda di "Hey Joe" cantata a squarciagola. Poi chiude e va via lasciando gli spettatori soddisfatti... ma con Nick non può essere altrimenti. Grazie Nick

IV atto: GIO’ VESCOVI Blues Band featuring Burns SHERRITA DURAN
Insieme sul palco, il direttore artistico della manifestazione (Giò) e la sua Band con l’aggiunta di Sherrita Duran, vocalist californiana che può vantare di aver lavorato in alcuni musical a Broadway prima di trasferirsi in Italia per chiudere il quarto ed ultimo atto con atmosfere Gospel, Spiritual, Folk, misti al blues italiano di Giò, legato a doppio nodo a Chicago. Sin dal principio, quando ho parlato con Giò, ho capito cosa fosse lo spirito blues e quanto amore e professionalità lo portasse ad un dispendio tale di forze in tutte le manifestazioni, i concerti nei locali etc. Diciamo che ho visto quello che normalmente nelle persone non si vede, ciò che normalmente non è tangibile, ma che nella sua persona lo è: la passione. Forse, grazie a lui, molti di noi hanno capito cos’è il blues vero. Non si poteva aprire in altro modo se non con la canzone dedicata alla località che ospita la manifestazione, “Melizzano Blues”. Lui, Giò, è vestito tutto di bianco con l’armonica "imboccata" come una cerbottana che sputa note all’impazzata. Per non far calare l’attenzione, ecco subito “Sono Figlio Di Un Blues” e, a seguire, “Sugar Mama” e “Ma Che Ci Faccio A N.O.”. Si abbassano le luci per un attimo e tutto diventa buio. È il momento di Sherrita. Neanche il tempo di focalizzare la situazione che già si sentono le sue doti istrioniche diffondersi nell’aria con “The Blues Had A Baby (and it…)”: un’ovazione. Si passa quindi al grande classico “Knocking On Heaven’s Door”, interpretato perfettamente, poi “I Want To Be Loved” e, per finire, una “Proud Mary” alla Tina Turner. Chiusura migliore non poteva esserci.

Fine

Dopo il quarto atto il vecchio se ne andò, lasciando un biglietto…
“Io sono un nomade del blues e giro per il mondo, ma d’ora in poi saprò dove si trova la casa del blues e ogni anno io ritornerò in una notte d’estate, appoggiato ad un albero o seduto in una piazza per raccontare che... a Melizzano ce stà o' Blues"


Piertommaso Naimoli
piertommasonaimoli@gmail.com

 

JUNIOR WATSON and RED WAGONS - Roma 30.7.2007

A Roma , nonostante la molta attenzione prestata dal nostro sindaco alle attività culturali (come ad es. la creazione della Casa del Jazz), gli spazi per il blues sono sempre di meno. Una piccola isola felice che ha dato spazio ad alcuni concerti blues veramente notevoli, è lo spazio d’Invito alla Lettura nella suggestiva cornice dei giardini di Castel S. Angelo. Non sarà forse un caso, ma molti anni fa proprio a Castel S. Angelo si esibì il grande padre del blues: Muddy Waters.
Qui si sono esibiti il 12 Luglio The Caldonians Blues Band ed I Mississippi Mood con Bob Margolin, il 15 Luglio la Rico Blues Combo con Sugar Ray Norcia, ed il 30 Luglio i Red Wagons con ospite il grande Junior Watson. Ed è proprio questo ultimo concerto che vi voglio raccontare. Il chitarrista californiano ha alle spalle una grande esperienza nel blues prima con i Mighty Flyers di Rod Piazza, poi con i Canned Heat ed in seguito in numerose collaborazioni con altri artisti come Lynwood Slim, Kim Wilson, Charlie Musselwhite, William Clarke, James Harman, Jimmy Rogers e molti altri. Ha all’attivo a suo nome due album "Long Overdue" del 1987 e “If I Had A Genie” del 2002. La band romana dei Red Wagons, nata nel 1998 dalle ceneri degli Hardboilers, si distingue per la sua miscela di jump, boogie e blues; ha realizzato nel 2004 un Cd “Ullàlla Boogie” e ne ha in preparazione un altro con ospiti: Mitch Woods, Sugar Ray Norcia, Sax Gordon ed appunto Junior Watson.
Il 30 Luglio, dopo giorni di caldo asfissiante, è finalmente una giornata in cui si riesce a respirare perché soffia un piacevole venticello fresco, quindi tutto si prepara al meglio per il concerto di Junior Watson con i Red Wagons. Questa è l’ultima data in Italia del loro piccolo tour e quindi si presuppone un repertorio già ben rodato dal vivo ed una serata finale di festa giocata in casa dalla band. Già durante il sound check si nota la presenza di molti musicisti della scena blues romana tra cui vorrei segnalare Ricky Petrella (HardBoilers) che, presentato a Junior, si inginocchia scherzosamente davanti a lui.
Ma ecco che intorno alle 22:00 inizia lo show. Aprono i Red Wagons con “Telephone Boogie” composto di un altro Watson, Johnny Guitar, e dopo un paio di brani sale sul palco Junior che con la sua chitarra subito infiamma la platea. Il chitarrista si presenta tutto vestito di nero, completamente calvo e con una lunga barba alla Rasputin, ma quando si tratta di blues diventa più nero dei neri. Il suo stile di chitarra è molto particolare con fraseggi che devono molto anche al jazz ed in questo è ben supportato dallo swing della sezione ritmica (Carlo Del Carlo, drums e Lucio Villani contrabbasso) con i due sax in sezione (Rox Marocchini, Sax Tenore, Simone Crinelli, Sax baritono) che rispondono alla voce ed ai fraseggi del chitarrista americano. Il tappeto armonico è fornito dal grande piano blues di Marco Meucci e dalla chitarra di Alessandro Angelucci che, lasciando spazio all’illustre ospite, fornisce un formidabile supporto ritmico-armonico in perfetto stile. Sinceramente, chiudendo gli occhi potresti benissimo pensare di essere tornato indietro nel tempo e trasportato negli Stati Uniti. Il pubblico molto eterogeneo formato dagli appassionati e da un certo numero di “spettatori per caso” risponde con molto entusiasmo all’esibizione accogliendo con applausi ogni assolo di Junior Watson. Tra i brani eseguiti spiccano l’omaggio a Pee Wee Crayton “Cool Evening” che il chitarrista ha anche inserito nel suo primo Cd e “That’s What You Do To Me“ di Roscoe Gordon. Il fraseggio ed il suono della chitarra di Junior è sempre unico, una splendida miscela di blues, swing, jazz, rock’n’roll e... Dio solo sa che altro. Non si ripete mai ed ogni assolo è una lezione di creatività sullo strumento.
Dopo alcuni brani Junior scende dal palco e si siede dalla parte del pubblico per avere qualche minuto di riposo e, secondo me, anche per ascoltarsi la band che si cimenta in una splendida versione di “Mess Around” dove Marco Meucci può dimostrare quanta passione ha per il grande Ray Charles. Dopo “Hey Bartender”, sempre eseguita dalla band, Junior rientra in campo ed esegue tra le altre “Blues After Hours” dedicandola a “ the late" Pee Wee Crayton che evidentemente deve essere una delle passioni del nostro chitarrista; questo è uno splendido blues lento dove Junior, non contento di avere eseguito un lungo e splendido assolo, ad un certo punto si porta la chitarra sopra la testa e continua a suonare mandando in visibilio il pubblico presente. Vecchio trucco dei bluesman che funziona sempre, ma è anche il segnale che il chitarrista si sta veramente divertendo. Tutto ciò viene infatti confermato subito dopo. Mentre è il momento del solo di piano, guarda soddisfatto e sorridente ed alla fine si lancia in un vero e proprio urlo al microfono che si adatterebbe più ad un film dell’orrore ma che fa morire dalle risate i presenti. L’atmosfera è talmente divertente e rilassata che Junior si concede anche un brano eseguito solo voce e chitarra. Ma il concerto sta volgendo al termine e dopo un altro boogie e jumpin blues Junior Watson ed i Red Wagons chiudono con “Certainly All” lasciando noi spettatori soddisfatti e felici di una bella serata di blues. Molti dei chitarristi presenti erano in estasi perché credo che non capiti molto spesso dalle nostre parti di ascoltare un chitarrista blues dalla tecnica, dal gusto e dal fraseggio così squisito.
Per i fan della chitarra questa è la strumentazione usata da Junior Watson nella serata di Roma (fornitagli dal chitarrista della band Alessandro Angelucci che gentilmente mi ha anche dato le seguenti informazioni): Silvertone archtop nera anni ’50 con 2 pick ups P13, Fender Stratocaster, un amplificatore Fender Pro (1 serie TV Model) del '50 collegato all’unità di reverbero.
Chiudo con un grazie ai Red Wagons, oltre che per la bella musica offertaci, per l’impegno ed i sacrifici fatti per darci l’opportunità di ascoltare a Roma, dal vivo, un personaggio della qualità di Junior Watson.
 
Gianni Franchi


Live report: Sugar Blue a Taranto.

Ho deciso: vado a vedere Sugar Blue. Non capita tutti i giorni di vederlo suonare in un club in Puglia. E poi, 180 km che volete che siano. Solo che farseli dopo tanti anni, in completa solitudine, stanca decisamente. La macchina ha deciso di non tradirmi. Ha detto che mi porta. Anche le condizioni climatiche si mettono al meglio. Niente pioggia, neve e nebbia. Arrivo al “Go West” alle 22. Il tempo di salutare i soliti amici appassionati e ci fiondiamo al tavolo prenotato, ordinando pizza e birra. Fanculo la dieta, il mangiar sano in mente sana e tutto il resto. Il palco è piccolino per contenere: cinque musicisti , strumenti vari, monitor, aste, microfoni e tutto l’ambaradan, ma è collaudato. I posti a sedere sono tutti occupati. Noto con soddisfazione gente senza brufoli. Gli anni passano per tutti. Potenza divina. Siamo ansiosi di sentire questo virtuoso dell’armonica, che in disparte, suonicchia una canzoncina natalizia tenendo in braccio un pargoletto biondo sorridente e con gli occhietti furbi spiritati. A due anni, la prima cosa che ha detto entrando nel locale è stata: voglio suonare sul palco! Sono soddisfazioni. Col tempo, cercheremo di redimerlo. Il blues a volte è bastardo. Ti lascia in mezzo alla strada senza preavviso. Meglio il posto fisso. Vecchie menate dei genitori sempre attuali. Altro che mode. Sono le 23 appena passate. I musicisti salgono sul palco. Riconosco con mia grande sorpresa Sergio Montaleni che imbraccia la chitarra elettrica. Ilaria Lantieri (che gestisce musicalmente la band) si sistema al basso. Si parte con due cover spesso masticate in questi casi, “I Shot The Sheriff” e a seguire “Superstition”. Capisco subito che si tira principalmente di funky. Sul terzo brano “Ain’t Got You” arriva dal fondo della sala Sugar Blue munito di radiomicrofono. Si fionda sul palco fronteggiando il monitor-spia e via… su e giu’, giu’ e su, sotto e sopra, sopra e sotto, destra sinistra, sinistra destra, incrociato, a velocità supersonica. Calcio di rigore. Goal!!! Campioni del mondo. Se l’armonica potesse parlare, immagino le sue parole. “Voglio scendere… mi gira la capa”. Ma James, la piccola blues harp la stringe tra le poderose mani e non gli da via di scampo. Nascondendola nelle sue fauci. Hai voglia a dire: “voglio uscire, fammi respirare!!!"... no, niente da fare. Secondo me, quando l’armonica sa di essere finita nelle sue mani, si mette a piangere. Lavora assai. Non c’è verso di dirgli che mi fanno male le ance, che se mi sforzi troppo mi spacchi le lamelle…Tutto inutile. E’ amaro il destino delle armoniche nelle mani di Sugar. Ogni sera orario continuato con straordinario incorporato.”Hoochie Coochie Man” va sempre bene in ogni occasione, e il successivo lunghissimo funky-shuffle veloce, vede anche un solo di chitarra e tastiera. L’armonica ringrazia in religioso silenzio. ”Miss You” nel 1978 ha fatto la fortuna di questo musicista nato a New York, e dopo quasi trent’anni, quel brano e quel riff sono sempre un piacere per i nostri padiglioni auricolari. Anche i Rolling ringraziano. Dopo lo slow “That’s All Right”, ancora ritmo con “Red Hot Mama” e a seguire una ballad dedicata alle donne... che non guasta mai. ”Help Me” rompe gli indugi e ci consegna il primo Chicago-shuffle vero e proprio, senza inquinamenti vari. Poi i musicisti si prendono cinque minuti di pausa e Sugar, rimasto solo sul palco, fa veramente sul serio. Con un cambio di armonica a dodici fori, sbuffa e farfuglia una “Another Man Done Gone” che mette i brividi sul serio. Pare davvero di stare in un clima di arcaico blues prebellico. Un ritorno alle origini profonde e sincere della cultura Afro-Americana che i neri ci hanno donato. Applaudono tutti i presenti. Pseudo armonicisti stagionati e non, chitarristi, baristi, camerieri, donne, ragazzi, bassisti, parcheggiatori, cassieri e semplici avventori per solidarietà. E lui, che continua a triturare le ance basse dell’armonica alternando da solo ritmica e fraseggio, portando il tempo con il piede e sputando parole incomprensibili nello stesso tempo. Questi lunghi minuti di sincera puzza di blues valgono da soli il prezzo del ticket. Non quello sanitario... Ritorna la band. ”Messin With The Kid” tiene banco per almeno dieci minuti buoni. Sugar saluta e ringrazia il pubblico particolarmente caloroso. Io, ancora oggi mi chiedo come cazzo abbia fatto con la camicia attillata, abbottonata del tutto, e il cappello in testa, a non emettere una sola goccia di sudore. Anche le sue armoniche, mi hanno detto in confidenza, se lo chiedono tutte le volte che suonano per lui. E’ assai il danno!!!

Martino Palmisano


6° Beinasco Blues&Jazz Festival
Settembre 2006


Volete far tornare il sole quando tutte le previsioni meteo sono contro di voi? Suonate e ascoltate il blues! Non si tratta di una bufala da televendite; è capitato davvero sabato 16 a Beinasco, laboriosa cittadina della cintura torinese e patria del Beinasco Blues & Jazz Festival, che si è tenuto nei weekend di settembre in varie sedi, prevalentemente all’aperto. La rassegna, giunta nel 2006 alla sesta edizione e sempre ad ingresso gratuito, è una creatura del chitarrista e maestro di musica Luigi Tempera, personalità sanguigna e musicista di talento, che modestamente riconosce di aver appreso dai suoi allievi almeno tanto quanto ha loro insegnato.
La lodevole manifestazione, che si snoda agilmente tra jazz, blues, didattica, arte e artigianato è stata inaugurata sabato 9 sul prato adiacente al “Malinteso”, un centro culturale assimilato all’ARCI, con una solida esibizione della big band diretta dal batterista Gianpaolo Petrini. Sedici musicisti dalla gentile ma vigorosa professionalità in una scaletta non distante dal blues, che ha visitato sfumature di swing e di bop e si è conclusa con una magistrale versione della classica “Birdland” di Joe Zawinul a cui ha partecipato, nella speculare veste di chitarrista ospite, il virtuale padrone di casa della manifestazione.
Domenica 10, dalle 15,30, di fronte al centro commerciale Le Fornaci, Luigi ha coinvolto alcuni dei suoi allievi in una estemporanea Street Blues Band per un robusto e schietto concerto “da strada”, tutto blues e dixie in stile Old America.
Sabato 16 al Malinteso il cartellone prevedeva una carovana non stop: una Blues Night dalle 19 fino a tardi. Il maltempo che ha impensierito gli organizzatori fino al primo pomeriggio si è arreso al sole del blues, e così si è esibita con onore la Baby Blues Band, composta da giovani studenti della scuola di musica Violeta Parra. Poi è toccato ai biellesi Melody Makers di Emanuele Fizzotti, un eccellente chitarrista che ha ben assimilato le lezioni di Albert King, Otis Rush e Peter Green (sua una “Oh Well” di gran pregio), e infine alla Explorer Blues Band. Quest’ultima formazione è diretta da mastro Tempera ed è una fedele estensione del suo carattere: irruente, professionale, aperta a varie influenze, dialoga col pubblico col cuore in mano prima ancora che con gli strumenti. All’organico consueto, che include il chitarrista Eugenio Mirti e l’armonicista tigullino Fabio “Kid” Bommarito e la ritmica di Paolo Narbona, batteria e Giorgio Fiorini, contrabbasso, si è aggiunto il leggendario organo Hammond di Michelangelo Di Gioia, titolare per suo conto in numerose band e brillante caposcuola dello strumento. Ben oltre mezzanotte tutti a nanna, ma non senza una sonorajam session finale che ha coinvolto altri chitarristi locali, Fast Frank e Angelo La Rocca, e il decano dei bassisti di blues Mauro Gandolfo. Nel corso della serata, con grande approvazione del pubblico, è stato presentato il libro “Blues” di Edoardo Fassio, con una piacevole e divertente chiacchierata con l’autore (nota aggiunta da Luigi Tempera).
L’appuntamento successivo è stato sabato 23, ancora al Malinteso: con la giovane arpista Vania Contu ed a seguire una brava cantante romana, Lucia Di Donato, accompagnata da Giulio Camarca alla chitarra, Massimo Camarca al basso e Maurizio Plancher alla batteria.
Il festival si è concluso sabato 30, nell’ex chiesa Santa Croce, con Luigi Tessarollo e Fulvio Chiara in un recital davvero unico nel suo genere. Intitolato “Musica del Piemonte tra passato e presente”, consiste in una selezione di adattamenti in chiave jazz, per chitarra classica e tromba, di composizioni attinte dalla tradizione regionale, ed è l’esecuzione dal vivo di un cd realizzato nel 2004 dai due primari musicisti torinesi.

Edoardo Fassio



BACCO… TABACCO 
jazz 'n blues festival
- Floridia (SR) 15.09.2006

Floridia è una cittadina a pochi chilometri da Siracusa. Le origini greco romane, suggerite dalla posizione geografica, sono purtroppo scomparse a causa delle numerose dominazioni susseguitesi nel corso dei secoli. Xiridia (il nome antico della città) fu, in realtà, uno tra i più importanti insediamenti dei siculi primitivi e la sua storia può farsi risalire al XIV secolo a.C.
Oggi Floridia vive una realtà non certo florida (scusate il gioco di parole), comune – ahimè - a tutto il Sud. Nonostante ciò, il “terreno” è particolarmente ricco di umus culturale e voglia di fare.
Da qualche anno, un manipolo di appassionati ha deciso di smuovere l’interesse verso il Jazz ed il Blues, e pare che ci stia riuscendo a giudicare dal successo ottenuto dalla prima rassegna che ha avuto per nome Bacco.. Tabacco blues festival.
Valeriano Adorno, chitarrista ed anima della Big Mama blues band, oltre che rappresentante regionale di S&B, ha allestito una serata di Blues ben pensata nella coerenza delle proposte e decisamente riuscita in termini organizzativi.
A salire sulle tavole del palco, allestito nella centrale Piazza del Popolo, sono stati per primi The Hollers. Il gruppo messinese composto da Angelo Morabito (chitarra e voce) e dal sottoscritto (chitarra ed armonica) ha proposto un repertorio acustico ben supportato dal basso e dalla chitarra di Peppe “Smokin’ Joe” Imbroscì. Tralasciando i commenti per chiari motivi di “antitrust”, faccio un breve accenno alla scaletta, interamente dedicata al blues delle origini. Robert Johnson, Sonny Boy, Muddy Waters del periodo rurale, Big Bill Broonzy, ecc., sono stati evocati attraverso motivi leggendari tra i quali: They’re Red Hot, Shake Your Boogie, I Can’t Be Satisfied, Tomorrow.
Agli Hollers ha fatto seguito l’esibizione del chitarrista agrigentino Francesco Buzzurro, un autentico virtuoso dello strumento. Di formazione classica (diplomato al conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo) Buzzurro ha offerto un repertorio fatto di brani di Django Reinhard, Duke Ellington, Astor Piazzolla, manifestando una tecnica invidiabile in riletture personali sostenute dalla ritmica formata da Riccardo Lo Bue al basso elettrico e Enzo Augello alla batteria.
Gran finale con la formazione di casa, Big Mama blues band. Nonostante l’ora tarda, Valeriano & c. hanno acceso la piazza con un pugno di cover tratte dal grande repertorio elettrico. Il sound dei BM strizza sovente l’occhio al r’n’b ed al funky per le caratteristiche specifiche dell’eccellente vocalist Max Correnti (italo americano che ha nel palcoscenico il suo habitat naturale) e dallo stile chitarristico di Valeriano Adorno, anch’egli proveniente da studi classici (suona infatti senza plettro e riesce ad essere molto originale). Bravi, ma soprattutto protagonisti del solido sound d’insieme, Davide Avola alla batteria e Antonio Ortisi al basso.
Mentre l’orologio del campanile che domina la piazza scandiva l’una segnalando una notte ormai matura, partiva la tradizionale jam session di chiusura per la soddisfazione di tutti, musicisti e pubblico.

Michele Lotta


Sugar Blue
  “Blues in Town”  Policoro (MT) - 11.08.2006

“Cosa chiedere di più ad una calda notte di mezza estate che un gran bel concerto di Blues? Nulla!” esclama prontamente, e a gran voce, Renato Petrelli (spaghettaro tarantino) appena superate le Tavole Palatine di Metaponto, sulla S.S. 106, a bordo del suo fuoristrada; soprattutto se a fare da cornice è la splendida città d’Ercole, ovvero Policoro.
L’Associazione “La Mela Di Odessa”, organizzatrice della rassegna “Blues In Town”, ha superato ogni aspettativa sia logistica che programmatica. Nella bellissima arena dell’Anfiteatro Mario Segni è chiamato ad aprire la manifestazione il grande armonicista James Whiting, al secolo Sugar Blue.
Nessuno, con un pizzico di Blues nel sangue, poteva mancare all’appuntamento, ed infatti, arrivati in loco proprio nel bel mezzo del sound check, incontriamo il “Falco di Matera”, lo spaghettaro Donato Mola (riferimento S&B per la Basilicata), e la sua band Dipinto Di Blues al completo. Con grande piacere scopriamo che Sugar sarà accompagnato da un gruppo di musicisti italiani tra cui il noto Michele Papadia, hammondista di Martina Franca (nostro amico dai tempi in cui suonava con Rudy Rotta) che, con alcuni suoi amici, costituiscono la band spalla formata da: hammond, basso, batteria e chitarra. Il fatto che Sugar, come Andy J Forest o Phil Guy (solo per citare alcuni esempi) scelgano gruppi italiani per essere accompagnati nei loro tour è un segno di come il blues italiano negli ultimi tempi sia cresciuto tanto da conquistare la fiducia di diversi musicisti americani di un certo calibro.
L’atmosfera è elettrizzante anche se tra le centinaia di persone che cominciano ad affollare gli stand dell’Arena, solo in pochi sanno davvero chi sta per salire sul palco.
Tra malati di blues, si sa, ci si intende subito e nasce così l’amicizia con Cristian Miccoli, Antonio Finamore, Gianluca Gariuolo e tutto lo splendido stuff di “La Mela di Odessa”, i quali ci spiegano tutte le strategie adoperate per arrivare alla realizzazione di una manifestazione tesa ad avvicinare il Blues al pubblico della loro terra, cominciando dapprima con una massiccia propaganda, senza lasciare nulla al caso, invitando stampa, TV e radio, a tutti gli appuntamenti. Le serate sono state trasmesse in diretta da un’apposita stazione mobile di City Radio di Antonio Rondinone e replicate alle 14:00 del giorno successivo con interviste agli artisti partecipanti.
Non c’è che dire, Matera e provincia quest’anno hanno fatto bingo!
Visto che mancano ancora un paio d’ore all’inizio del concerto, decidiamo di mangiare qualcosa e ci infiliamo nella prima pizzeria che troviamo nei dintorni. Mentre definiamo i dettagli su come effettueremo le riprese video del concerto, entrano nella pizzeria Sugar Blue, Michele Papadia e il resto della band. Apprezziamo subito il grande carattere di Sugar che non esita a rivolgersi a noi con estrema simpatia e disponibilità. Così, in attesa che l’arrosto misto sia ben cotto, chiacchieriamo su come il piccolo James (figlio d’arte nato ad Harlem) fosse stato invitato appena maggiorenne da Muddy Waters in persona a due dei suoi show a NYC, e di come questo evento lo abbia lanciato nel circuito internazionale; della sua profonda amicizia con Louisiana Red e Mick Jagger; del perché, nel ’76, si trasferì a Londra “per non combattere una stupida guerra” (quella del Vietnam). “Come fece Cooper Terry!”- esclamai - “Si, solo che lui fu più veloce ma meno fortunato” risponde malinconico Sugar, ma subito cambia discorso chiedendomi cosa rappresenti la mia collanina: “la rosa dei venti dentro un timone, in ricordo della leva nel Corpo della Guardia Costiera” gli rispondo, e lui “Bleahhh! il solo pensiero della navigazione mi fa venire il mal di mare…” e ride di cuore.
Le donne rappresentano una costante in tutto quello che dice, è come se le amasse tutte. Infatti sostiene che tutto quello che facciamo e che vogliamo, lo desideriamo in relazione alle donne… “per esempio, perché desideriamo una bella macchina? perché ci vogliamo sdraiare dentro una bella signorina, è ovvio!” e aggiunge “se il mondo fosse governato da sole donne, non esisterebbero più le guerre!”.
Di lui sapevo che, dopo alcuni anni passati in Europa tra Londra e Parigi (dove diventò ben presto famoso), tornò in America, a Chicago, per lavorare con i grandi dell’armonica (James Cotton e Junior Wells tra gli altri), e che ricevette nel 1985 un Grammy Award per il suo disco “Blues Explosion”. Non sapevo che attualmente vive a Milano. Quando gli ho chiesto di Treves ha spalancato gli occhi e con un gran sorriso ha esclamato: “mio grande amico Fabio!”.
Avrei voluto chiedergli mille altre cose, specie delle esperienze fatte con Willie Dixon e della celeberrima “Chicago Blues All Stars”; dei rapporti con Johnny Shines, amico di Robert Johnson, e delle collaborazioni con Bob Dylan, B.B. King…, ma quando quel meraviglioso arrosto misto è  servito, neanche Papa Leg avrebbe il coraggio di continuare il colloquio.
Giunti sotto il palco, i “Solid Groove” di Trani, invitati come opening act, stanno per concludere la loro esibizione. La bella presentatrice annuncia Sugar Blue e la sua band e, dopo una breve intro, presenta Sugar del quale però si odono solo le pazzesche blue note… Si scoprirà pochi secondi dopo che è tra il pubblico e suona, come al suo solito, senza fili e con un cinturone pieno zeppo di armoniche. Piano, piano, si avvicina al palco e con un balzo sale tra i suoi compagni dando inizio ad uno dei più bei show di armonica a cui abbia mai assistito dal vivo. Una scaletta che riassume tutto il suo percorso artistico, incentrandosi su alcuni dei successi più noti: “Miss You” (registrata con i Rolling Stones), “Blues Explosion”, “In Your Eyes”. Ovviamente, non mancano i tradizionali come “Hoochie Coocie Man” e l’ormai consueta improvvisazione fatta solo con la Hohner a 12 fori e voce: un incantevole treno blues che accompagna l’ennesimo viaggio all’insegna del verbo di Sugar Blue.
Durante le oltre due ore d’ininterrotto spettacolo, un episodio in particolare attira la mia attenzione: nel bel mezzo di un brano Sugar regala una delle sue armoniche (una Lee Oskar ndr.), ad una bambina vicina a me che stava ascoltando, strabiliata, l’eccezionale esibizione. Forse, inconsciamente, ha voluto onorare il gesto che fece lo zio di Sugar stesso quando aveva circa la stessa età della piccola o è un gesto abituale dei suoi show, un po’ come fa B.B. King quando alla fine del concerto regala al pubblico decine di plettri e mini riproduzioni di “Lucille”? Non lo sapremo mai… parlando però con Michele Papadia scopro che non lo aveva mai fatto prima, anzi pare che James sia alquanto geloso delle proprie armoniche!
All’una e mezzo del mattino, quando il concerto volge al termine, nessuno dello stuff crede che Sugar sarebbe disponibile a partecipare anche alla jam session organizzata in uno stand all’interno dell’arena. Nel frattempo la gente comincia a defluire ed i musicisti cominciano a “jemmare”, senza Sugar che temporeggia mentre la band carica sul furgone la strumentazione. Così, insieme a Petrelli ci avviciniamo allo stand della jam e ci uniamo all’allegra compagnia. Proprio mentre stavo per terminare i miei due giri di solo, alzando gli occhi vedo il gran sorriso di Sugar che con un gran bicchiere di birra ci guarda compiaciuto. All’unisono lo invitiamo e, senza esitare, Sugar inizia a suonare con noi incurante delle oltre due ore di concerto alle spalle. Tra un’improvvisazione e l’altra, James si avvicina incuriosito, prende le tre armoniche che avevo con me nel taschino della camicia chiedendomi la marca e, con una espressione quasi di ribrezzo, scopre che utilizzo delle vecchie Blues Harp. “Perché?!” mi chiede, e aggiunge: “queste non sono delle migliori…”, gli rispondo: “quelle che usi tu costano troppo per il mio portafogli”. Scoppia così in una ricca risata e abbracciandomi mi sussurra: “questo è Blues fratello!”.
Nel frattempo intorno allo stand si radunano un centinaio di persone tra musicisti e appassionati e l’arena sembra ripopolarsi. Incredibile, un’altra ora e mezza a suonare, cantare e scherzare, con un branco di italiani amanti del Blues vero come quello che James Whiting, in una notte di mezza estate a Poliporo, ci ha insegnato.

Durante il viaggio di ritorno regna un silenzio quasi religioso, con le “Sugar Blue note” che ci risuonano nel cuore. Arrivati a casa, arricchiti da un’ennesima, grandiosa, esperienza all’insegna del Blues, ci salutiamo, immersi in una timida alba, con un semplice: “W IL BLUES!”.

Amedeo "Blues Harp" Zittano


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